Il concerto Kempe-Kogan
Il concerto Kempe-Kogan Affisiche tir Beethoven aiVAuditorium Uni Il concerto Kempe-Kogan Il nome e la persona di Rudolf Kempe riuscivano iersera nuovi, sembra, al frequentatori dei concerti a Torino. Ma di qualche città italiana è già stato ospite. La sua carriera, non rapida, ma graduata, procede lietamente. Ha quarantotto anni. Nato presso Dresda, cominciò oboista, e tanto fu stimato da partecipare all'Orchestra del famoso Gewandhaus lipsiense. Ampliati gli studi, potè aiutare insigni direttori in parecchi teatri, infine divenire Generalmusikdirektor a Dresda. 1/ouverture dell'Egmont e la VII Sinfonia di Beethoven gli davano una invidiabile occasione di presentarsi, e subito ottenere attenzione, stima, simpatia. Concertatore preciso, nitido, spiritualmente fedele al testo, fervido senza esagerazioni, misurato c appropriato nella varietà degli accenti, dei coloriti, sobrio nel gesto, meritò applausi calorosissimi, anche per la solidale intesa col violinista Leonide Kogan, nel Concerto di Beethoven. Il gran richiamo delle opere di Beethoven e la presenza appunto del Kogan, tanto ammirato l'altra sera al Conservatorio specialmente in una Partita di Bach, avevano fatto insolitamente affollare l'Auditorium. In generale, le caratteristiche della tecnica riapparvero eccellenti. Se è lecito I esaltare la bellezza del suono, come elemento di per se stante, e non ancora nella funzio ne espressiva, 11 caso del Kogan è fra 1 più singolari. Dalla quarta corda al cantino l'omogeneità è costante, rotonda, vibrante, purissima, e tanto vellutata e delicata, quanto energica e appassionata. Questa varietà di risorse, cui presiedono la più vigilata agilità sulla tastiera e l'archeggiamento più mutevole, dal legato allo scatto, è pronta all'espressione, e, si direbbe, all'intimo canto. Tali virtù servirono iersera devotamente gli originali accenti drammatici e gli inevitabili ricorsi del virtuosismo nel Concerto di Beethoven. Da parte la concordia nella concertazione, l'intendimento del tre tempi risultò intenso e specifico. Nell'Allegro ma non troppo l'attacco, quasi uno sfogo dopo la lunga attesa, che sovente anche 1 maggiori rendono stridula e convenzionale, fiorì con signorile slancio nelle acciaccature, nelle terzine, nelle ascese ardite, e dolcemente, com'è prescritto, si congiunse con i miti accordi dell'orchestra. Notevole fra l'altro la limpidezza dei non brevi trilli, (un'influenza, sembra, della concertistica francese sulla beethoveniana), trilli non vanamente brillanti, ma, quant'è possibile, venati d'un sentimento, e corrispondenti al dominante moto sentimentale. Alla cantabilità vaporosa candida e toccante del Larghetto, il Rondò si contrap pose delizioso, con 11 piglio « allegro » e giustamente marcato, sulla espansività della quarta corda, immune da quella ruvidezza un poco po polaresca di cui altri si coiti piace. Una interpretazione schietta, un'esecuzione impec cabile. Ed acclamazioni unanimi, entusiastiche. Una serata felicissima, a. d. c.
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