Arte di ieri di Marziano Bernardi

Arte di ieri Arte di ieri Chi trovandosi a Venezia in Cquesti giorni intendesse accer- tarsi di come il gusto figurati- vo italiano si sia evoluto ncll'ul-itimo mezzo secolo, dopo una visita alla tanto discussa Biennale (nel cui diffuso astrattismo ora, con sorprendente acrobazia dell'immaginazione, si vorrebbe persino scorgere un'ansia di rappresentar la natura) non avrebbe che da tornarsene in Piazza San .Marco per nostre nella Sala Napoleonica, dove stanno riunite 190 opere di otto artisti. Sono Ugo Valeri, Umberto Moggioli. Tullio Garbari, Umberto Boccioni, Gino Rossi, Arturo Martini, Pio Semeghini, Felice Casorati. Viventi soltanto gli ultimi due, riconosciuti maestri illustri; spariti da tempo gli altri, al di sotto o intorno la quarantina i primi quattro, ricoverato alla stessa età in manicomio fino alla morte l'infelice Rossi, stroncato ancor nel pieno delle forze il iMartini: come se una stessa febbre di lottare e di vincere il destino avaro li avesse prematuramente consumati. Furono, gli otto pionieri, fra i « primi espositori di Ca' Pesaro » e questo infatti è il titolo sia della mostra, organizzata dal Comune veneziano, sia della utile monografia, curata da Guido Perocco. Con essi si è voluto ricordare il cinquantenario d'una generosa attività a favore degli artisti più giovani, resa possibile dal grandioso lascito della duchessa Felicita Bevilacqua La Masa; un'istituzione che per il suo carattere esplorativo di valori ancora in formazione, e quindi vivacemente dinamico e battagliero, venne in un certo senso ad equilibrare il tono più « ufficiale » e il più tradizionalistico spirito della Biennale Internazionale d'Arte, cui Venezia aveva dato vita fin dal 1895. Antagonismo fra le due esposizioni? Rivalità fra Antonio Fradcletto, che quella dei Giardini teneva come la pupilla dei propri occhi, fedelissimo ai Ciardi, ai Fragiacomo, ai Milcsi, agli Scattola, e Nino Barbantini che, nominato nel 1907 direttore della Galleria d'Arte Moderna e segretario delle mostre Bevilacqua La Masa a Ca' Pesaro, era prossimo a lasciarsi, convincere da Gino Rossi e da Boccioni che un'arte diversa da quella allora tanto onorata alla Biennale stava nascendo? Non proprio; ma non è da escludere che le prime rassegne di forze giovanili, fra il 1908 e il '19, nel fastoso palazzo del Canal Grande, non abbiano contribuito ad accendere la lunga e dura battaglia fra l'arte che tende a conservare e l'arte che tutto vorrebbe innovare; di cui da almeno cinquantanni il pubblico è disorientato testimone. E poi, quali « scandali » allora sotto il Campanile! Dalla Torre dell'Orologio, il 17 aprile 1910, Alarinetti aveva lanciato i volantini col famoso « Noi ripudiamo l'antica Venezia estenuata e sfatta da voluttà secolari »; e tre mesi dopo rincarava la dose dal palcoscenico della Fenice: «Quando gridammo " Uccidiamo il chiaro di luna " noi pensammo a te, vecchia Venezia fradicia di romanticismo ». Un grido che, opposto al lancio di pomodori e uova marce, avrebbe avuto una sua fierezza, se un'altra frusta retorica non avesse tosto preso il sopravvento: «L'arte è rivoluzione, improvvisazione, slancio, entusiasmo, record, elasticità... smarrimento nell'assoluto... danza aerea sulle cime brucianti della passione... fame e .sete di cielo... giocondi aeroplani golosi d'infinito... ». Sembra un'anticipazione di Modugno, « Nel blu, dipinto di blu... ». In un slmile clima furon naturali certe fioriture, sorse spontaneo un particolare costume. Gino Rossi e Arturo Martini) ancor prima che cominciassero le mostre di Ca' Pesaro erano stati a Parigi; Gino poi in Bretagna sulle orme di Gauguin, morto appena quattr'anni innanzi, a respirare avido — e lo si vede dalla sua pittura fin troppo — l'aura sintetico-simbolista di Pont-Aven; e li aveva preceduti il Semeghini. Di ritorno, ecco i due pittori, con Moggioli, a Burano, a crearvi anch'essi una specie di scuola, di cenacolo, che di arieggiare a PontAven s'inorgogliva, e insieme a coltivare un mito che ha pur ogjji i suoi sacerdoti. Ancora uni volta, dunque, i pòllini giungevan portati dal vento di Francia. Ma movendo dalla rievocazione veneziana non intendiamo fare storia. E nemmeno segnalare precedenti curiosi, quali possono esser stati le sfaccettature vagamente cubisteggianti del Rossi intorno al 1920 (la Testa di fanciulla), che tome ranno nella pittura di Cassinan venticinque anni dopo; o sotto lineare che senza le esperienze di Boccioni. Garbari, Gino Ros si t Ca' Pesaro, il passaggio di Casorati (che di quelle mostre fu protagonista varie volte) dal naturalismo simbolistico di marca klimtiana delle Signorive del 1912 alla metafisica spaziale dei quadri dell'immediato dopoguerra, probabilmente sarebbe stato più lento e diverso. Vogliamo piuttosto accennare a un costume che allora coincideva con gli entusiasmi, la dignità, la lealtà d'una polemica artistica che tanti anni dopo faceva dichiarare ad Arturo Martini: «La pagina più autentica dell'arte italiana è ancor quella di Palazzo Pesaro ». Pittoresca la rievocazione di Barbantini: «Giornate d'oro. Alla sera, per consolarci e consultarci in privato, salpavamo su una flottigìiett'a' di sandoli verso Burano beata, e colà, sotto una pergola amicissima... finivamo di demolire del tutto l'arte decrepita, la critica orba, la ciurma dei bottegai e dei borghesi senza testa e senza cuore. E sullo spianato crescevano i nostri castelli. Provassero a toccarceli! ». Perché portar sempre e soltanto l'esempio dei vari Pontoise e Bougival e Argcnteuil? Non v'era ugual rigore morale e libertà di spirito fra gli artisti di Burano e i loro amici? Ascoltate: «Non esporrò alla Biennale perché preferisco la compagnia dei pochi che non esporranno alla confusa comu nanza dei troppi che esporran no... Vuoi concedermi tu una delle silenziose salette di Ca Pesaro? ». Parole scritte da Casorati a Barbantini; sdegnoso desiderio di solitudine di un artista ancor giovane ma che si sentiva ormai sicuro della sua via: «Fare o non fare della letteratura, della pittura rfura, dei tentativi, delle ricerche tecniche... Tutte preoccupazioni superate! ». Qual sen so avrebbe invece oggi un simile gesto di rifiuto nel panorama ugualitario che da tempo offre la Biennale? Nessuno. E, infatti, quella delle prime mostre di Ca' Pesaro era una battaglia di temerarie avanguardie che s'accendeva su valori concreti, rappresentazioni dell'aspetto e della vita dell'uomo, interpretazioni della .natura, attuate nei modi più audaci, ma sempre relativi a una realtà umanamente riconoscibile. Ora che i teorici dell'arte hanno stabilito che l'antico dialogo fra l'artista e gli altri uomini deve ridursi a un più o meno ermetico gioco d'allusioni, il campo di battaglia si presenta diverso. Le pattuglie di punta in cinquant'anni si sono trasformate in un immenso esercito, disciplinato sotto le bandiere dell'astrattismo internazionale. Perciò il gesto di uscir volontariamente dai ranghi potrebbe se mai venire da qualche illustre vecchio isolato, non da uno qualsiasi degli espositori ligi al conformismo di un'arte « ufficiale » che gli allestitori delle grandi esposizioni presentano come la sola vera arte moderna. Marziano Bernardi U11111111111 II 111 11 1111111 i 1 ! 1111111111 i 11 11111111 [] I

Luoghi citati: Barbantini, Francia, Modugno, Parigi, Venezia