Gli intellettuali jugoslavi sono attratti dall'Occidente

Gli intellettuali jugoslavi sono attratti dall'Occidente NON HA ECO LA COLTURA SOVIETICA NEL PAESE DI TITO Gli intellettuali jugoslavi sono attratti dall'Occidente II ^realismo socialista,, non è seguito, né dai pittori né dagli scultori - Su 100 film stranieri importati, 45 sono americani; e di sovietici ve n'è soltanto 15 - I libri di scrittori non comunisti spiccano nelle vetrine; e le lingue occidentali sono largamente studiate, il francese in testa - Persino nel ballo i giovani manifestano con il rock'n roll qualche preferenza (Dal nostro inviato speciale) Belgrado, 14 luglio. Gli intellettuali e gli artisti jugoslavi in prevalenza guardano ad ovest, non ad est. E' questa una delle constatazioni più interessanti che si possano fare visitando la repubblica di Tito. Se il Paese è comunista e, come tale, parente dell'Urss, non vi è dubbio che le menti fini, le anime sensibili della Jugoslavia tendono spontaneamente alla cultura occidentale. Vediamo, per esempio, quanto succede nel mondo della pittura. Vi sono attualmente in Jugoslavia milleduecento pittori e scultori ufficialmente riconosciuti. Ebbene, non uno di essi si ispira agli esempi del « realismo > sovietico, tutti sono convinti che si tratta di propaganda e non di arte. Ho visitato studi e mostre, ho sfogliato cataloghi e riproduzioni, e mi sono accorto che i pennelli jugoslavi e quelli occidentali sono molto affini. In questi giorni, per esempio, la più importante galleria di Belgrado espone le opere di un pittore < tachiste >. Nessuna di esse glorifica il lavoro socialista e il regime, esalta trattori e fabbriche. Sono macchie, colori in libertà: come si possono vedere, oggi, in tutti i padiglioni del¬ la Biennale di Venezia, eccettuato quello sovietico. Una mostra siìnile sarebbe inconcepibile a Mosca. Il p.c.u.s. combatte tutte le tendenze pittoriche che non si ispirino all'accademia fotografie . dell'Ottocento ed in particolar modo l'arte non figurativa. E si può capire. I capi sovietici sono convinti che il fine dell'arte è uno solo: aiutare a diffondere il socialismo fra le masse. Per questo, occorrono cartelloni comprensibili a prima vista, non quei segni cabalistici che sono i quadri astratti. I capi jugoslavi appaiono più tolleranti. Essi non dicono agli artisti: dovete lavorare a favore del regime secondo questo preciso ricettario. Più sottilmente suggeriscono: purché non lavoriate contro il regime, potete fare quel che vi pare. E' una differenza che ha il suo peso. Vediamo il cinema. Al presente la Jugoslavia è ancora ai primi passi, produce quattordici o quindici film l'anno e, per sopperire al fabbisogno nazionale, ne importa un centinaio di strunieri. Ebbene, la grande maggioranza di essi proviene dai Paesi capitalisti e non dall'Unione Sovietica. La ripartizione è press'a poco questa: 45 americani, 16 Wa- iiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiimn liani, 16 francesi, 15 sovietici, 8 inglesi, gli altri giapponesi. Gli uffici competenti mi hanno detto che la scelta non viene fatta in base a criteri polit.ci. La gestione degli spettacoli cinematografici è commerciale e la scelta dei film mira essenzialmente ad attrarre più gente possibile nelle sale di proiezione; essa, perciò, rivela bene il gusto del. pubblico. Non vi è alcun dubbio che nessun Paese comunista, oggi, programma tante pellicole occidentali quante la repubblica di Tito. E' un banchetto a paragone della dieta che viene imposta al pubblico dell'Urss e dei Paesi satelliti. A Mosca proiettano, talvolta, film italiani, francesi, inglesi, ma quelli americani sono rigorosamente esclusi. I capi sovietici non vogliono che il pubblico russo, attraverso gli schermi, percepisca un riflesso del modo di vivere dei diretti rivali. Girando per Belgrado colpiscono particolarmente i manifesti dei film americani, specie western. Uno scrittore jugoslavo mi ha detto: < Quando arrivano da noi, le delegazioni dei Paesi satelliti sa che fanno? Corrono a vedere i film occidentali e particolarmente quelli americani che non possoyio vedere nella loro patria*. Anche il repertorio teatrale attinge largamente ad ovest, non ad est. In questi giorni si alternano sulle scene belgradesi La gatta sul tetto che scotta di Williams, Tavole separate di Rattigan. Sono lavori che non si propongono certo il fine di consolidare negli spettatori la fede socialista. Non vi è dubbio che i palcoscenici della capitale jugoslava sono fiìiestre aperte sul teatro dell'Occidente, mentre ignorano i lavori ì drammatici degli scrittori del- I l'Urss. Non si tratta di un pqrtito preso: il teatro occidentale, al giorno d'oggi, offre un certo numero di autori discutibili fin che si vuole, ma il teatro contemporaneo russo è soporifero. Le sole commedie sovietiche che, talvolta, vengono rappresentate, sono quelle che Stalin proibì', come.la Cimice di Maiacovschi, appartenenti al periodo romantico della rivoluzione. Basta un'occhiata alle librerie per capire che, di preferenza, vengono tradotti libri occidentali e non sovietici, se si eccettuano i volumi di Lenin che negli scaffali, tuttavia, hanno uno strano aspetto decorativo. Specie il confronto fra i libri di produzione corrente è a vantaggio degli scrittori non comunisti. Nelle vetrine, per esempio,, spiccano i nomi di Peyrefìtte, Hemingway, Faulkner, Sagan,' Malapartc, Cocteau, Màugham, Remarque, Moravia, Vittorini; mentre scarseggiano gli autori contemporanei sovietici, se si eccettua Dudinzev, uno dei romanzieri più critici dell'Unione Sovietica. Sono rappresentati abbastanza bene, invece, i classici russi e i volumi scientifici. Sono stato all'Unione degli scrittori, ho parlato con il i no reso conto della maggior scioltezza dei personaggi ufficiali jugoslavi rispetto a quelli sovietici, sempre abbottonatissimi. Vuciov, un uomo anziano e bonario, ha tenuto a dirmi: — Prima del 1948 anche gli scrittori jugoslavi seguivano il modello letterario dei russi, vale a dire il realismo socialista. Ma, dalla rottura in poi, nessuno ha più voluto prosegui- presidente Vkcìgi;, e mi so- 4 re per una strada così stretta. In parole ancora più chiare ciò significa che gli scrittori jugoslavi guardarono ad est solo fino a quando furono premuti in tal senso. Adesso non diciamo che possano scrivere tutto quel che gli pare; il caso Gilas, chiuso in carcere per un reato di opinione, costituisce un ammonimento molto eloquente. Ma è vero, tuttavia, che la disciplina culturale jugoslava, oggi, al confronto di quella sovietica è tanto più lenta. La disaffezione per ciò che si può chiamare « spirito orientale » si manifesta particolarmente fra i gióvani intellettuali. Cade verticalmente, per esempio, il loro interesse « ideologico », un sintomo che preoccupa seriamente i dirigenti jugoslavi. I giornali di Belgrado scrivono, spesso, che i giovani escono dalle Università senza la necessaria preparazione marxista. Negli anni seguenti alla guerra, per esempio, i giovani affluivano abbastanza numerosi alle riunioni e alle conferenze dell'Alleanza Socialista; oggi non ci va quasi nessuno. Un altro sintomo eloquente è lo studio delle' lingue nelle scuole. Fino al 1950 l'unica lingua straniera inclusa nell'insegnamento scolastico era il russo. Dopo il '50, venne introdotta nelle prime classi dell'insegnamento secondario la libera scelta fra il russo, il francese, l'inglese, il tedesco. Ebbene, in un breve volgere di tempo, salì alle stelle il favore per le lingue occidentali, in testa il francese che venne scelto dal 52% degli allievi, mentre il i russo cadde in fondo alla scala, scelto solo dall'1% degli allievi. Al centro di Belgrado sorge l'antica fortezza turca di Kalemegdan dove, tre sere la settimana, si può scorgere il volto della gioventù studentesca della capitale. Centinaia di ragazzi e ragazze, si divertono a ballare, all'aperto, sulla pista di un campo di pallacanestro. Vi sono delle situazioni nelle quali anche futili indizi acquistano un significato più ampio. La fortezza di Kalemegdan è una palestra di boogie-woogie e di rock 'n roll; e qi(«si dispiace che danze così disarmoniche acquistino qui un valore simbolico di orientamento verso l'occidente. Una ricognizione, anche rapida, fra le linee dell'i intelligenza » jugoslava dimostra che l'Urss non costituisce un polo di attrazione per gli «omini che aspirano ai valori spirituali; e questa mi sembra una delle debolezze più significative di un Paese come la Russia che reclama per sé il dominio dell'avvenire. Alfredo Todisco ♦»« ■ .

Persone citate: Alfredo Todisco, Cocteau, Faulkner, Gilas, Hemingway, Lenin, Moravia, Sagan, Stalin, Vittorini