Un melodrammatico film sovietico di Mario Gromo

Un melodrammatico film sovietico SUIvIvO SOHE>RMO I>E>Iv I/IDO Un melodrammatico film sovietico Buone accoglienze a "La vedova di Otar,, di Michail Ciaureli con V. Andgiaparidze (Dal nostro inviato speciale) Venezia, 28 agosto. Si direbbe che la Mostra abbia avuto premura di scrollarsi di dosso quei film che, per la loro ammissione, avevano suscitato proteste e polemiche. Dopo quello tedesco, e quello tedesco-polacco, eccoci al film russo, d'ora in poi l'orizzonte dovrebbe essere sgombro. Diremo subito che la Mostra ha fatto non bene ma benissimo, a resistere alle vàrie proteste. Se le decisioni della commissione d'accettazione dovessero essere poi discusse da ogni concorrente, e in conseguenza modificate, invece di una mostra si avrebbe un piccolo caos. La Russia aveva accettato il regolamento, e non meno regolarmente aveva presentato alcuni film in esame. Non aveva nascosto che le sue preferenze andavano a I/idiota, tratto da Dostojevski, regista Pirjev, oggi considerato a Mosca il regista più autorevole dell'Unione Sovietica; e lo stesso Pirjev era stato nominato capo della delegazione che avrebbe rappresentato l'Urss alla Mostra. La commissione ha invece preferito a quello di Pirjev un film di Ciaureli, ammettendo senz'altro il primo alla sezione informativa. Proteste e discussioni, concluse dall'assenza della delegazione russa al Lido e dal ritiro del film di Pirjev, che cosi non apparirà nemmeno nella sezione informativa, e non potrà quindi prestarsi a quel confronto, con il film di Ciaureli, che lealmente la Mostra avrebbe voluto rendere senz'altro possibile. Non sono certo vicende gravi, sarebbe assurdo il volerle sottolineare. Ma è strano che chi si sottomette alle norme di un concorso non voglia poi più subirle se ritiene che non risultino conformi, con esito, ai suoi desideri. Un regolamento o lo si accetta (partecipando) o non lo si accetta (astenendosi), dovrebbero essere cose ovvie. Comunque, attorno al film ammesso in concorso, La vedova di Otar di Ciaureli, c'era un'attesa che, di riflesso, non mirava soltanto al film. Il Ciaureli è stato infatti una delle figure di primo piano del recente cinema russo. Autore, fra l'altro, de II giuramento, La caduta di Berli¬ no e L'indimenticabile 1919, fu non poco coinvolto, dopo la morte di Stalin, nella revisione dovuta alla condanna del « culto della personalità », non per nulla il Ciaureli aveva nei suoi film inneggiato a Stalin come di più non sarebbe forse stato possibile. Per qualche tempo il suo nome scomparve. Poi, essendo stata revisionata la revisione, tornò ad apparire; e un suo film fu addirittura incluso nel gruppetto dei film russi aspiranti allo schermo del Lido, anche se i suoi presentatori mai avrebbero supposto che sarebbe risultato il prescelto. * * Si sa che da qualche tempo, e in parte, il cinema sovietico andava recedendo da quei rigidi schemi di propaganda che per anni avevano sorvegliato tutta quella cinematografia. Si tendeva a ridare un predominio a valori più schiettamente umani, erano tentativi piuttosto sporadici, anche al Lido e a Cannes ne apparvero alcuni diversissimi saggi, come Malva e II quarantunesimo, e soprattutto La Cicala, una pregevole riduzione da Cechov, e un Boris, una pregevolissima edizione dello spartito di Moussorgsky. Ma quando non si prendono a motivo o a pretesto figure e timbri già consacrati da altre arti, la loro primitiva autorità, se così si può dire, viene alquanto a scadere per lasciare un sempre più evidente e responsabile margine al gusto e agli estri del regista. Sono allora, di quel gusto e di quegli estri, vere prove del nove. Senza il sostegno di precedenti matrici assai consacrate, senza l'alibi di formule e schemi di propaganda, il regista è finalmente solo, di fronte ad alcuni personaggi, a un loro dramma, a una loro commedia. Umanità e talento potranno allo-1 prodigarsi, se esistono. Ma, se non esistono, denunceranno senza scampo la loro assenza. Devo confessare che sul profondo, autentico talento di un Ciaureli avevo sempre avuto parecchi dubbi. Mi appariva un ottimo mestierante, alquanto retorico, e al servizio di quello che doveva poi essere definito un < culto della personalità >. Un regista esortativo, celebrativo, agiografico. E la scelta della commissione veneziana un poco mi sorprese, e non poco mi fece sperare. Evidentemente, doveva trattarsi di un nuovo Ciaureli, o quasi. Di un Ciatu-eli uscito da una sua crisi salutare, e che aveva saputo rinnovarsi, imporsi, poteva anche apparire significativo il fatto che, per questo suo film, avesse scelto, come soggetto, un racconto di Illa Ciavciavadze, una vicenda tutta chiusa in un mondo provinciale. della metà dell'Ottocento. Si era quindi posto assai lontano da ogni clangore di proclami, si era quindi difeso da ogni intrusione astrattamente ideologica; voleva quindi interpretare quel mondo, esprimere quegli uomini. C'era, veramente, di che sperare. * * Lo stesso Ciaureli ha partecipato, con il Beliashvili, alla sceneggiatura tratta dal racconto. Ma, stranamente, invece di una sceneggiatura per un film, i due ne hanno tratto un libretto per un melodramma. Monologhi (recitativi) a non finire, effusioni interiori (romanze) nei punti culminanti, interventi di masse (cori) simmetricamente intervallati, parentesi descrittive (intermezzi) collocate come raccordi o come cesure. E' uno strano modo di intendere il cinema, nel 1957 Intendiamoci, anche per questa via, ingegno e coraggio aiutan do, si sarebbe potuto giungere a un bellissimo film. Ma il talento di Ciaureli si è prodigato nel suo noto, abile mestiere; e con quella tessitura, è caduto nell'oleografico, nel convenzio naie. Il film è assai breve (settantacinqu' minuti), ma tale non pare: tanto si gonfiano e si adergono i personaggi della modesta vicenda. (Un giovane contadino, figlio di una vedova, si innamora di una giovane principessa. Lascia la madre per entrare al servizio di quella casa patrizia, per essere vicino ai suo idolo. Cidrà da un altissimo covone e, poco prima di morire, potrà confessare il suo amore all'amata, la quale, in gramaglie, seguirà il suo feretro). La recitazione è piuttosto ac cademica per non dire scolasti ca. Grande rilievo è dato alla mascolina e teatrale Andgiapa rid~3, un po' una nonna di una figlia di Jorio; ma ciò che an cora potrebbe sorprendere, da | parte di un regista sovietico 1957, è la visione di quel mondo patrizio dell'Ottocento. Ove si eccettuino alcune battute finali, quasi un mondo da nostrano e vecchio libro di lettura. Tutto vi è calmo, limpido, persino edificante; e forse è per questo... ma non facciamo i maligni. E dopo aver visto il film, che è alla sua maniera corretto e decoroso e nient'altro, forse, L'idiota di pirjev, se non altro per la matrice di Dostojevski... ma non facciamo i maligni. Mario Gromo

Persone citate: Cechov, Jorio, Malva, Michail Ciaureli, Stalin

Luoghi citati: Cannes, Mosca, Russia, Unione Sovietica, Urss, Venezia