I problemi degli impiegati triestini già al servizio del governo militare
I problemi degli impiegati triestini già al servizio del governo militare li Tei*M*Ìtoi*ÌO Xtllb&M*0 dal 1945 ai 1954t I problemi degli impiegati triestini già al servizio del governo militare Cinquemila persone attendono dall'Italia la legge promessa che salvaguardi i diritti acquisiti - Le riserve dell'Amministrazione statale Negli anni dal 1945 al 1954, in cui Trieste fu retta dal Governo Militare Alleato, furono creati alcuni cor. i militari con compiti di i lizia e fu organizzato un gruppo di impiegati per sovvenire alle necessità di funzionamento del nuovo Ente che si presentava come uno Stato in miniatura. Fecero parte degli organici allora costituiti, persone di varia provenienza, di differente origine e di sentimenti diversi. E poiché, come è ovvio, non tutti erano filo-italiani, la cittadinanza triestina non vide, in un primo tempo, di troppo buon occhio né la polizia, né gli impiegati del G.m.a. Naturalmente, al preciso momento nel quale tornò l'Italia, tutti coloro che avevano la coscienza sporca si squagliarono come neve al sole, e quelli che non la avevano perfettamente pulita, in una od altra maniera, si allontanarono o furono allontanati in breve tempo. Rimangono, così, circa 5.000 persone cui nulla, politicamente, può essere rimproverato, le quali, da quattro anni, vivono nel limbo, anzi nel purgatorio, pur avendo una legge italiana promesso ad esse la strada del paradiso. Già ai tempi di De Gasperi, nel 1951, ci si preoccupò del destino di queste numerose persone che, nel servire un governo stranie ro, non avevano fatto se non l'interesse dell'Italia. Infatti, se gli italiani locali non avessero risposto al l'appello, il Governo Militare Alleato non avrebbe avuto il minimo scrupolo — come mai, del resto, l'ebbe — di prendere al proprio servizio persone non solo di altra nazionalità, ma ostili all'Italia stessa. Molte volte, nel corso delle mie funzioni di rappresentante del Governo italiano, dovetti pregare agenti di polizia o funzionari, di non dare le dimissioni, perché sarebbero stati sostituiti con elementi a noi contrari. Quando si cominciò ad esaminare l'opportunità di emettere una legge che prevedesse il destino delle ricordate persone al momento del ritorno di Trieste all'Italia, non ci si limitò, naturalmente, alle dette considerazioni di ordine morale, ma si diede sommo rilievo anche a quelle politiche. Si pensò che bisognava tenere conto degli umori di una massa di individui, i quali, con le loro famiglie, formavano un nucleo demografico di oltre 30 mila unità (oggi, sono circa 20.000), che avrebbe pesato nella futura politica interna della zona in questione. Esso costituiva, infatti, più di un decimo della popolazione complessiva, e molto più politicamente par landò. La legge uscì alla vigilia, si può dire, del ritorno del l'Italia, e cioè il 28 agosto 1954, promettendo una equi parazione del servizio svolto alle dipendenze del Go verno Militare Alleato al servizio non di ruolo prestato nelle Amministrazioni dello Stato e la successiva sistemazione nei ruoli transitori dello Stato medesimo. Ma la legge — come tutte le leggi — era generica e non prevedeva il modo preciso in cui la sistemazione dovesse avvenire. Da questa imprecisione derivò la Via Crucis che dura da quattro anni. Una semplice sistemazione nei ruoli transitori portava con sé la rinuncia a molti diritti acquisiti, dato che i criteri della assunzione in base a titoli, dello sviluppo di carriera, delle modalità di pensionamento, ecc., erano nell'amministrazione alleata, ben diversi da quelli seguiti dallo Stato italiano. Un gruppo di impiegati, i quali nulla avevano da perdere e nulla da guadagnare, avrebbe accettato la immissione pura e semplice nei ruoli; ma un altro gruppo che voleva difendere le posizioni acquisite, cominciò ad agitarsi per far valere i propri diritti. In relazione a queste diverse esigenze, sorsero anche due associazioni sindacali e quella di coloro che si difendevano riuscì a far presentare un disegno di legge dell'on. Colitto, dise mdscpmgctcvvzplapCpnczep—gGafisdpsdlncpnsaiiurpdptcdlscdpEtgnpsSilo nel nualp prnnn risnet-tati i ricordati diritti. Per contro, anche il governo preparò un altro disegno di legge, nel quale gli interessati riscontrarono varii difetti, tra cui il pericolo di declassamento, la mancanza del trattamento di previdenza (I.n.p.s.) per i corpi militarizzati, l'assenza del presupposto di stabilità dell'impiego, ecc. Così co¬ i i minciò una « guerra fredda », con il blocco degli scatti e delle promozioni, con ritenute su stipendi prima non applicate, con la mancata istituzione del conglobamento, con qualche licenziamento subito annullato dal Consiglio di Stato, con una sentenza del 27 novembre 1957 che riconosceva il diritto alla conservazione del precedente rapporto di impiegò. Varie discussioni al Parlamento, con emendamenti proposti dai relatori TozziCondivi prima e Cappugi poi, non portarono ad alcuna conclusione, sicché la campagna elettorale si iniziò con il problema aperto e con il desiderio di tutti i partiti di conquistare i voti — i non pochi voti — del grosso gruppo degli « ex G.m.a. », come impiegati ed agenti di polizia vengono defilati. Democrazia Cristiana e saragatiani, furono, a onor del vero, i meno prodighi di promesse; siccome, ora, essi formano il governo, ciò dà alquanto a pensare a coloro che ancora si sentono nel purgatorio. Quanto gli interessati richiedono è costituito da tre punti fondamentali: il riconoscimento dei diritti acquisiti, anche se contrastanti alla prassi di carriera degli impiegati statali italiani; la inamovibilità dal territorio; un ruolo speciale ad p°aurimento sino alla scomparsa per morte o pensionamento di chi lo dovrebbe comporre. A chiunque è chiaro quan to ciò possa implicare alcune importanti questioni di principio per lo Stato italiano; ma non meno chiare sono le conseguenze di una condizione anormale che sta durando a Trieste 13 anni più che nel resto d'Italia, Esse possono portare, e portano, questo strascico e peggiori strascichi, tutti, in ge nere, a danno dei triestini E chiunque, del pari,.comprende che, salve le richieste fondamentali, non potrà essere difficile intendersi sul terreno dei fatti. Cerchi, il nuovo governo, di salvare l'equità o, forse, la stessa giustizia, e non si pentirà mai di aver provato ai triestini che l'Italia mantiene le sue promesse, anche se, nel momento in cui furono fatte, esse dimostrarono larga ed umana com prensione. Diego de Castro mudaudvllmfsr
Persone citate: Cappugi, De Gasperi, Diego De Castro
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