Su cento franchi di guadagno cinquanta vanno alla collettività di Francesco Argenta

Su cento franchi di guadagno cinquanta vanno alla collettività —IL SACRIFICIO DEI CITTADINI IN FRANCIA =— Su cento franchi di guadagno cinquanta vanno alla collettività La parte del leone la fa lo Stato, con trentacinque franchi per imposte e tasse - Ma l'èra dei sacrifici è appena all'inizio • Un coro di lagni, soprattutto delle classi che formano il ceto medio - Una riforma intelligente ed ardita in campo fiscale: tutti finiranno per pagare il giusto? (Nostro servizio particolare) Parigi, febbraio. Il conto è presto fatto: per ogni cento franchi che il cittadino francese guadagna, cinquanta vanno alla collettività: trentacinque se li prende lo Stato per imposte e tasse, otto finiscono nelle casse degli enti che gestiscono i servizi della sicurezza sociale e che li ridistribuiranno poi variamente, altri otto circa sono destinati a quadrare i bilanci delle imprese nazionalizzate in cui trovano occupazione, fra operai ed impiegati, due milioni circa di lavoratori. Il calcolo non è cervellotico, non è neppure complicato: ogni cittadino è in grado di farlo da sé, senza ricorrere ai lumi dei/li economisti, senza che i tecnici debbano tenergli la mano per eseguire il conteggio. , Questo pesante sacrificio cui il cittadino francese è chiamato deriva dalle dimensioni assunte dalla spesa pubblica nel bilancio della lllIlllllllllllllllllItllllMllllllIllilUlllllIIIflIlllllllll nazione. Sotto la Quarta Repubblica la maggiorazione della spesa aveva valicato i cinquecento miliardi; agli albori delta Quinta Repubblica l'eccedenza della spesa è preventivata in almeno mille miliardi. Non è dunque chiusa l'èra dei sacrifici: i salassi maggiori sono ancora da venire. E questo, come apparo logico ed umano, legittima le reazioni che si vanno diffondendo qua e là di fronte alle misure prese dal governo: spiega lo scontento che va diffondendosi in taluni strati sociali per le conseguenze cui può addurre la politica finanziaria perseguita sotto la Quinta Repubblica. Se vogliamo essere schietti, il mécontent che serpeggia fra la popolazione francese è orchestrato m chiave analoga a quella in cui è modulato da noi il mugugno cui si abbandona la gente. Ci sono, in effetti, delle analogie concrete, obiettive, nella situazione dei due paesi per quanto riflette il sacrificio lIIIIIIIIIIIIIIlllllIllllllItlllllllItllHIIIIIIIlllllllIl imposto dallo Stato alla g~éneralità dei cittadini. Anche da noi la pressione fiscale attinge vertici altissimi; il costo della sicurezza sociale è eccezionalmente elevato, con l'aggravante che, da noi, la dispersione dei mezzi è maggiore e le prestazioni finiscono per risultare minori; le aziende Iri, frizzate ed irizzande sono infine senza numero e per tenerle in piedi lo Stato — vale a dire la massa dei contribuenti e dei cittadini — va incontro ad oneri sempre più gravosi. Sennonché non c'è alcuna analogia fra la struttura economica, le risorse individuali e collettive proprie di questo paese e quelle che sono caratteristiche del nostro. Sono diverse del resto, fra l'uno e l'altro paese, anche le tradizioni, ma ancor più le situazioni contingenti in cui può trovare giustificazione l'intervento in forma drastica dello Stato. Nessuno qui contesta che per un governo è più coragg oso e 7iello stesso tempo meno pregiudizievole per gli interessi dei cittadini proseguire la guerra che divampa tuttora in Algeria facendone pagare le spese senza ricorrere al torchio, ancorché questa misura sta produttiva di scompiglio e malcontenti diffusi, che associare ni rischio dell'avventura bellica il rischio del crollo o della polverizzazione della moneta. M. Rticff. uno dei più alti consiglieri di Pinay, va ripetendo ai quattro canti che < le frane sauverà la France », il che è quanto dire che un paese con moneta sana è al sicuro da ogni pericolo, da ogni avventura. Alla stregua di questo principio, tutte le misure che sono stateadottate dal governo, masstmumente quelle che modificano ed innovano il sistema della imposizione fiscale, dovrebbero considerarsi dettate da una logica ineccepibile e implacabile: ineccepìbile per lo spirito che le ha dettate e i risultati che se ne possono ottenere; implacabile, infine, per coloro che sono destinati a sopportarne il peso o le conseguenze. Ed, ecco, pur consentendo con quello che va affermando M. Rueff, levarsi, insistenti e nutriti, i lagni e le eccezioni. C'è chi ricorda che altra volta Pinay ha < raddrizzato » il claudicante corso della moneta senza ricorrere ad un inasprimento delle imposte, senza dilatare il volume della pubblica spesa. E, nel solco di questa rievocazione che mette in gioco il prestigio e l'abilità del ministro delle Finanze, i vecchi rentiers, i tesaurizzatoti che non hanno esitato nel giugno dell'altr1 anno ad offrire allo Stato i lingotti d'oro che avevano in cassetta, lamentano che la svalutazione della moneta, intervenuta due mesi dopo, ma prevedibile per il governo già^ all'atto della emissione del" prestito, abbia cagionato loro una perdita di capitale che è valutabile intorno al dodici per cento. Su questa china, i méeontents non fini¬ scono. Si lagnano gli industriali, i quali si vedono assoggettati ad. un sovraccarico fiscale e sociale, e preconizzano a breve o lunga scadenza, una recessione; si lagnano gli agricoltori i quali sostengono che lo Stato, anche nella palingenesi che va subendo, rimane il loro tradizionale e secolare nemico. E nel coro dei lagni, non mancano quelli che si levano dal ceto medio: i professionisti, gli artigiani, i piccoli commercianti. Nella varia gamma degli inasprimenti fiscali che sono stati decisi, uno solo ha trovato sinora attuazione: ed è l'aumento della « tassa proporzionale » cui sono assoggettati in via esclusiva gli appartenenti alle classi che formano il ceto medio. C'è chi, seriamente, prospetta l'ipotesi che un inconfessato proposito abbia guidato gli artefici della riforma monetaria e di quella fiscale (e sono, non occorre dirlo, i gros bonnets dell'amministrazione) nel premere la mano sul ceto medio, a cui si fanno risalire le responsabilità degli aspetti ancora arcaici che presenta in tanti settori l'economia del Paese. Ma c'è anche chi sostiene che l'ordinanza con cui è stato radicalmente innovato il sistema della imposizione e che ha introdotto nella pressione tributaria la tassazione in base ai signes extérieurs de richesse è stato concepito e dettato col proposito di mortificare, colpire ed abbattere il ceto medio, così come la riforma giudiziaria ha fatto strage dei piccoli tribunali ài provincia e la riforma amministrativa che è in elaborazione condurrà alla soppressione di metà delle prefetture nei centri più periferici e dimenticati. E' manifestamente una esagerazione, cotesto: un motivo polemico che è suggerito dalla concitazione con cui si dipanano le discussioni. In effetto la tassazione fondata.sui signes extérieurs de richesse e che costituisce il caposaldo della riforma fiscale sancisce un principio la cui applicabilità non è ristretta agli appartenenti ad una classe, ma è estesa agli appartenenti a t'utte le classi. E' il meccanismo più idoneo per ottenere quella « semplificazione » ìlei servizi.di accertamento che è prevista in un apposito titolo della ordinanza pubblicata dal Journal Officiel VII dicembre per conseguire quella perequazione che è unanimemente nei voti della classe più umile; per combattere le frodi e le evasioni che qui, come da noi, sono numerose e cospicue. La formula ha una portata che trascende quella, assai incerta, del < tenore di vita » che. era assunta da noi, in passato e in certe occasioni ancora oggidì, come base per gli accertamenti da parte degli uffici. I ritocchi che il Parlamento, presto o tardi, dovrà.apportare alle leggi Va?ioni e Tremelloni per perfezionare e raggiungere una buona vol¬ ta la perequazione tributaria, non potranno non tenere conto dell'esperienza che si sta per fare in questo paese. La tassazione in base ai signes extérieurs de richesse ?ion si identifica con un procedimento di tipo sommario, non esclude l'accertamento analitico. Fa obbligo ai contribuenti di denunciare le condizioni in cui vivono, le superfluità di cui godono o sono in possesso. Quanti vivono modestamente nella città in cui hanno la residenza e posseggono ville e castelli in provincia dove si rifugiano ad ogni mutar di stagione? L'ordinanza 11 dicembre stabilisce dei parametri per graduare e colpire i signes extérieurs de richesse. Si tratta dì coefficienti che sono destinati, nel corso di questi giorni, dopo la necessità di un aménagement del sistema contributivo, riconosciuta dallo stesso De Gaulle, a subire dei ritocchi. Già si annuncia che il possesso di una automobile non sarà più colpito in base alla potenza della vettura col coefficiente di settantacinquemila franchi per cavallo vapore, ma in base al valore di mercato dell'automobile e che quanti si servono della macchina per lavoro non avranno noie dal fisco. Tutta la trafila, del resto, delle ordinanze e dei decreti che sono stati emanati e che si vanno emanando, in campo fiscale, come negli altri campi; le interpolazioni e le abrogazioni che ha subito il codice delle imposte, sembrano ispirate ad un intento moralizzatore che mira a contemperare gli interessi dei cittadini con le esigenze dello Stato e della collettività. Ed è sicuramente questo intento moralizzatore della vita nazionale, espresso a parole dai governanti e trasfuso nei testi che vanno vedendo giorno per giorno la luce, che finisce per sopire i dissensi e le voci discordi, per far prevalere, anche in cospetto dei pesanti sacrifici che lo Stato richiede, la rassegnazione o se vogliamo il buon senso. Francesco Argenta llnmbdeqlmmnm

Persone citate: De Gaulle, Pinay

Luoghi citati: Algeria, Francia, Parigi