Sociologia delta, letteratura

Sociologia delta, letteratura Sociologia delta, letteratura La critica serve? La domanda potrebbe tornare di attualità, per conto mio mi è capitato di formularla seguendo una inchiesta condotta da un settimanale romano fra i giovani narratori. Il settimanale naturalmente restringeva la domanda al campo più alto della qjestione, in quanto intendeva s.ictolinearc la frizione che dovrebbe svolgere la critica nei riguardi della nuova narrami ma tutti capiscono come venga naturale allargarne i confini, introducendovi motivi generali e dando al discorso una soluzione unica. In realtà la domanda: la critica serve? se per un momento investe il capitolo molto difficile e contrastato dei rapporti fra scrittori e critici, subito dopo si trasforma e va a far parte di quella nuova scienza pratica che si chiama sociologia della letteratura e a cui Robert Escarpit, dopo le fatiche della grande tesi su Byron, ha dedicato un agile libretto, assai istruttivo, della collana Que-saisje? (R. E., La sociologie de la littérature, ed. PUF). Prima di rispondere se la critica serva allo sviluppo della letteratura sarà opportuno restare per un attimo su quella che è la storia degli ultimi cinquantanni di questo matrimonio difficile. Cominciamo pure col Croce, di cui è nota a tutti la diffidenza verso gli scrittori del suo tempo. C'è una pagina famosa di raccomandazione in cui non è impossibile scoprire il fondo reale della questione e, cioè, come alla base del suo costante risentimento ci sia stata una grossa delusione, un dolore sincero. Delusione e dolore che gli erano nati dall'osscrvarc il comportamento, le debolezze degli scrittori, vale a dire dallo studio di un altro capitolo di psicolo-» già letteraria e di sociologia letteraria. 11 Croce nella sua lunga e mirabile carriera di critico di proposito si astenne dall'entrare in polemiche c dal dare giudizi se non indirettamente e per que sto le rare volte che egli venne meno alla regola, il fatto fu interpretato come una specie di consacrazione: per esempio, sua favorevole attenzione verso un Baccliclli o anche il saluto da lontano fatto alle Lettere di una novizia del Piovcnc venne ro tradotti nel linguaggio pove ro della nostra società letteraria come grossi riconoscimenti. Naturalmente ci fu anche la contropartita e spesso le sue insofferenze trasparivano — a volte a dirittura in modo violento e grossolano — parlando di argo menti simili o vicini: le sue fa mose puntate contro Mallarmé e Valéry avevano un correttivo italiano e la traduzione era fin troppo facile e banale. In sostan za, il Croce consigliava ai gio vani critici di lasciare da parte la letteratura contemporanea per dedicarsi a soggetti, magari spenti e pallidi, del passato. Fu accettato il suo consiglio? Lo è stato per molti anni dai professori universitari, dico che è stato così perché ora, attra verso la porta delle tesi di lau rea, anche le aule dei nostri Atc nei risuonano degli ultimissimi nomi: Pratolini, per esempio, è già da molto tempo argomento di discussione e chissà quanti Pa solini sono già in preparazione. Ad ogni modo tutti gli altri, dico tutti i rappresentanti della critica militante o giornaliera (secondo la suggestione del Pan crazi) hanno fatto orecchi da mercante e hanno lavorato sodo Nessuno, pensando alla splendida teoria che va dal Serra al Cecchi, potrebbe sostenere che la letteratura del Novecento non sia stata seguita e aiutata dalla critica. Proprio col Serra comin ciò una stagione di intelligenza e collaborazione che nel perio do fra le due guerre si irrobusti con i Gargiulo, i Pancrazi, i Cecchi, i De Robcrtis e i tanti giovani e toccò al tempo del l'ermetismo il punto più alto della fusione. Forse è proprio pensando a questo che i giovani delle ultime leve, specialmente i rappresentanti del neorealismo, si sentono traditi e abbandonati se ci basiamo sulle risposte del l'inchiesta romana vediamo che l'accusa più comune è proprio questa, non c'è critica che collabori e neppure c'è un'altra critica efficiente. E' vero? Mi sembra difficile potere accusare la nostra critica di non rispondenza o di silenzio calcolato: ci sono vecchi critici che continuano con pazienza da anni a registrare tutto quello che si pubblica con un barlume di interesse. Caso mai, a volte si è esagerato in senso contrario, occupandosi di libri che erano già morti appena entrati in libreria. Del resto si darà mai il caso di un critico che accontenti tutti, i bianchi e i neri, i ricchi e 1 poveri? Se esistesse un critico di questa fatta, onnivoro e senza allergie, nel mnbdmdnctopmpmi totevtaledardfingbbrsqlesePtrcdptffdpccgstCdeldaes migliore dei casi sarebbe un cronista e anche cosi non riuscirebbe a soddisfare nessuno. Quando ho accennato al cronista, ho messo il dito su uno dei difetti della nostra cultura immediata : noi non abbiamo, come i francesi e gli inglesi, degli informatori puntuali che si limitino alle prime impressioni, sfiorando con molta delicatezza la vera e propria critica. Da noi, c'è solo un modo di critica e il bello è che i primi a volerlo sono gli scrittori, i quali per ogni libro pretenderebbero un saggio esclusivo, di non troppo discreta esaltazione e di negazione o di silenzio per quello che è il lavoro degli altri. Ed eccoci alla domanda che appartiene alla sociologia letteraria: la critica serve? Si intenda, la critica aiuta a vendere, a far conoscere i libri oppure è inerte? Dal comportamento degli editori si direbbe che un buon libraio valga di più di un buon critico, ma lasciamo andare i discorsi malinconici di questa natura e d'altra. Una volta, quando la vita era meglio regolata e fìssa a certi principi, e non esistevano altri mezzi di diffusione come sono oggi la radio e la televisione, un articolo di Pancrazi faceva vendere un centinaio di copie in una sola libreria di Milano. Oggi — bisogna convenirne — c'è una grande distrazione, intanto escono troppi libri, manca, cioè, quella critica segreta, preliminare che si fa nelle case editrici. Spesso di fronte a una cosidetta novità la domanda che tocca la fantasia è : per quale ragione è stato pubblicato il libro? Per quali vie, amici, influenza politica ecc.? E' un giuoco come tanti altri ma ha sempre un risultato sconfortante, la letteratura non c'entra. Così come c'entra poco nei fatri di grande pubblicità tipo Sagan e derivati: se si contassero tutte le nuove ragazze-prodigio si vedrebbe- che il fenomeno Sagan appartiene già alla storia di ieri e si è fatto un passo avanti nella sfacciataggine. Non si dimentichi però che l'editoria è un'industria e un'industria non può correre troppi rischi: fra una buona pubblicità (e del resto la trovata è stata rispolverata dal Grasset nel '25) e una buona critica non ci sono dubbi di scelta e la critica diventa tutt'al più giiiiimiiiiiiiiiìmiimiiiiiiiiiiiim^ un blasone, un modo di illustrazione. Concludendo, direi che la critica serve in tutt'e due i modi: che sia utile dal punto di vista della collaborazione e della creazione, ce lo dicono benissimo i giovani che si sentono defraudati e isolati e che abbia una sua particolare importanza dal punto di vista della sociologia letteraria lo sta a indicare il successo delle raccolte critiche; caso mai, diciamo che ha un'importanza ritardata, di seconda istanza ma ce l'ha. Del resto, in altri Paesi, e l'Escarpit cita la Germania, il grosso dei lettori è regolato e direno dalla critica giornaliera. Per ciò che riguarda l'Italia non conosco dati di questo tipo ma non c'è dubbio che la critica continui a fare il suo dovere, nei limiti c nelle condizioni che le sono imposti : un altro discorso malinconico, ma sarà meglio per oggi lasciar correre... Carlo Bo H1L1111111111111 Iimillllimillllllllllllllllll I

Persone citate: Carlo Bo, Cecchi, Gargiulo, Pancrazi, Pratolini, Robert Escarpit, Sagan, Serra

Luoghi citati: Germania, Italia, Milano