La giornata del «no» di Fanfani di Nicola Adelfi

La giornata del «no» di Fanfani CRONACA DELLA CRISI E DI UN 'FUGGEVOLE ALLARME La giornata del «no» di Fanfani Una breve preghiera prima di recarsi al Quirinale - Colloqui con Sceiba e Peila - Tutti persuasi che avrebbe accettato l'invito di Gronchi - Quando le sirene annunciano il tocco, qualcuno esclama: «L'arrosto comincia a puzzare di bruciato* - Poco dopo Fanfani appare, tranquillo, con un foglietto in mano; legge, lentamente, il rifiuto a ricomporre il Governo - Una ventata di voci minacciose si abbatte sulla capitale, ma subito si affloscia e si disperde (Nostro servizio particolare) Roma, 5 febbraio. San Giuseppe al Trionfale è una chiesa del primo Novecento, di architettura convenzionale di carattere rionale, una chiesa insomma con poche pretese artistiche, ma da qualche giorno era diventata uno dei luoghi di incontro per parlamentari e giornalisti. Andavano là di buon mattino per spiare sui lineamenti dell'on. Fanfani gli indizi della crisi governativa. Stamane il gruppo degli osservatori era molto consistente, e poco dopo le 9, quando è entrato nella chiesa Von. Fanfani, chiuso in un soprabito color grigio a due petti, molto serio ma tranquillo, un sussurrio ha attraversato le navate. Lo statista si è genuflesso davanti all'altare maggiore, ha pregato per cinque minuti col volto piegato nelle mani. Poi si è alzato, si è avviato verso l'uscita, con lo sguardo fisso, senza forse accorgersi della curiosità che lo seguiva con cento occhi. Dieci minuti dopo è arrivato a Piazza del Gesù, e col suo passo breve ma rapido si è recato in quello studio che ha occupato per cinque anni nella segreteria del partito. Proprio come se non fosse successo niente nei giorni scorsi, Von. Fanfani ha salutato al passaggio impiegati e uscieri, e ha ricevuto subito Von. Sceiba. « Stanno mettendosi d'accordo sugli ultimi particolari per il rimpasto », spiegavano i giornalisti agli ultimi arrivati. Pacifica era ormai la persuasione che Fanfani avrebbe accettato l'invito del Presidente Gronchi IIMIIMIMIIIIIIIIIIIIIIMIIIIIIIIllllllllllllllllllll e rimaneggiato la composizione del ministero. Poi arrivò Von. Fella, col suo ampio sorriso, disinvolto, signorile, e anche lui andò a discorrere per una ventina di minuti a quattr'occhi con Fanfani. Di lì a poco si riunì la Segreteria politica del partito: Zoli, Piccioni, Gui e Rumor. Il più euforico di tutti appariva Zoli. Un giornalista gli domandò: « Che farà il quadrumvirato della dct>. E Zoli: <Per l'amor di Dio, non parliamo di quadrumvirato. Né io né i miei colleghi si sentono quadrumviri; anche perché non vorremmo andare a finire a Verona/». Al Quirinale si aspettava a mezzogiorno l'arrivo di Fanfani, ma già dalle undici il salone dei corazzieri era gremito di giornalisti, fotoreporters, cinematografari, tecnici della televisione e della radio; particolarmente nutrito lo stuolo dei giornalisti stranieri. Diversi capannelli erano intenti a studiare come Fanfani avrebbe rimpastato il ministero prima di ripresentarsi a chiedere la fiducia al Parlamento. Si dava per certo che Von. Fanfani avrebbe tenuto per sé solo la Presidenza del Consiglio, e avrebbe dato gli Esteri a Gonella, la Segreteria della de a Piccioni. Quanto a Pella, avrebbe assunto la direzione del bilancio statale, cioè sarebbe stato messo in una posizione preminente rispetto ai ministri del Tesoro e delle Finanze. < E Sceiba, dove lo mettiamoti domandò qualcuno« Alla Difesa ». « Afa allora Segm sarebbe messo da partei ». « Macché, per Segni è pronto il posto di ministro llll Illlf lllllllllllltll 1111111111111111111111 Guardasigilli che Gonella lascia per andare a Palazzo Chigi >. Quando i vari dicasteri vennero tutti sistemati secondo il calcolo delle probabilità, si pa-ssd da parte dei giornalisti alla assegnazione dei posti fra gli aspiranti sottosegretari. Ronzavano le lampade fotoelettriche, il calore cresceva. E cresceva anche la contentezza. Sembrava che quella dovesse essere l'ultima ora di una crisi durata a lungo e che aveva già stancalo quanti hanno il dovere professionale di seguire passo passo gli avvenimenti politici. E c'era anche un'aria di commiato fra , giornalisti, fotografi, cinematografari da una parte e i funzionari della Presidenza della Repubblica dall'altra. La giornata era sciroccosa, il cielo gonfio di basse nuvole pesanti, ma nessuno se ne accorgeva. E' sempre una festa la conclusione di una crisi governativa, e quando verso mezzogiorno Von. Fanfani j giunse al Quirinale, un senso di sollievo gonfiò i petti a quasi tutti coloro che stavano serrati nel salone dei corazzieri. Alla stessa ora una folla di parlamentari quale si vede solo in rare occasioni passeggiava su e giù nel <Transatlantico » di Montecitorio. Lo stesso avveniva nei saloni rossi e felpati di palazzo Madama. E dappertutto eguali erano i discorsi. Si facevano i nomi dei ministri uscenti e di coloro che li avrebbero sostituiti, per l'ennesima volta si allineavano numeri su buste, giornali taccuini per calcolare quanti voti avrebbe raccolto Fanfani con la nuova edizione ministeriale. Per ingannare l'attesa, si mandarono a prendere i giornali del pomeriggio. L'articolo di fondo del Paese Sera, quotidiano dell'estrema sinistra, sparava grosse invettive contro Fanfani per il fatto che aveva accettato di tornare a capo di un « governo strabattuto, squalificato e che si regge sui voti dell'ipocrisia e del disonore ». Analogo all'incirca era il linguaggio che tenevano i parlamentari e la stampa missina. Insomma, da tutti gli osservatori il panorama politico appariva lo stesso: Fanfani era andato da Gronchi per ritirare le dimissioni e ritornare alla testa del Governo. Passò un quarto d'ora, poi mezz'ora. Fanfani era sempre di là, nello studio di Gronchi. Che mai avei:ano da dirsit Cominciarono i primi dubbi, ma furono come lievi nuvole in un cielo terso. Presto la fiducia tornò. Si pensò dai i>iù e si disse da qualcuno che i due statisti stavano mettendosi d'accordo sui particolari del comunicato. Trascorse un altro quarto d'ora, l'urlo delle sirene annunciò che era il tocco. « L'arrosto comincia a puzzare di bruciato », disse un vecchio resocontista parlamentare aggiustandosi gli occhiali a pince-nez. Un altro aggiunse: « Quando la giuria tarda ad emettere il verdetto, è brutto segno per l'imputato >. Una pendola da qualche parte suonò le tredici e un quarto. Le facce si allungarono, il concitato brusio di un'ora prima si era mutato in un silenzio rotto solo dal friggere delle lampade fotoelettriche. Alle lsjss, da una porta sul lato sinistro del salone dei corazzieri, comparve Von. Fanfani. Era tranquillo, fiducioso, sorrideva senza malizia, e sembrò questo un indizio sicuro che tutto fosse andato per il meglio. Aveva in mano un foglietto di carta, vergato con una matita, e cominciò a leggere con voce lenta, pacata. Quando terminò e alzò il capo dal foglietto venne a trovarsi quasi solo. I giornalisti erano corsi via a telefonare l'inaspettata notizia e si sarebbe detto che avessero il diavolo alle calcagna. Nella loro furia travolsero macchine fotografiche, fili telefonici, cavi elettrici, una consolle. Poi, nelle prime ore del pomeriggio, cominciarono a correre per Roma, sotto la Galleria di Piazza Colonna e nei caffè di Via Veneto, davanti ai chioschi dei giornali e nelle abitazioni private, notizie terribilmente al¬ a>Miiiiiiìiii il 111 i ■ 11111111 i 11111 ! 11111111 ! i m il 11 larmanti. Si parlava di colpo di stato, di ministeri presidiati dalle forze dell'ordine, di reggimenti consegnati in caserma. Ma non fu che una ventata. E nessuno forse riuscirà mai ad accertare da quale canto cominciò a soffiare sulla città. L'allarme in breve si afflosciò, il buon senso restituì alla vicenda Ingiuste proporzioni. Verso le cinque del pomeriggio nel salone dei passi perduti a Montecitorio già si rideva delle voci di poc'anzi, i deputati andavano riunendosi a gruppi per esaminare la nuova situazione e decidere sul da farsi. Alla buvette della Camera il consumo del caffè, dopo le alte punte raggiunte nei giorni scorsi, tendeva stasera a tornare normale. Era invece in aumento il consumo delle bevande a base di rabarbaro. Nicola Adelfi 111 m 11 u 111111 n 11111 u 11: i n ! 111111111111 i hi 11 i i n 11

Luoghi citati: Pella, Roma, Verona