In tutte le epoche gli alpinisti hanno approfittato delle novità

In tutte le epoche gli alpinisti hanno approfittato delle novità Polemiche sulla eccezionale scalata del Lavaredo In tutte le epoche gli alpinisti hanno approfittato delle novità / rocciatori hanno usato chiodi ad espansione - Ma questo mezzo meccanico non ha sminuito il valore dell'impresa I/impresa alpinistica riuscita nei giorni scorsi alla cordata austro-germanica di Dieter Hasse, Lothar Brandel, Sepp Lehner e Johann Gerer sulla parete settentrionale della cima principale del tanto nominato massiccio delle Lavaredo, dove hanno aperto una « via » che pressoché verticalmente porta alla vetta dai ghiaioni d'attacco mentre quella preesistente, la < via CòmlciPimài », si svolge sul lato destro dell'immane muraglia — è stata accompagnata, da commenti che in certo senso hanno preso il sopravvento sulla parte informativa della notizia. Causa di questa < posizione > nata immediatamente sul luogo fra i primi accorsi a curiosare sotto la parete mentre gli scalatori erano al secondo dei quattro giorni che durò l'ascensione, è stato il fatto che la cordata, per procedere sulla levigatissima roccia avara di appigli e di fessure anche minime, si sia avvalsa d'un tràpano portatile a batterla elettrica per praticare successivi . fori nella muraglia, nei quali venivano conficcati chiodi ad espansione per la cui resistenza allo strappo od al sopportamento di pesi non è necessario, come per i normali chiodi in uso fra gli alpinisti, ch'essi entrino profondamente, bastandogli due-tre centimetri per sopperire al compito richiestogli. Novità assoluta quella del tràpano (elettrico o a mano), che al loro ritorno al rifugio Locateli! gli scalatori hanno smentito, ammettendo tuttavia d'aver < scavato > nella roccia con un punteruolo d'acciaio quattordici fori, nei quali hanno piantato altrettanti chlpdi (oltre a più di duecento normali) ; ma novità non più tale da uno o due anni quella dei chiodi ad espansione. Si tratti' di chiodi assai meno lungtr degli usuali che misurano dagli 8 ai 10 centimetri; nel loro interno passa una vite che, azionata dalla testa del chiodo una volta che questo è conficcato nel breve foro approntato per accoglierlo, fa < espandere » il rivestimento di gomma che li ricopre. In tal modo, nell'anello'del chiodo si passa il normale moschettone, prorto a far scorrere, e a sostenere, la corda che vi viene inserì'a a scopo di assicurazione, o di trazione, o di appoggio. Uso, quindi, aperto e dichiarato d'un mezzo artificiale che. lascia a distanza quelli, diremo tradizionali, e che consentono a.una cordata di scalatori provetti, dotati di eccezionale resistenza atletica, di superare pareti strapiombanti che altrimenti non potrebbero venire risalite. Il che è appunto avvenuto nel caso di cui ci occupiamo. In una parola: non potendo, per la natura e la conformazione della parte centrale (specialmente la metà inferiore) della parete, salire con i mezzi e i sistemi comunemente in uso, per aprire una < via > più diretta e, diciamolo, più logica di quella pur bellissima, e difficile (sesto grado) che alla nostra presenza aprirono venticinque anni fa i nostri amici Emilio Còmici e fratelli Angelo e Beppe Dimài, i quattro austro-tedeschi hanno fatto ricorso ad altri accorgimenti tecnico-strumentali: quelli, appunto, che fanno gridare al « sacrilegio », alla denuncia che < il vero alpinismo è morto >, che quest'impresa deve essere esclusa dal codice della montagna, tanto essa appare in contrasto con le regole del < giuoco > che da quando ha avuto inizio l'èra dell'alpinismo moderno sia su roccia (caposcuola Solleder) sia su ghiaccio (caposcuola Welzenbach), ha trovato la sua codificazione, e la sua nobiltà di riconoscimento, nella < scala delle difficoltà > il cui estremo limite è il « sesto grado >. I quattro rocciatori d'oltre Brennero avevano un < problema » da risolvere — e l'hanno risolto. La storia alpinistica è ricca di questi « problemi » che correggono una precedente, e insufficiente soluzione. Esempio classico: la <vera> via alla vetta principale delle Grandi Jorasses (punta Walker) è quella di Cassili e compagni (1938), non già quella di Peters tre anni avanti alla Punta Croz per il lato meno proibitivo. Si potrà discutere per l'Infinito, ma in competizioni del genere è proprio vero che il fine giustifica i mezzi. Dal lontano giorno del '910 che la guida austriaca Fichtl e l'alpinista monachese Herzog per i primi ricorsero al chiodo di sicurezza con moschettone, la strada era aperta all'uso del mezzo artificiale per rendere meno pericoloso il c volo > per la sfuggita d'un appiglio al primo di cordata. L'uso procreò l'abuso — e ciò è nella natura umana, tanto più quando questa è mossa dall'idea d'un miglioramento, o progresso, vero o presunto. Di generazione in generazione, dal 5° grado superabile in arrampicata libera, od anche da certi 6" grado inferiori, espostissimi sul vuoto, con scarsissimi appigli, ma tuttavia percorribili in purezza di stile da atleti privilegiati, già qualche anno prima della seconda guerra mondiale si era giunti al punto che i chiodi dell'epoca di Diilfer e di Piàz sembravano giocattoli per principianti. I tempo era diventato quello dei chiodi per trazione (la tecnica delle due corde, la sottile e la grossa), delle staffe di (rudimentali, all'inizio, a un solo gradino): ma fu anche il tempo delle clamorose conquiste su tutto il cerchio delle Alpi, su ghiaccio e su roccia indifferentemente. E fu soprattutto il tempo che 1 < benpensanti > dell'epoca già tuonavano contro la degenerazione dell'alpinismo, indicando nello spirito di competizione (ch'era null'altro che stimolo alla chiarezza e al superamento) il pericolo che quella nobile attività avrebbe abbassato al ruolo di banale esercitazione ginnastica! Sono trascorsi trent'anni; eppure i censori di quel tempo, se pur fisicamente ridotti al Bilenzio, rivivono fra la generazione attuale. Sembra impossibile, ma il processo — che doveva ritenersi chiuso col raggiungimento del limite superiore del 6" grado grazie ai mezzi artificiali entrati nella consuetudine — ora si vuol riaprire, a danno di questi quattro giovanotti colpevoli soltanto di aver proseguito sulla strada indicatagli dai. < mae¬ corda stri» che li hanno preceduti Per i detti motivi, a noi sembra che l'impresa di cui si discorre non meriti ni cet honneur ni cette indignité che appare sui giornali. Data la premessa adattarsi all'idea che ogni epoca ha il suo alpinismo —. e l'alpinismo freddo, risoluto., al di fuori d'ogni pregiudizio che da qualche tempo si vede espresso attraverso le impazienze e le ambizioni di tanti giovani, è naturale che non sia più quello di venti, o di quindici anni fa, così come questo era lontanissimo dall'alpinismo bisogna soprattutto:■diciamo classico e tradizionale I del « signore » con guida e portatore muniti di piccozza e di ramponi (a proposito, o che codesti non erano mezzi artificiali, con i quali già si alterava la natura e si correggeva la conformazione della montagna?). ' Vittorio Varale IIl I [11 >11 i 1111111111111 111111{IM i IE111 111:111, • i i La parete nord della Cima Grande di Lavaredo. A sinistra, tratteggiata, la «direttissima)) seguita dagli alpinisti tedeschi; a destra la « via Còmici-Dimai »