Vent'anni in due ore di Mario Gromo

Vent'anni in due ore —= DIETRO Iv O «SOHE^RMO . Vent'anni in due ore Al Museo del Ci nenia, in Palazzo Chiablese, domani cominciano le proiezioni con l'« An tologia del cinema muto italiano» - Da «(Cabiria» alle dive: la Borelli e la Berlini, la Menichelii e la Jacobini, Hesperia e la Karenne - Il film d'avventure e la «Comica finale» Il Museo del Cinema, a Palazzo Chiablese, comincia a mantenere le sue promesse. Da domani la piccola sala, capace di centoventi posti, inizierà le proiezioni dedicate ai visitatori, che vi potranno assistere con il semplice biglietto d'ingresso al museo. Tali proiezioni s'inquadrano, direi naturalmente, nel programma della singolare istituzione, corrispondono ai suoi dichiarati scopi culturali. Offrire, di fatto gratuitamente, quanto, di meglio il cinema abbia prodotto, dai suoi inizi a oggi; offrirlo non già a un ristretto gruppo di soci, o di abbonati, ma agli spettatori più diversi, anche.occasionali ; e offrire le singole proiezioni non per un solo giorno ma, di volta in volta, per una settimana. (Questo è nelle concrete intenzioni di chi dirige il museo, se a tale buona volontà non verrà meno un sufficiente favore da parte del pubblico). Il primo «titolò» è in apparenza un po' scolastico (Antologia del cinema muto italiano), m;a non potrebbe essere più .interessante. Da qualche anno il Centro Sperimentale di Cinematografia l'andava preparando, a cura di Antonio Pe trucci, e con la collaborazione di Walter Alberti, della Cineteca Italiana di Milano, e di Fausto Montesantl, direttore della Cineteca Nazionale di Roma. Grazie alla cortesia di Leonardo Fioravanti, che dirige il Centro Sperimentale,, si avrà cosi a Torino la < prima assoluta» dell' Antologia, destinata poi a una sua < tournée » nelle altre principali città, italiane e straniere. E si tratta davvero di- una rara primizia. Molte sono state infatti le fatiche, di ricerca e di coordinamento, che questi duemila metri di pellicola hanno preteso per giungere allo scopo, che si erano prefisso: condensare in poco meno di due ore di proiezione vent'anni del nostro cinema muto, dai suoi primi albori alla vigilia del film sonoro. Ciò che si può delineare, o rievo care, o rintracciare in libri e riviste, attraverso il saggio, la chiosa e la notizia, averlo invece, vivo e immediato, su di uno schermo. * * E' stata opportuna la deci¬ s ¬ sione di ordinare per <generi» il folto e qualche volta eterogeneo materiale, anche se. quel criterio, ai purissimi, potrà apparire discutibile. Ma si doveva anzitutto servire una chiarezza espositlva, che fosse auto^sufficiénte. Un criterio affidato a una rigorosa cronologia, e che presentasse quindi i vari brani e frammenti seguendo le sole date di edizione del singoli film, avrebbe permesso accostamenti più vivaci e sottili, ma solleciti e significativi soltanto per degli spettatori assai preparati. Così, invece, anche i non... addetti ai lavori, o addirittura gli ignari, potranno seguire, in un paio d'ore, e con interesse, e diletto, l'ampio arco che fu il primo ventennio della . nostra produzione. Còme tutti sanno, gli inizi del cinema furono per lo più documentari. Ed ecco, nel 1896, la figura di Leone XIII, nei giardini del Vaticano; ed ecco, un anno dopo, 1 baffoni di Umberto I, accanto alla regina Margherita, su di una nostra corazzata. Il cinema è subito curioso di tutto, segue anche una corsa ciclistica femminile; ma intanto le sue ambizioni rapidamente si destano; e l'Antologia, dopo un agile prologo dedicato al documentario fra il 1896 e il 1904, affronta il suo primo capitolo, Il film storico. Capostipite ne è La presa d, Roma, di Flloteo Alberini, del 1906; e lungo Oli ultimi giorni di Pompei, che nel 1913 è già a una sua seconda edizione, dovuta a Mario Caserini come regista, ad Arrigo Frusta come sceneggiatore, e a Mario Vitrotti come operatore, Fernanda Negri Pouget protagonista, si giunge a due quasi contemporanei Quo vadis, e soprattutto si giunge a Cabiria di Piero Fosco (Giovanni Pastrone), ohe nel 1914 sarà negli stessi giorni presentata a Torino e nelle principali città d'ogni Paese con grandi or- zchestre per l'apposita partitu- r- composta dà Ildebrando Pizzetti. Con il prestigioso no- me dì D'Annunzio, che si era però limitato a concedere la prò ria firma e a tradurre in cadenze molto dannunziane le didascalie; con il suo ampio respiro, più di' due ore di proiezione; con 11 suo scrupolo di ricerche e di ricostruzioni documentate, ancora oggi sovente esemplari; Cabiria fu una tappa del cinema, non soltanto di quello italiano; e fra 1 suoi vari emuli va certo ricordato un Guazzoni (.Antonio e Cleopatra, Giulio Cesare, Messalina). Il secondo capitolo dell'Antologia è II teatro e il cinema; e si hanno, 'fra altre, apparizioni di Scarpetta, di Novelli, di Zacconi, di Petrolini, della Duse. Il terzo capitolo è Le dive; e riappare tutta una leggenda, con Lyda Borelli e Francesca Bertini, Pina Menichelii e Maria Jacobini, Dia na Karenne ed Hesperia, ac canto ai vari Alberto Collo e Alberto Capo zzi, Livio Pavanelli e André Habay. Il quarto capitolo è II realismo, che presenta fra l'altro ampie sequenze di Assunta Spina (1916) con la Bertini, e alcuni preziosi' fotogrammi di Sperduti nel buio (1914) con Giovanni Grasso e la Balistrieri, del nostro realismo d'allora certo ■ il film più significativo e andato purtroppo perduto, ne esisto no soltanto quei fotogrammi. Segue il quinto capitolo, Film d'avventure, nel quale non poteva non dominare la maschera di « Za la Mort », di Emilio Ghione, e come la stragrande maggioranza degli spettacoli si concludeva in quegli anni con una puntualissima « co mica finale », il sesto e ultimo capitolo è I comici, dove, con ampi .e convulsi frammenti di varie « comiche », se ne dà intera una delle relativamente più fini, Amor pedestre, del 1913, dovuta a Marcel Fabre, molto più noto con il nome di Robinet, fra una schiera di Ridolini e di Tontolini, di Cretinetti e di Polidor. * * Fu, nel suo complesso, una produzione intensa è intensiva, che conobbe dovunque un favore assoluto, quasi incredi ! bile. (In quegli anni il film ! italiano era dovunque vendu- e to a priori, « a scatola chiusa»). Si creò, dati i tempi, una grossa industria dello spettacolo, la maggiore allora esistente, che aveva i suoi prin¬ cmlccvdbbacntsltmc a n a cipali studi a Torino e a' Roma, seguiti da quelli di Napoli e di Milano. Un'industria che dal" suo incontrastato successo fu indotta alla imprevidenza e alla presunzione, i due mali che dovevano indebolirla, e farla presto soccombere, di fronte al massiccio assalto del cinema americano, che da pochi anni aveva visto nascere Hollywood. Ma quanti torinesi ancora sanno, o possono' addirittura ricordare, che la prima Hollywood,, e come tale .riconosciuta )n tutto il mondo, prosperò nella nostra città, fra il 1905 e il 1915? Fu, cinematograficamente, un decennio molto avventuroso, nel quale ogni produttore era. alla sua maniera un pioniere, e il nuovo- linguaggio espressivo andava,, qualche volta un po' tentoni, altre volte senza quasi saperlo, creandosi prima una sua grammatica, poi una sua sintassi. A questo linguaggio,, e alla sua sintassi, l'apporto decisivo doveva essere quello di Pastrone, soprattutto con Cabiria. Un apporto che dovevano poi sfruttare un po' tutti, e specialmente' gli ame ricani, e fra questi un fin troppo celebrato Griffith, che del « colosso » torinese si comprò addirittura una copia, e se la studiò a lungo, accani temente. Per questi e altri motivi' la proiezione di Cabiria dovrebbe poi seguire quella dell'Àntolo già. Lo schermo del Museo del Cinema (nato, con -una tenacia tutta piemontese, proprio a Torino) non poteva iniziare la sua vita se non con una compiuta rievocazione li quello che fu il nostro primo cinema in genere, e di quello subalpino in particolare. Sono ombre, labili e ferme, che si susseguono in un fascio di luce; ridestano echi é fantasmi e ricordi di tutta un'epoca; rivelano àncora una volta quanto prezioso possa essere uno schermo anche come documento di costume. È' so prattutto questa la ragion che ha voluto considerare lo schermo del museo . come i più utile e la più avvincente delle sue vetrine. Mario Gromo