Il guardiano notturno

Il guardiano notturno GERMANIA Il guardiano notturno Carlo Lev! ha visitato per la prima volta la Germania e descriverà il suo viaggio in una serie di articoli per i lettori de < La Stampa ». Lo scrittore ha tratto da questa sua nuova esperienza impressioni di forte rilievo e di intensa originalità. Ritorno ora dalla Germania, dalle sue piazze intime di alberi natalizi. Non ci ero mai stato, prima: i ponti del Reno erano rimasti per me un confine non superato; solo avevo una volta intravisto, in una tenera bruma, quella sua pianura, dall'alto di una guglia gotica di Alsazia, in un mattino di agosto, nel 1939, quando stava per partire di là la tempesta e la distruzione; e l'avevo sorvolata poi, in viaggio verso paesi d'Oriente, senza vederne altro che l'eterno bianco cotone delle nuvole, sotto cui stanno celati i suoi milioni di uomini, le sue case, le sue foreste, le sue industrie, i suoi sentimenti, i suoi problemi, la sua ampiezza e la sua potènza. Questa omissione, o lacuna, o mancanza di conoscenza diretta e visiva, potrebbe sembrare strana (lo sembrava anche a me), se non si consideri che la Germania, per molti anni, è stata per molti di noi una terra proi bita: vietata dai fatti, da leggi e da armi. Ma dove sono ora i divieti? Tutto è aperto: il tempo ha trascinato lontano, come un torrente tumultuoso alberi relitti e rovine, anche i ricordi. Non avremo dunque che da guardare per vedere e capire. Andavo fantasticando, mentre l'aeroplano mi portava rapidissi mo nella notte verso ia Bavic ra; curioso di quale sarebbe stata la primissima impressione di quella terra sconosciuta. Perché mi è quasi sempre avvenuto, in tutti i mici viaggi, che il senso di un paese nuovo, che avrebbe trovato poi infinite dimensioni e determinazioni, si formasse in me, liberato da ogni prevenzione e preconcetto, e perfino dal peso ci ogni conoscenza storica e letteraria, attraverso una prima immagine (idea o intuizione, o vago sentimento, o impressione) che, come in un incontro d'amore, prende il carattere della cristallizzazione. Non importa, in fondo, se questa immagine sia in sé precisa e fondamentale: importa che sia vera e viva. Con quale semplice energia mi avevano parlato, nel primo momento, appena posato il piede sui loro selciati, e New York e Mosca! Che cosa mi avrebbe detto, al mio arrivo (anche soltanto con il gesto di un passante, con un suono di voce, cori uno sguardo), la Germania? Questa prima immagine, forse perche attesa, non c'è stata, o non ha avuto sufficiente evidenza. Quello che vedevo attraversando la città di Monaco verso il mio albergo, era così identico a quello che, mio malgrado, sapevo e immaginavo, che era com'è inesistente. Così, ho dovuto cercare poi, e trovare, la realtà, senza partire da un dato iniziale. Se il lettore vorrà seguirmi, negli articoli che verranno, farà con me, a giravolte e senza schemi, un viaggio complicato: tanto la realtà tedesca di oggi mi è apparsa complessa, contraddittoria, ambivalente e non facilmente definibile. Il giudizio verrà dunque dopo, e non prima — e, dove occorrerà, sarà lasciato sospeso.' Ma, se mi è lecito anticipare qualcosa al mio racconto, alla semplice relazione di fatti, e persone, e idee, direi che questa ambiguità delle impressioni non veniva da una mia particolare disposizione dell'animo, o da una mia disattenzione o mancanza di chiarezza, ma, unicamente, dalle cose. Tutto quello che è stato detto, nei modi più diversi e opposti, della Germania in questi anni, dai più svariati e attenti osservatori (dopo che tutti, in tutti i tempi, da Tacito a Goethe, a Heine, a Brecht, ne hanno parlato, e l'hanno espressa e fatta viva), è, in qualche modo, vero: sono giustificati i giudizi ammirativi e entusiastici, e quelli negativi e riservati. Quello che appare oggi all'osservatore non è, mi sembra, una realtà distinta e chiara, né un carattere che si manifesti in modo univoco. E' piuttosto una realtà che si sottrae e si cela: la Germania si nasconde. Non si nasconde al visitatore, che anzi è difficile trovare popolo più aperto e confidente, e apparentemente senza segreti, né diffidenza, né pudori. Non nasconde le sue glorie e le sue piaghe, il suo benessere, il suo ricostruire e risorgere, la sua attività, la sua prosperità, le sue rovine, i suoi sentimenti, le sue aspirazioni, i suoi problemi, le sue statistiche, la sua cultura, e neppure la sua vita privata, le sua case, le sue famiglie, i suoi pasti, i suoi costumi. Non nasconde neppure il suo passato, né, del suo passato, quello che si potrebbe voler nascondere. Non agli altri la Germania si nasconde: si nasconde a se stessa. La Germania (o meglio, per non parlare in termini astratti, 1» maggior parte dei tedeschi, 0 quella parte che basta a determinare l'indirizzo generale, il sentimento dominante e collettivo del paese) è (è ancora) sotto choc. 11 nazismo e la guerra sono stati un trauma di incalcolabile profondità. Malgrado tutte le apparenze (la pace, la ricchezza, il lavoro, il benessere, la gentilezza civile, e .perfino una. certa umiltà — umiltà o umiliazione? —), il trauma non è superato. Permane, opera in profondo: ma, con un processo naturale di rimozione (che permette di sopravvivere), è nascosto. « Terrore e miseria del Terzo Reich », relegati al di là del ricordo, non hanno cessato di agire,' proprio per questo meccanismo di rimozione, su tutti 1 momenti della vita quotidiana. Una profonda censura interna mi pare operi su tutta la vita del Paese (in modo diverso e opposto, ma simile, a Est c a Ovest): una profonda, volontaria e inconsapevole, cosciente o subcosciente, rinuncia: una continua autolimitazione. Tutto, apparentemente, è normale: in alcuni campi, come la ripresa economica e industriale', la ricostruzione, il lavoro, i successi sono più che brillanti: ma qualcosa manca in tutto, quello che fa le cose autentiche e complete. Si sente un vuoto non colmato,' un punto vietato a cui non ci si avvicina : quella che potrebbe dirsi una deformazione ncurotica. La Germania è, in tutti i sènsi, geografici, storici, politici, culturali, il centro dell'Europa: lo è tuttora, tuttora i suoi problemi sono quelli di tutti, c riguardano tutti. Ma è un centro vuoto; un po' come quel punto nel cuore di un ciclone, dove una calma assoluta tiene l'aria innaturalmente immobile. Buttati al lavoro, escono dalle loro mani industriose quantità favolose di merci e di ricchezze: le città distrutte sono rifatte, le macchine corrono sulle più belle autostrade del mondo, le case si specchiano intime nelle acque immobili dei fiumi, i giovani innamorati siedono la mano nella mano, le foreste tramandano l'eterna pace vegetale. Ma è un paese ferito, senza autonomia, un paese offeso, da se stesso oltreché, dagli altri : un paese con gli occhi, chiusi, ostinatamente chiusi. Sotto l'aspetto più dolce e pacifico, e perfino armonioso, forse mai è stato così internamente diviso (non soltanto da frontiere). Così, la originalità creativa, il pensiero, l'arte, la politica stessa, le cose pericolose e vitali, sono, per un'istintiva necessità di sopravvivenza, nascoste, lasciate nel sonno, celate, sospese. La Germania dorme, vegliata dalle sue censure istintive, da un suo coprifuoco, che ha l'illusoria apparenza della rinascita. Che cosa si prepari attorno ai milioni dei suoi focolari, nessuno lo può oggi sapere: se nascerà nuova e più umana, o si sveglie/à feroce, o prolungherà il suo sonno. Ora la Germania è ancora ferita, divisa, offesa, e stanca. Appena arrivato a Monaco, mi aggirai con un amico per le vie della città, tra i rari passanti ben vestiti e ben calzati, le signore impellicciate, frettolose nel gran freddo, davanti alle vetrine illuminate e ricche, finché venne tardi, e le vie, nel vento gelido, si fecero deserte. Mentre sostavamo davanti alle altissime torri della cattedrale, biancheggianti verso la cim» sul cnttrmsRqcitgrtgdrsicrcepnrvvganacbsnmnuiimiiimiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii ciclo invernale, un guardiano notturno, che, avvolto in un antico mantello, faceva il giro di tutti i portoni, ci rivolse la parola. « Ho visto altre cattedrali, molto belle, in Italia. Ci sono stato per la guerra. Quella di Rovereto, di Trento, di Milano, quella di Orvieto... ». Era stato con l'esercito in Italia. («Gli italiani sono ospitali »), era stato a Cassino, a Alatri, a Anagni, a Perugia, a Arezzo, a Firenze, sull'Appennino. Era un tedesco dei Sudcti, con un viso già vecchio dai grossi baffi, uno dei tanti che non a\ rebbero più rivisto il paesi natale. Gli dispiaceva di non poter parlare italiano: «Avevamo imparato il ceco, e poi il polacco, e poi il russo. Allora non eravamo ancora così stanchi. Ma poi, poi eravamo stanchi. Eravamo troppo stanchi per imparare l'italiano ». Ci salutò, con aria militare, e continuò il suo giro. Davanti a quelle case coi tetti spioventi, pareva dovesse lanciare il grido del coprifuoco: «Badate al fuoco e al lume — perché non vi accada malori — Lode al Signor! ». Non era una immagine poetica, ma una figura reale e simbolica. Fuoco e lume sono nascosti, nella notte interna, ostinata e provvisoria, della Germania. Stanchi guardiani notturni vegliano anche sui sogni. Carlo Levi (iiiiiiitiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimi imi

Persone citate: Brecht, Carlo Lev, Carlo Levi, Goethe, Heine, Tacito