Durante il '58 venduti in Italia quasi tredici milioni di diselli di Francesco Rosso

Durante il '58 venduti in Italia quasi tredici milioni di diselli CANZONI SENTIMENTALI E AFFARI D'ORO Durante il '58 venduti in Italia quasi tredici milioni di diselli La borsa-valori dei cantanti è piuttosto complessa - Gli impresari, con una specie di « cartello », cercano di stabilizzare i prezzi - Una serie di cifre impressionanti - Ma basta una incespicatura o una nota presa di traverso a compromettere seriamente le quotazioni (Dal nostro inviato speciale) Viareggio, 12 febbraio. Aspersa di cenere, la Quaresima ci invita a meditare sulle vanità. Dedicate alle canzonette, le nostre vorrebbero essere meditazioni leggere, lontane dalle problematiche esistenziali, ma un'attenta valutazione degii argomenti ci insinua il dubbio che il « canzonismo » da cui .siamo afflitti possa essere non soltanto un aspetto del nostro costume, ma anche un indice delle nostre condizioni economiche e culturali. II fanatismo con cui ragazzi e donne di ogni età assaltano i canzonettisti in voga per strappargli un autografo, o anche un lémbo di vestito da conservare come reliquia, non significa ancora nulla, se non un'aberrazione del gusto. L'autografo, infatti, non costa, ma dopo averlo ottenuto, i cacciatori di firme vanno nel più vicino negozio a comperare i dischi del loro idolo canterino. Se sono esatte le cifre rilevate da una recente statistica, e tutto lascia credere che siano esattissime, durante il 1958 si sono venduti in Italia quasi tredici milioni di dischi. Sempre dalla stessa inchiesta, si rileva che vi sono in Italia oltre un milione e mezzo di giradischi. Le categorie sociali che li posseggono sono le più disparate 11 [i 11111111111! M1111M> 11(11 f ! 11111! i111111MI [ 11 [11 [I !(11 e gli studenti rappresentano una maggioranza massiccia, ma nella graduatoria si legge che l'otto per cento dei giradischi appartiene ad operai e manovali, il due per cento a braccianti agricoli. Questo elemento induce a riflessioni di carattere economico, chi paga le tre, quattro ed anche cinque mila lire per andare al veglione in cui si esibisce come numero d'attrazione un cantante alla moda, non sono soltanto gli studenti cacciatori di autografi, ma soprattutto giovani contadini ed operai afflitti dal < canzonismo ». La conferma di quanto diciamo ci viene dalle dichiarazioni di Gianni ed Enzo Piccoli, impresari di Domenico Modugno ed Aurelio Fierro, oltre che editori di canzoni. « Gli incassi più sicuri, ci dicevano i due fratelli calabresi, noi li facciamo nei piccoli centri agricoli, i contadini non discutono mai sulla cifra se desiderano ascoltare un cantante che gli va a genio >. Queste cifre rasentano sovente il mezzo milione per sera. Come abbiamo già scritto, Domenico Modugno pretende, e ottiene, settecento mila lire per interpretare mezza dozzina di canzoni, ma egli rappresenta un fenomeno particolare, e il grosso compenso non stupisce. 1111 II 11!IT11 [111111111111111111 [I i 11 ! 1 < 11 ! 111L! M ! i 1 [ 1 ! !I Ciò che lascia, invece, perplessi è il successo di altri Ci ti che, proporzionalmente, bagnano assai più di Modugno. Quest'ultimo, infatti, chiede settecento mila lire per un'esibizione, ma riesce a farne tre o quattro in un mese. Aurelio Fierro, invece, chiede ed ottiene mezzo milione per serata, ma è capace di infilarne una ventina ogni mese. I fratelli Piccoli raccontano queste faccende con distacco professionale, per loro i cantanti "ino macchine vocali che richiedo io una particolare manuterzic ne perché rendano il mass'-.o. Questa manutenzione consiste soprattutto nel dosaggio, cioè nella distribuzione dell'attività canora in modo da non ingenerare sazietà negli ascoltatori. Gli impresari dei vari cantanti sembrano avversari irreducibili, in realtà hanno formato una specie di « cartello » che stabilizza i prezzi ad un livello pressoché inalterabile. « Se noi volessimo provocare il crack di alcuni cantanti, ci dicevano i fratelli Piccoli, dovremmo solo abbassare il prezzo di Modugno e di Fierro; immediatamente anche Nilla Pizzi e Tonina Torrielli dovrebbero scendere a quote più basse, per noi il gioco al ribasso non sarebbe grave, se Fierro scende da mezzo milione a 300 mila lire per sera può considerarsi ancora ben pagato; ma il cantante che ora ne prende 200 mila dovrebbe accontentarsi di sessanta mila, e la legnata sarebbe severa». La « borsa valori » dei cantanti non è così chiara e semplice come i fratelli Piccoli vorrebbero dimostrare, fattori estranei al valore degli interpreti assumono ruoli importanti, una esibizione sbagliata, o impostata male, pregiudica le quotazioni. Nello spettacolo di Sanremo, trasmesso per televisione, più di un cantante di nome ha incespicato, vuoi perché doveva interpretare canzoni non adatte a lui, vuoi per una nota, presa di traverso. Non intendiamo riferire casi specifici, anche per non offendere suscettibilità già esasperate, ma riferire soltan to particolari più o meno noti sulle quotazioni dei cantanti quali li abbiamo appresi dai fratelli Piccoli. Come già abbiamo detto, Aurelio Fierro guadagna mezzo milione per sera ed è impegnato fino a tutto luglio. Dopo Modugno, il grassoccio quasi ingegnere napoletano è il canterino d'Italia che guadagna di più con la voce. Claudio Villa, invece., si accontenta di 350 mila lire, ma' secondo i fratelli Piccoli è poco richiesto perché, avendo gran considerazione per la sua arte, quando canta pretende che i ballerini stiano fermi in mezzo alla sala, ad ascoltarlo in religioso silenzio. Le quotazioni di Nilla Pizzi sono sempre ferme a 300 mila lire, di Tony Dallara sulle 250 mila, di Achille Toglianl sulle 200 mila. Le coppie canterine hanno quotazioni complessive, c 111111 ■ 11111111 ! 111111 > 11 e < 1111 r : i r i : 11 min i due coniugi si esibiscono Insieme nelle sale di bailo; Fio Sandon's e Natalino Otto guadagnano quanto Carla Boni e Gino Lattila, circa 400 mila lire a serata. II giovane Arturo Testa, affermatosi a Sanremo, è passato dalle 80 mila iniziali a 200 mila ed una quotazione quasi identica ha ottenuto Wilma De Angelis. Tralasciamo altri cantanti, anch'essi noti e ben retribuiti, per non allungare troppo la lista. Se si calcola che per buona parte dell'anno questi despoti delle nostre orecchie girano da una sala di ballo all'altra della Penisola, possiamo concludere che in dodici mesi gli italiani spendono un non trascurabile numero di miliardi per ascoltare canzonette quasi sempre ovvie, se non banali. Trarre una morale da un simile stato di cose sarebbe facile, soprattutto in questo periodo di quaresimale mortificazione, ma sarebbe anche inutile; a Mordano, in provincia di Bologna, ed a Bitonto, in provincia dì Bari, continuerebbero a pagare 700 mila lire per ascoltare sei canzoni da Modugno. Se questo è il gusto corrente c'è poco da fare i diffìcili. Tutto sommato è meglio che la gente ascolti Modugno, o Fierro, piuttosto di nulla, come è meglio che guardi ì fumetti piuttosto di non leggere. Verrà anche il giorno in cui apprezzeranno Bach e leggeranno i « Promessi sposi ». Francesco Rosso