Grli svedesi e lo sport

Grli svedesi e lo sport UN POPOLO MOPERAISSIMO E ANTICO Grli svedesi e lo sport Nessun'altra gente ha lo stesso culto per l'atletica leggera: costruiscono statue ai campioni ancora in vita, Je loro biografie sono grandi successi librari - Seguono le gare con orgoglioso nazionalismo; se non possono applaudirli vittoriosi, fanno il tifo per gli inglesi (Nostro servizio particolare) Stoccolma, settembre. Dicevamo in un precedente articolo che gli svedesi, sotto le forme di una civiltà moderna ad altissimo livello (forse il più alto nel mondo), restano ancora vicini alla tradizione contadina, sanno di prati e di boschi. Da questa massa sono emerse biologicamente due élites: quella delle belle ragazze e quella degli atleti. Delle belle ragazze abbiamo parlato. Nessun paese ne ha tante: restano belle Ano ai venti, venticinque anni, poi si trasformano in genere in donne mediocri o addirittura brutte. Degli atleti vorrei parlare adesso. In Svezia l'atletica leggera ha avuto e ha un significato molto più profondo che in qualsiasi altro paese europeo, compresa l'Inghilterra che l'ha inventata. In Inghilterra l'atletica è un esereiz.o che si pratica da giovani prima di dedicarsi a un'occupazione seria. !".-ioger Bannister, che ne è staiiu il rapprerentante più tipico, jdopo un anno di vittorie che 11 t i [ T i m11 [ 11 ] 11111 [ i n 111111 ] 111 m ; 11 ti 11 ! 11 n 11:11 u i [ 111 lo resero celebre in tutto il'1mondo, l'abbandonò appena conseguita la laurea in medicina. Se avesse continuato a correre, avrebbe certamente raccolto altri successi, ih Svezia l'atletica gode di una considerazione speciale: è in un certo senso uno dei culmini della cultura nazionale, l'espressione più perfetta di quell'ideale di vita fisica du plein «ir che costituisce la religione dei nordici. Non c'è paese, credo, così ricco di statue di giovani nudi. A Malmò, nel centro della città, hanno eretto un monumento a Gundar Haegg, campione del mezzofondo. Haegg, si noti, è ancora in vita, non ha ancora quaranta anni. Mi trovavo a Stoccolma durante lo svolgimento dei campionati europei, che, come le Olimpiadi, vengono celebrati ogni quattro anni. Nel '46 a Oslo, quando i giochi avevano ripreso dopo la parentesi della guerra, la Svezia aveva trionfato vincendo un gran numero di medaglie d'oro, umiliando tutti' gli altri paesi. Essa aveva vissuto in pace gli anni della guerra sfogando i suoi spiriti combattivi nello sport, soprattutto nelle corse podistiche in cui aveva prodotto campioni di fama mondiale. Gli atleti erano l'orgoglio della nazione. Nelle vetrine dei librai spiccavano veri best-sellers della letteratura nazionale, le biografie dei podisti o dei lanciatori più illustri. Ma nei giochi successivi, a Bruxelles nel '50 e a Berna nel '54, la Svezia aveva già perduto quel primato di cui tutto il popolo andava fiero. Quest'anno, a Stoccolma, nessuno dubitava che là decadenza dell'atletica svedese sarebbe stata confermata. Erano gli ultimi giorni di agosto. Come se presentissero la sconfitta, gli svedesi avevano disertato lo stadio che era affollato invece da stranieri: in gran parte comitive di turisti tedeschi e inglesi che avevano fatto coincidere le vacanze con l'avvenimento. Anche gli italiani erano abbastanza numerosi. Solo a tratti, quando scen deva in pista un atleta con la maglia dai colori nazionali, celeste e giallo, dal pubblico par tiva il grido rituale di incita mento che suona così: Eja Sverige frisi* humor, eja, eja, eja! Ma erano grida senza convinzione. Chi era stato a Bruxelles o a Berna, durante gli altri campionati, ricordava che le grida delle comitive di svedesi erano molto più vive. Veniva fatto di pensare che la passione sportiva degli svedesi fosse molto meno autentica di quanto universalmente si creda. « Ora che non vincono più (mi dicevo) gli svedesi mostrano indifferenza per quello sport che per tanti anni è stato il loro prediletto». Notavo anche che il pubblico svedese, nelle gare in cui i connazionali non erano presenti, incitava concordemente gli inglesi. Non era difficile intuire perché: nel loro orgoglio ferito, gli svedesi tolleravano soltanto la vittoria dei colori dell'unico popolo che 'considerino non inferiore al loro. Le speranze degli svedesi si rianimarono l'ultimo giorno, in occasione della gara dei1 tEpcgfggsdssdslcgatrseslicnicssplusmmismcn 1500 metri, universalmente ri- 'che anche; nell'atletica,ila buo1 tenuta la regina delle corse. E' su questa distanza che in passato gli svedesi hanno esercitato il loro predominio. Quel giorno, nonostante la pioggia fredda e noiosa, lo stadio era gremito di folla. Gli occhi degli svedesi si concentravano su un giovane alto e magro, dal ciuffo biondo sulla fronte stretta. Daniel Waern era il suo nome. Gli svedesi non vedevano che luì fra i dodici splendidi atleti, dalle gamhe lunghe di gazzella, che 'si accingevano a prendere il via. Al colpo di pistola, appena gli atleti si furono slanciati avanti, cominciarono gli incitamenti. Già dopo il primo giro della pista Waern era in testa, seguito da un ungherese e da un finlandese, mentre il suo avversario più temuto, l'irlandese Delaney, si teneva in coda al gruppo procedendo con un passo distratto e sornione. Waern rimase ancora in testa, nei giri successivi, con il finlandese e l'ungherese che gli respiravano sulle spalle; e quando suonò la campana dell'ultimo giro, accelerò la corsa. Nello stadio non si udiva che il suo nome: tedeschi e inglesi, che fino a quel momento erano stati i più rumorosi, tacevano sopraffatti. A trecento metri dall'arrivo il finlandese cercò di passare avanti, ma il giovane svedese respinse l'attacco: non solo, accelerò ancora, entrando come un trionfatore nell'ultima curva e poi nel rettilineo finale. A questo punto, l'addormentato irlandese si riscosse e superando tutti gli avversari si gettò all'inseguimento del fuggitivo raggiungendolo quando mancavano appena cinquanta metri al filo di lana. Tutto lo stadio era in piedi. I due atleti lottavano quasi alla stessa altezza, ma alle loro spalle, nella scia dell'irlandese, era intanto avanzata un'esile figura Era l'inglese Brian Hewson che negli ultimi dieci metri superò d'un soffio i due avversari vincendo la gara. Per gli svedesi fu un vero dolore. Come increduli continuavano ad acclamare il loro atleta. Waern era giunto secondo, ma il giorno dopo i giornali portavano in testa il suo nome come se avesse vinto, paragonandolo a un celebre australiano che in quei giorni si divertiva a demolire i primati mondiali. Mi sono dilungato nella descrizione di questa gara, perché essa mi ha provato quanto profondo sia il nazionalismo degli svedesi. In nessun altro paese, nemmeno in Germania, ho riscontrato nella folla e negli individui un sentimento così vivo. Il nazionalismo degli svedesi è un altro sintomo di quanto sia forte nel paese la tradizione, paesana. Agli svedesi, in sostanza, piace soltanto ciò che è di casa loro. L'altro aspetto della questione: perché oggi nello sport gli svedesi siano più spesso sconfitti che vittoriosi, è di competenza dei tecnici. Essi v) meditano da anni. Io penso na nutrizione, l'aria libera, il confort e il vigore fisico, non siano sufficienti ad assicurare la grandezza. Manlio Cancogni

Persone citate: Bannister, Brian Hewson, Daniel Waern, Delaney, Manlio Cancogni