- Storie d'America

- Storie d'America - Storie d'America New York, febbraio. Negli ultimissimi tempi, qui, il venerando senatore democratico Thcodoro Francis Green, di novantun anni, si è accorto di aver cominciato a diventare un po' sordo da un orecchio e cieco da un occhio. Accogliendo pertanto l'esplicito invito di un giornale del suo stato, il Rhode Island, con uno di quei dispiaceri generali che sono anche un sollievo generale, si è dimesso da capo della Commissione degli Affari Esteri del Senato americano. Gli è succeduto il democratico, un po' più che cinquantenne, J. William Fulbright, dell'Arkansas. Costui, critico fra i più intelligenti e vivaci della politica di Foster Dulles, gli hi subito scritto una lettera per ricordargli che gli ambasciatori americani, in genere, continuano ad essere impreparati ai loro compiti, e che bisogna cominciare a provvedere a scelte più attente. Il Presidente, in persona, gli ha risposto durante la conferenza stampa del giorno dopo ; « La massima difficoltà — ha detto — sta nel fatto che gli incarichi di ambasciatore sono onerosi per chi li assume e pertanto è necessario affidarli a persone ricche ». L'America, come si vede, in questa faccenda, fa un problema di stipendio: trascura il fatto che un cattivo ambasciatore può farle buttare a mare milioni in imprese sballate, ma preferisce risparmiare qualche centinaio di migliaia di dollari di rapprpsentanza (cocktail* e simili) che l'ambasciatore ricco non si farà mai rimborsare dalle casse federali. Pare assurdo, ma è così: e non è la sola assurdità di questo felice paese. Tutto ciò è accaduto durante i due giorni nei quali si è appreso che Mr. Dulles era tormentato da un'ernia, operando la quale si trovò, poi, che soffre anche e ancora di cancro. Dopo essere stato il continuo bersaglio di amici e di nemici, adesso che è infermo, unanime equo e anche da noi condiviso, è il tributo reso al suo coraggio e alla sua perseveranza nella lotta per il raggiungimento di una « pace anticomunista ». Questo, di solito, non si dice: ma la verità è che, in soldoni, il nocciolo della sua politica è tutto qui. Da anni Mr. Dulles cerca di risolvere un quiz più insolubile di quello della quadratura del cerchio: raggiungere una pace contro il comunismo, malgrado il comunismo che — a meno di non fare una guerra e di vincerla — esiste e non si può eliminare. Pur malato, Mr. Dulles è cosi convinto di riuscire a compiere questo miracolo e lo persegue con una tale forza di ostinazione che perfino sul capezzale del suo letto d'infermo, ricevendo il Presidente, si è constatato che riposava leggendo un libro di ispirazione anticomunista, dovuto ai signori Henry e Bonard Overstreet, il cui titolo suona: Che cosa, a pri posito di comunismo, dobbiamo conoscere. Dalla mattina alla sera, il libro è diventato famoso. Il Presidente, per intanto, se lo sta leggendo anche lui. E' evidente che.se continueremo a informarci degli errori e degli orrori del comunismo e non dei probabili fatali sviluppi della sua rivoluzione e delle sue evoluzioni, non arriveremo mai a una pace qualsiasi. A proposito di politica estera americana, poi, in America, c'è, da qualche mese, in circolazione, un libro che, best seller da un pezzo, in questi giorni ha raggiunto le centomila copie di tiratura; e se ne farà presto un film. E' intitolato The Ugly American, cioè Il brutto americano. Parla, dalla prima parola all'ultima, dei guai che combinano all'estero gli americani in funzione ufficiale, a cominciare dai loro ambasciatori. La pubblicità lo definisce: «Il romanzo che è diventato un affare di Stato ». Il senatore Kennedy, insieme ad altri amici, ne ha fatto omaggio a tutti i suoi colleghi, in Parlamento, perché pur con nomi di persone e di paesi inventati il romanzo riflette situazioni autentiche, verificatesi nelle zone insulari e peninsulari del sud-est asiatico. In un primo tempo, il libro parve così negativo e severo verso il Dipartimento di Stato, da meritare di essere tenuto in quarantena dal Servizio Informazioni. Questo si è finalmente deciso a consentirne la divulgazione presso le sue biblioteche estere, quando al mondo è accaduto PafTare Pasternak, a proposito del Nobel che onorò // dottor Zivago. « L'America — si è scritto allora — ha deciso di distribuire alle biblioteche estere del suo servizio informazioni anche il The Ugly American. perché non ha paura delle verità, come fa la Russia, che boicotta il riconoscimento internazionale tributato a // dottor 7.1vago ». Da notare che tra // dottor Zivago e il The Ugly American c'è la stessa differenza che passa tra la vetta più alta dell'Himalaya e quella del monte Bernoccolo, se mai esiste. Il The Ugly American, anche a volerlo benevolmente giudicare, è un pamphlet di divulgazione di luoghi comuni del più conformista e infantile intellettualismo americano. La sua facilità e superficialità di narrazione e di interpretazione dei fatti, sono le sole cause del suo successo. Per il resto appare un banalissimo libro di propaganda dell'America apostolica che, a differenza di quella milionaria, anziché di dollari e di atomiche va a battersi per la redenzione del mondo armata di carità e di buona volontà. Anche i sassi, -irmai, sanno che, con i tempi che corrono, ci vuole dell'altro. Gli autori, William J. Lederer e Eugene Burd>k, giornalisticamente parlando, si rivelano abili e disinvolti nel raccontare soprattutto ' il fallimento delle missioni dei loro protagonisti e, in particolare, di due ambasciatori americani, accreditati presso l'ipotetico stato di Sarkhan. Il primo degli ambasciatori, giunto a quell'incarico per caso, dopo essere stato diciotto anni senatore ed essere stato bocciato alle ultime elezioni, si fa gabbare dal preparatissimo collega comunista, che riesce a far credere regalata dalla Russia, al popolo sarkhanese, una partita di riso che era stata, invece, inviata dall'America. Quest'uomo combina vari altri e credibilissimi guai grossolani e, tuttavia, torna a casa con allori « benemerenze. Il secondo ambasciatore, di carriera, preparatissimo, fa solo due errori, ma fatali. Del primo se ne rende conto: è un errore di fiducia e dì ingenuità (si era rifiutato di credere che due innocui servi cinesi potessero essere due spie); e, poiché non può ripararlo, fa un viaggio in tutta quella turbata zona dell'Asia, onde approfondire il costume di quei popoli e la natura dei problemi che li agitano. Del secondo errore, non ne sa e non ne saprà mai nulla (si tratta del rifiuto dell'aiuto di un esperto di culture di'polli e di uova); perché, proprio quando l'esperienza fatta cominciava a essergli utile, il governo, stanco delle sue autentiche benemerenze e disgustato di non vedergli fare deleteri successi, decide di richiamarlo in patria e di esonerarlo dall'incarico. Questo schema vale per tutti i personaggi del racconto: i buoni tornano a casa, richiamati dal Dipartimento di Stato che non è contento del loro lavoro. I cattivi restano nelle terre di missione e moltiplicano i guai. Il pamphlet, come si vede, è così candido e così malato alla rovescia, dei medesimi vizi che si illude di denunciare e combattere; che la sua fortuna spaventa, non per le verità che tenta di dire, ma per la confusione che susciterà negli impreparati cervelli che lo leggeranno. Per mio conto, leggendolo, stante l'analogia dell'aggettivo (forse voluta dagli autori), mi è venuti in mente la famosa faI vok di Andersen, che, in inglese, si intitola appunto The Ugly Duckiing, « 11 brutto anatroccolo ». La ricordate? Era brutto, brutto, ma, quando, alla fine, crebbe, mise ali e piume, si scoprì che era un meraviglioso cigno; il più bel cigno dei laghi del mondo. Assurdo per assurdo, non sarà un cigno anche ì'Ugly American? Speriamolo, visto che il libro non ci ha lasciato altre speranze. Antonio Barolini mini limili i iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii