I due tempi dell'arte astratta di Guido Piovene

I due tempi dell'arte astratta I due tempi dell'arte astratta Parigi, 19 luglio. Il movimento pendolare di molti pittori ; tra il non figurativo e il figurativo dimostra, a mio parere; che le due tendenze le quali si dividono il campo della pittura sono egualmente vive. Le due esigenze coesistono in ciascun artista, anche quando egli ha optato in modo provvisorio o definitivo. Ciascuno cerca tra di esse il punto di equilibrio che gii conviene. Mi stupisce che esista ancora chi insiste a condannare in assoluto ed in tato l'arte non figurativa (volgarmente, astratta) quando essa è praticata da un tale numero di artisti in tutti i luoghi della terra e trova i propri fondamenti nelle tradizioni più antiche. Un modo di espressione così diffuso e resistente non può essere dovuto al conformiselo, al tornaconto, c all'incapacità. Piuttosto l'arte astratta soffre per un ritardo della critica, che non ha ancora elaborato criteri sufficienti per selezionarla, come avveniva nel passato, quando la divisione del buono dal cattivo era relativamente agevole. Si ha cosi spesso l'impressione di una congerie, confusa, noiosa, monotona di opere indiscriminate, o discriminate in base ad un criterio provvisorio, personale, arbitrario. Solo criteri critici più fermi e universali epureranno l'arte non figurativa di quello che in essa veramente proviene (come anche in quella del passato) dalla voga e dalla pigrizia. Portare il proprio contributo all'elaborazione di questi criteri mi sembra più utile e più interessante di una negazione sommaria o di un consenso sbrigativo. Ed a mio parere un principio da non dimenticare mai è che la riuscita dell'arte presuppone sempre la vittoria su una difficoltà. Non può esistere opera d'arte che sia facile e gratuita. L'arte non figurativa ha le sue deviazioni eretiche. La principale, io penso, che recentemente ha trovato il suo breviario estetico in Peinture et realità del filosofo Etienne Gilson (una specie di capovolgimento dell'Estetica di Croce), spinge fino alle estreme conseguenze il concetto che l'arte non è riproduzione della natura. Vuole separarla perciò in modo radicale dalla natura, da qualsiasi contenuto emotivo, dalla volontà di esprimere qualcosa preesistente ad essa. L'opera d'arte, in questo caso, è pura creazione, pura invenzione, e non esprime nulla fuorché se stessa; rientra nella natura, ma come un oggetto creato ex nihilo, che non assomiglia a nulla. E' un modo di concepire l'opera d'arte che ha avuto fortuna in questi anni, ma insostenibile per ragioni che qui sarebbe troppo lungo esporre. Lo dimostra, tra l'altro, l'impossibilità di applicarlo alla letteratura. Non è possibile pensare un'opera letteraria senza un contenuto da esprimere. Se quella teoria fosse giusta, la pittura e la letteratura sarebbero due fatti non soltanto diversi, ma senza il minimo rapporto, il che è assurdo. Ho l'impressione inoltre che, nella grande varietà di tendenze dell'arte non figurativa, quella dell'arte come pura invenzione che non esprime, nulla sia oggi in pieno declino. Ho dedicato la penultima visita prima di lasciare Parigi ad un giovane pittore non figurativo, Olivier Dcbrc, del quale si comincia a parlare molto, sebbene in una cerchia ancora ristretta di intenditori e di mercanti. Fra i giovani pittori francesi astratti è forse quello che nel futuro farà più parlare di sé. Debrè rappresenta la corrsnte che va predominando, del ritorno al figurativo, ma un ritorno, per così dire, segreto, per staccarsene subito e per distruggerlo nell'esecuzione dell'opera. « Non posso dipingere un quadro, — mi dice, — scn za il punto di partenza di una emozione di fronte ad un dato naturale: una stanza, i colori autunnali sulla campagna, la faccia di una persona. La mia prima pittura è perciò figurativa, una natura morta, un paesaggio, un ritratto, anche se mi accontento di compierla mentalmente e non la porto sulla tela. Poi, mi libero a gradi delle prime apparenze e arrivo all'astrazione piena: solo allora dipingo, cercando però di serbare nel quadro l'emozione d'origine, a cui lo confronto per constatare se è riuscito ». E' un caso di quella ricerca di un punto di equilibrio tra il figurativo e il non figurativo di cui ho parlato all'inizio di questo articolo, anche se l'accordo avviene nella fase preparatoria e il non figurativo .occupa tutta Ja facciata. * * L'ultima visita a Parigi è sta- lazpasi troneandi coletsimstecunepanenodi pavecustrruroditetesutluinglchnendseddlavzecmemsulosctogglefsgfdfidrcdMtlzlccMdmsbicAta dedicata a un pittore cele- bre, il messicano Tamayo, mentre egl; <*iva lavorando a una pittura murale, di vastissime dimensioni, nel nuovo palazzo che sta per ospitare l'Unesco Un'altra sala dello stesso pa- a a n e e o à a o e i e a o i lazzo sarà decorata invece da un pannello non meno vasto, che si attende da un giorno all'altro, opera di Picasso. 11 pannello a Parigi non si conosce ancora. Mi dicono che si tratta di una composizione simbolica con al centro un immenso scheletro cadente in decomposizione, simbolo forse delle forze opposte al progresso, ed ai lati alcune figure che danno quasi nel burlesco. Tolto uno che ha parlato di Michelangelo, in generale chi l'ha visto dice che non aggiunge nulla alla gloria di chi l'ha eseguito. Ho incontrato Tamayo un paio di volte a Parigi, dove è venuto ad abitare per l'opera di cui parlo, ed ha fatto una mostra. L^ sua arte favolosa, in cui ruotano grandi .lune nere, gialle, rossastre, è tra quelle che prediligo di un artista vivente; da tempo sono avvezzo a lavorare tenendo davanti agli occhi una sua litografia, con un lupo stretto che uria contro un'enorme luna. Tamayo è ben conosciuto in Italia, il paese europeo che gli piace di più. E' tra quelli che credono che la Biennale veneziana rappresenti la saturazione e quasi la riduzione all'assurdo dell'arte non figurativa, ed il segno perciò del suo prossimo disgregarsi per defluire verso direzioni nuove: opinioni che lascio interamente a lui. Lo trovo nel palazzo che le maestranze rifiniscono, seduto sull'impalcatura, mentre dipinge lentamente. A differenza di Picasso, egli dipinge in modo diretto sul muro, non a fresco però, bensì sul muro asciutto. Adopera colori ottenuti mediante un miscuglio in cui predominano l'acetone, simile a quello delle unghie delle signore, e la gomma; gli consente di lavorare con lentezza, correggere il lavoro già fatto, e ottenere una superficie straordinariamente lucida. 11 soggetto è Prometeo che dona il fuoco all'uomo; ma finora si vedono soltanto due fantasmi di figure nere, fluttuanti sullo sfondo dei suoi colori prediletti, il rosso e il giallo sulfurei, l'arancione, il violetto. Si aspettano nel palazzo opere dell'italiano Afro, del cileno Matta, di altri pittori, dello scultore Moore; e già collocate all'esterno sono due vaste decorazioni, rappresentanti il sole e la luna, di Miro, in ceramica cotta con tecnica originale, e a colori vivaci, e veramente belle. Ma più importante è il lavoro degli architetti. Credo sinceramente che il palazzo dell'Uncsco con i suoi due grandi fabbricati distinti, quando sarà inaugurato in settembre, sarà riconosciuto come uno dei culmi¬ nutcnZntdclasulndcssdidtlldcilluni UHiiiiiiiiiiiitiNiiiiiiilniiiiiiiiii ni dell'architettura moderna, e una delle maggiori opere architettoniche di Parigi. Vi hanno collaborato due architetti stranieri, Marcel Brcuer e Bernard Zchrfuss, e un architetto italiano, Pier Luigi Nervi; benché i tre abbiano lavorato d'intesa, si deve all'italiano il palazzo delle conferenze, agli altri due il palazzo della segreteria, eccettuate alcune parti. Due tendenze molto diverse confluiscono armonizzandosi, una, dei due stranieri, razionalista e classicistica (naturalmente nell'ambito del moderno) e una, dovuta all'italiano, più libera, con superfici rotte e mosse, che supera di molto i limiti del cosiddetto « razionale » e si erge di fronte al resto con la libertà inventiva e naturale del barocco di fronte agli edifici rinascimentali. « La capacità statica, — leggo in un saggio dedicato alla costruzione nella bella rivista di Olivetti, Zodiac, — è diretta conseguenza di curvature o di cficvnsegdgdqddstpladtdMndstqoag«i li 111 r 111111111111111 < 11111 a 11111 i 1111 ) 111111 il J li 111111111 corrugamenti dati ad una superficie », e quelle curvature e quei corrugamenti divengono a loro volta partiti di inaspettate armonie. L'architetto italiano mi sembra così assolvere, in questa grande costruzione, la funzione di punta; ed alcune parti che gli sono dovute, come la sala delle conferenze, mi ricordano quelli che sono i vari capolavori dell'architettura americana moderna, capolavori pratici ma di straordinaria bellezza, per esempio la diga del Grand Coulcc e la diga Hoover. Ma è inutile dilungarsi su un'opera architettonica che non si può mettere davanti agli occhi del lettore. Mi piace ad ogni modo terminare la scric delle mie corrispondenze da Parigi con questo splendido palazzo, che è dedicato alla coltura e alla pace, e nel quale si incontrano alla pari gli occidentali e gli orientali, gli arabi e i negri, i bianchi e i gialli. Guido Piovene 1111111111 i f 1111 il i il 1111 ti 11 i 1111 e 111 mi 11111111 r 11 ti i i i 11111

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