Con relitti delle città martiri è sorto il «tempio della fraternità» di Giovanni Giovannini

Con relitti delle città martiri è sorto il «tempio della fraternità» L'INIZIATIVA DI UN PARROCO IN UN PAESINO DEL VOGHERESE Con relitti delle città martiri è sorto il «tempio della fraternità» Sassi, mattoni, frammenti giunti da tutte le parti del mondo devastate dalla guerra: Dresda, Varsavia, Hiroscima... - "Dentro il mio altare, dice sommesso il sacerdote, ci sono più di cento reliquie* - // monumento al Milite Ignoto di tutte le nazioni (Dal nostro inviato speciale) Cella di Varzi, 6 gennaio. Sulle normali carte geografiche, Cella di Varzi non è nemmeno segnata: dalla piana tortonese ci si arriva o per la Val Scoffera o per la Val Curone, e per l'una o per l'altra via occorre ad un certo punto arrampicarsi nel fango di strade di montagna quasi inaccessibili d'in\ernu, addentrarsi in un saliscendi di colline. Siamo all'incrocio fra Lombardia, Piemonte e Liguria, in una zona povera e poco conosciuta: Cella soltanto sta diventando nota in tutto il mondo. Il suo parroco ha lanciato un appello, e dai cinque continenti continuano ad arrivare lettere, pacchi, casse piene degli oggetti più singolari. Don Adamo Accosa sembra ancora un seminarista con ) suoi occhi chiari, il gestire vivace, l'atteggiamento modesto: ma ha più di quarant'anni, ha fatto la guerra come cappellano militare. « Sui monti del¬ la Grecia — mi racconta — nel raccogliere l'ultimo anelito di tanti ragazzi di una parte e dell'altra, ebbi la prima idea di far sorgere qualcosa che segnasse la fine dell'odio e la vittoria dell'amore, di costruire un " Tempio della fraternità". Sogni di un giovane prete, quasi abbandonati quando, finita la guerra, mi ritrovai parroco di questa povera frazione » Fu proprio l'avversità a far rinascere d'improvviso l'antico progetto. La grande alluvione del '51 risparmiò tutte le case del paese salvo la vecchia chiesa parrocchiale di San Colombano: franarono le mura, s'inclinò il campanile, si dovette ricorrere al genio militare per far saltare tutto. « Mentre rimbombavano le esplosioni, davanti alla gente di Cella riunita e attonita, sentii che era venuta la grande occasione di ridare al paese la chiesa, al mondo il " Tempio della fraternità ". Ma dove trovare tanto danaro? Attorno a me non c'era che miseria ma mi misi in movimento, mi pinsi lontano, chiesi in Francia e in Svizzera, e gli ambienti cattolici di Parigi e del Cantone di San Gallo, in particolare, furono subito larghi di comprensione e di aiuto». Don Adamo però non aveva solo bisogno di danaro, voleva qualcosa di nuovo e di unico per il < Tempio della Fraternità >. Il giovane parroco intinge la penna, scrive in italiano centinaia di lettere, verga gli indirizzi più insoliti: chiede sassi, terra, mattoni, che attestino le sofferenze di tutte le città martiri del mondo, senza distinzione di parte. E il semplice prete sa evidentemente toc» care il cuore se da ogni continente le risposte cominciano ad arrivare, e con esse gli oggetti richiesti. Un elenco completo sarebbe interminabile. Ecco da Dresda comunista due cimeli, un capitello da Berlino, da Colonia la base di una bifora del duomo, una pietra dal castello di Norimberga, daHa luterana cattedrale di Lubecca un (ìlemento della facciata, un mattone dal ghetto di Varsavia, da Aquisgrana una pietra della Cappella, di Cario Magno. Ed ecco dal Giappone, frantumi delle chiese atomizzate di Hiroscima, schegge da Nagasaki, pietre dalla cattedrale di Seoul. L'elenco continua sempre perché continuano gli arrivi: « dentro il mio altare — dice sommessamente il parroco — ci son più di cento reliquie ». Con il danaro, con j,U oggetti, coll'opera prestata gratuitamente dalla gente del posto, la chiesa comincia a sorgere. Nel Natale del '54, don Adamo vi può celebrare la prima messa: il freddo, nel grande edificio senza finestre, era tanto che si dovettero accendere due grandi fuochi sul pavimento. Ancor oggi il Tempio non è finito, manca la porta, c'è da ricoprire il campanile dove il parroco vuol mettere un faro che già gli è stato donato dai suoi amici di San Gallo. Quanto alle campane, ne vuole cinque ma per ognuna aspetta che gli arrivi bronzo dai cinque continenti (e già l'ha ricevuto da paesi europei e dalle Americhe). Fatto il Tempio, don Adamo è già passato alla realizzazione di un secondo progetto che proposto da un altro sembrerebbe megalomane: un « monumento al Milite Ignoto di tutte le Nazioni ». Insieme allo scultore Dino Bonalberti, ci illustra il bozzetto: una grande cripta sotterranea — dove saranno raccolte salme di Caduti Ignoti — sormontata da un blocco sul quale tre figure gigantesche, simbolo delle tre razze principali, sorgono alte su un gruppo dolente che raffigura le miserie della guerra. Un complesso colossale alto più di venti metri « ma — dice don Adamo — non è questo che pont*: io penso soltanto ad un altare davanti al quale possano unirsi in preghiera uomini di tutte le religioni». Col suo quieto dinamismo, Il parroco è già passato ai fatti procedendo alla posa della prima pietra mandatagli in dono dai cattolici di New York. Era fatta di tanti sassolini raccolti dai bimbi di Brooklyn che vi avevano scritto il loro nome, e da una roccia del cimitero militare americano di Arlington; insieme ad essa fu sepolta l'ultima lettera di un austriaco caduto a Stalingrado. Coerentemente, Don Adamo non volle esser lui a benedirla e fece venire a Cella un sacerdote in- diano al quale consegnò per 11 rito un aspersorio russo e acqua del Danubio che gli aveva inviato il borgomastro di Donaueschingen. Il buon parroco conta di terminare l'opera entro l'anno prossimo, pur non nascondendosi che le difficoltà sono grandi a cominciare da quelle di un finanziamento di diverse decine di milioni. A Roma, dove è andato a chiedere appoggio, gli hamnb mostrato molta comprensione ma gli hanno fatto capire che un'opera del genere starebbe meglio tal posti meno desolati, in pianura, magari vicino all'Autostrada del Sole. « A me — dice però don Adamo — sembra meglio qui, in mezzo a queste montagne ». Ci guardiamo attorno dalla scalinata del Tempio senza porta. Si è fatto buio, non c'è una luce sulle colline, fa freddo. Nel buio solo l'altare splende con la lucida enorme granata da artiglieria navale che fa da tabernacolo, l'altare colle cento pietre dai nomi agghiaccianti di Hiroscima e di Dresda, di Colonia e di Seoul, di Nagasaki e di Varsavia, l'altaire del dolore di una generazione, innalzato dalla Speranza e dalla Fede di un piccolo prete di una piccola frazione spersa sull'Appennino fra Piemonte e Lombardia e Liguria. Giovanni Giovannini

Persone citate: Adamo Accosa, Cario Magno, Cella, Curone, Dino Bonalberti, Gallo