La distruzione del ghetto di Varsavia di Carlo Casalegno

La distruzione del ghetto di Varsavia LE VITTIME RACCONTANO DOPO LA MORTE, NEI DIARI E NEI DOCUMENTI La distruzione del ghetto di Varsavia In Polonia gli ebrei erano un popolo di tre milioni e mezzo, con una civiltà originale e antiche tradizioni: in quattro anni furono totalmente annientati - Mezzo milione viveva a Varsavia - I nazisti tentarono prima di liquidarli con la fame; poi ricorsero alle stragi e alle deportazioni - Gli ultimi cinquantamila decisero di morire con le armi in pugno: resistettero per ventotto. giorni all'esercito tedesco, nel loro quartiere trasformato in un immenso rogo In una nota del maggio 191,0 il < cronista del ghetto di Varsavia », Emanuel Ringelblum, scrive: « In un alloggio di ' profughi, c impazzito un bambino di otto anni. Grida: Voglio rubare, voglio mangiare, voglio essere un tedesco. Non sopporta più. di essere ebreo, a causa della fame ». Ed il 9 settembre: < Al funerale dei piccini di via Wolska, i bimbi del convitto della stessa via I hanno posto" una corona di fiori con la scritta: I bambini affamati - ai bambini morti di faine ». Eppure in quei mesi la grande tragedia degli ebrei polacchi doveva ancora cominciare: presa la città nel settembre del $9, i tedeschi non erano andati oltre le persecuzioni arbitrarie ed i soliti provvedimenti discriminatori. Solo nel 191,2 crearono i primi ghetti, incominciando da Lodz, finche il 2 novembre istituirono l'ultimo e il maggiore del paese, quello di Varsavia: da un giorno all'altro un terzo degli abitanti della capitale furono chiusi in uno spazio che ne occupava appena la ventesima parte, ed isolati dal resto del mondo. L'alio comando nazista sperava che in cinque anni, dopo questa misura, il problema ebraico si sarebbe €esaurito> naturalmente: bastava lasciar fare alla fame, al tifo e al freddo. Appena 27 mila dei reclusi trovavano lavoro negli shops destinati alla produzione bellica; per gli altri né impieghi, né razioni vitali. Ad ogni tedesco del Governatorato spettavano 2310 calorie al giorno; agli ebrei 184 calorie, meno di due etti di pane. Nel 19J,0 i casi di morte naturale furono 2S ogni mille abitanti; nel 191,2 già toccavano i HO per mille e dei nuovi nati quasi nessuno giungeva ai due anni. Malgrado il contrabbando, pericoloso ma attivissimo, metà della popolazione andava spegnendosi lentamente di fame. Non era difficile alla Gestapo reclutare uomini per i campi di eliminazione, bastava che offrisse a chi si presentava tre chili di pane e un chilo di marmellata: una sera dovettero dimandare indietro centinaia di volontari, perché tutti i vagoni diretti ai Lager erano già gremiti. Ma la fame era un metodo troppo lento: caduta la speranza di battere i russi con la guerra-lampo, Berlino volle affrettare la « liquidazione > degli ebrei ed il 22 luglio del '42 incominciò lo sterminio metodico e organizzato. I responsabili della Polonia si impegnarono con il Quartier Generale di Hitler a «spedire* nove treni settimanali, con cinquemila ! I I JlirJiiiiiiiiiriiiiiEiiiiiifTiiiiiiiiiiiiiiiiiiiixiitJiisiii ebrei ciascuno, verso il campo di eliminazione di Treblìnka; per non ingorgare le linee, conclusero accordi minuziosi con il ministero dei trasporti ed a Varsavia costruirono un apposito tronco ferroviario. In 53 giorni nella sola capitale vennero catturati o uccisi quasi 300 mila ! israeliti: prima gli ebrei teI deschi già deportati nel GoI vernatorato, poi gli abitanti del « piccolo ghetto », i mendicanti ed infine quanti cadevano nelle razzie. Un blocco di case era circondato, frugato dalle SS, dagli agenti della polizia ebraica e dagli ausiliari ucraini, interamente « ripulito » con l'aiuto dei cani. Non c'è pietà per nessuno: sono presi anche i duecento orfani dell'asilo-modello del dottor Korczak. Al vecchio, celebre medico era stata offerta la vita ma rifiutò di abbandonarli: fece indossare ai bimbi dei vestitini puliti, distribuì a ciascuno un sacchetto di pane ed una bottiglia d'acqua, prese permiano il più piccino e con le sue assistenti, in mezzo alle guardie armate, li guidò fino al luogo del massacro. Scelse la morte perché non avessero paura: < I duecento bambini — scrive un testimone — 71071 gridavano, non piangevano. Nessuno si nascose. Si stringevano come pulcini al loro maestro, perché li proteggesse ». Ai primi di settembre il ritmo della strage fu ancora accelerato: in sei giorni, 10 mila fucilati e 90 mila deportati. Quando l'operazione fu sospesa, a Varsavia restavano 50 mila israeliti su mezzo milione, nell'intera Polonia 300 mila su tre milioni e mezzo. La comunità ebraica di Polonia, la più numerosa e importante d'Europa, era praticamente distrutta. Stanziati da secoli nelle terre slave, vi avevano creato una forma di civiltà insieme antichissima ed originale: fedeli alla religione, alla lingua, ai costumi di età remote, ma attivamente partecipi allo sviluppo dei nuovi centri in-, dustriali, costituivano un popolo ricco di gloriose tradizioni, di ingegno, di < colore ». < Erano la parte più viva, più schietta di tutta la nazione ebraica sparsa per il mondo i continuatori del- iiiiiirftiri iiiJiiiiiiiiiriiiiMiiiiriiiiiiiiiiiriiriiiì la sua cultura specifica ». Proprio per questo motivo i nazisti la colpirono con spietata ferocia: in quattro anni fecero più di tre milioni di vittimo. Eppure, dopo la battaglia di Stalingrado, Himmler ebbe paura anche dei superstiti: il 9 gennaio '43, su un'auto scortata da mezzi corazzati, visitò - quel che restava del ghetto di Varsavia; il 16 febbraio firmò l'ordine di farlo < scomparire dalla faccia della terra », e per essere certo del risultato mandò sul posto uno specialista delle repressioni, il generale delle SS Jilrgens Stroop. Prevedevano entrambi un'azione rapida, dal momento che Vanne prima gli ebrei si erano lasciati deportare passivamente: sprofondati in una terribile miseria e tagliati fuori dal mondo, i più credevano di essere trasferiti a lavorare la terra nei territori tolti ai russi, né prestavano fede alle voci sui campi di sterminio. Ma quando le forze naziste si accinsero all'ultima strage, il 18 aprile del '43, si trovarono davanti degli uomini ben consci del loro destino e decisi a morire combattendo. Senza la speranza nemmeno di sopravvivere, quasi senz'armi, senza aiuti esterni, resistettero per ventotto giorni e costrinsero i tedeschi ad impiegare artiglieria, carri armati, reparti di guastatori, aerei da caccia e da bombardamento. I rapporti quotidiani di Stroop a Himmler restano a testimoniare l'eroismo di questa lotta disperata. I < sottouomini » (così li definisce l'alto gerarca) combattono nelle cantine, nei Bunker, nelte fogne; per piegarli non bastano gli esplosivi, bisogna ricorrere al fuoco. Il giorno di Pasqua, 25 aprile, tutto il quartiere è già un immenso rogo; ma gli uomini preferiscono gettare donne e bambini tra le fiamme, pur di strapparli alle S,"., e poi « buttarsi negli incendi gridando offese alla Germania e al Fuhrer ». «JifoZti sono usciti di sen7io per il caldo, il fumo e le esplosioni — telegrafa il generale una settimana dopo — ma l'azione incontra difficoltà eccezionali »; le ragazze « nascondono rivoltelle sotto le vesti e sparano anche dopo la cattura »; » « Sonditi », piuttosto che arrendersi, si lasciano < bruciare vivi nei Bunker o annegare nelle fogne ». Soltanto il ' 16 maggio Stroop può firmare il bollettino della vittoria: c n quartiere ebraico di Varsavia non esiste più. La grande azione ha avuto termine con l'esplosione della sinagoga ». Il maresciallo Keitel, per ordine di Hitler, lo premiò con la Croce di ferro di prima classe. La sanguÌ7iosa epopea del ghetto di Varsavia è il capitolo più impressionante del libro in cui Alberto .Nirenstajn, storico polacco, da anni residente in Italia, ha ricostruito la strage degli ebrei di Polonia: Ricorda cosa ti ha fatto Amalek (ed. Einaudi, 1958). E' come un immenso diario di Anna Frank: esso segue il calvario di un popolo intero anziché di una creatura sola, ma sono sempre le vittime (talvolta anche i carnefici) a narrare, dopo la morte, la loro tragedia. L'autore non ha fatto che raccogliere, scegliere e tradurre dall'immensa quantità di documenti (appunti, comunicazioni, rapporti, lettere) rinvenuti dopo la guerra: così seguiamo giorno per giorno, attraverro annotazioni immediate, l'agonia di tutta una nazione, nelle luei p galle ombre, nelle miserie e negli eroismi. Il nucleo del libro è tratto dall'* Archivio del ghetto di Varsavia »: un diario minuzioso che un gruppo di in¬ tellettuali redasse per anni sotto la guida di Emanuel Ringelblìim, capo del Soccorso sociale ebraico, con rigore storico e con l'intento di lasciare all'umanità una testimonianza completa del loro dramma. Sapevano di dover morire tutti e temevano che il mondo potesse ignorare per sempre l'immenso delitto, ma avevano il coraggio di dire tutta la verità: anche sulla corruzione del ghetto, sulla violenza e sul servilismo della polizia ebraica, sulla viltà di molte vittime. Quando capirono che la loro fine era imminente, chiusero i documenti in una decina di bidoni da latte, li seppellirono in una casa abbandonata e fecero giungere all'estero una descrizione del nascondiglio. Così fu possibile ricuperare l'Archivio di Ringelblum pressoché intatto: fonte preziosa per gli storici, lettura di angosciosa suggestione per ogni coscienza umana. Alberto Nirenstajn ha integrato questo « Archivio » coti fonti tedesche e polacche, con estratti della stampa clandestina, rapporti della resistenza, resoconti di processi, frammenti di diari. Uno, anonimo, fu scoperto tra le macerie del campo di Auschwitz; si intitola: Nell'abisso del crimine e ci introduce nel mondo più fosco della criminalità nazista, in quel Lager dove furono uccisi due milióni di ebrei, altri due milioni di prigionieri. Le vittime erano ombre di uomini, distrutti dai lunghi patimenti, su cui gli aguzzini si divertivano a cancellare anche l'ultima traccia di dignità umana: (nFu portato alla fucilazione un gruppo di ebrei. Avevano una fame terribile e imploravano un pezzo di pane per quell'attimo di vita che rimaneva loro — annota il cronista —. Portarono allora molto pane. I loro occhi annebbiati e spenti si accesero di gioia. Con tutte e due le mani afferravano il pane e lo inghiottivano con ingordigia, mentre scendevano le scale recandosi alla morte ». ilfa anche neV'orrore dei Lager fiorivano l'eroismo, la dolcezza, la bontà. Quattrocento ebrei appena giunti da Cipro si fecero fucilare, ribellandosi all'ordine di introdurre i compagni nelle camere a gas. Quattro rag izz'ne di Varsavia, dai 12 ai 16 anni, morirono sotto le torture per non indicare alla Gestapo i deportati che stavano preparando l'insurrezione ad Auschwitz. Un giorno dell'inverno 1943 arrivò dalla Lituania un carico di bambini, che furono avviati subito ai forni. « Il capokommando ordinò di spogliare i bambini più piccoli. Quando uno del kommando si avvicinò ad una bimba che stava spogliando il fratellino di un anno, per svestirlo lui stesso, la bambina gli gridò: « Va via. assassino! Non toccare il mio fratellino... Adesso io sono la. sua buona mamma, morirà tra le mie braccia.'». Aveva cinque anni. Carlo Casalegno