Sono cadute nel silenzio le parole apocalittiche del generale

Sono cadute nel silenzio le parole apocalittiche del generale Sono cadute nel silenzio le parole apocalittiche del generale Non una interruzione, non un applauso mentre egli tracciava una spietata diagnosi dei mali della Francia DAL NOSTRO INVIATO Parigi, lunedì matfc'ma. II generale De Gaulle, dopo, la sua dichiarazione alla Camera, ha'lasciato Palazzo Borbone e non è più ritornato. Ma abbia potuto o voluto seguire traverso una trasmissione radio la discussione che è seguita alla sua dichiarazione, certamente, come la regina Vittoria, was not amused. Giorni fa, fra le condizioni che poneva all'assunzione al governo, c'era quella d'un voto unanime della Camera, esclusi i voti dei comunisti di cui non teneva conto perché d'un partito «non nazionale*. Quando è stato proclamato l'esito della votazione s'è visto che ai voti contrari dei comunisti se ne sono aggiunti ieri sera, più o meno, un centinaio di socialisti, di radicali, di altri gruppi. Ma soprattutto il tono prevalente delle dichiarazioni di voto, per il numero degli oratori che si sono espressi contro il generale, per la vivacità polemica e la forza degli argomenti, è stato di opposizione; e sotto le eloquenti requisitorie di MendèsFrance, di Pierre Cot, di Mitterrand, coloro che si sapeva in anticipo che avrebbero votato a favore tacevano, immobili sui loro banchi di destra o di- centro, o levavano solo timide proteste. Il generale De Gaulle ha ottenuto una maggioranza di cui qualsiasi capo di governo sarebbe soddisfatto, ma non corrisponde certo alla condi- zione da • lui posta, come ho detto, né forse alla sua attesa; e fin da ieri sera dovrà persuadersi che ha ostile, oltre ai rappresentanti della estrema, una parte cospicua di deputati e di uomini politici che hanno nel paese séguito e prestigio, e restano compagni di fede degli stessi uomini che egli ha preso q collaborare nel suo gabinetto. E che continueranno a chiedere conto a costoro, se non « qu'allez vous faire dans cette galère? » che cosa sono andati a fare in codesta galera, ma come ci stanno e quanto tempo intendano di starci. Il colore della seduta è tutto in questo insistente tono di accusa; di fronte al quale le dichiarazioni a favore di altri oratori, o per la loro scarsa abilità polemica o la minore importanza politica dei più di essi, sonavano meno convincenti, o meno convinte, e quasi in sordina, raccogliendo scarsi applausi dagli stessi settori della destra e del centro. Quasi inavvertito La parte di De Gaulle è stataassai breve, una diecina di minuti. Sa aperto la seduta il presidente Le Troquer che ha letto la lettera di dimissioni di Pflimlin e la lettera di candì datura del generale De Gaulle, a cui ha fatto seguire l'elenco dei nuovi ministri. Ne troverete i nomi e i particolari biografici e politici nella cronaca della seduta; quanto a me, sentendo elencare fra i ministri senza portafoglio l'ex presidente Pflimlin, che ha aperto la via al generale con le sue frettolose dimissioni, <e Mollet, segretario generale del partito socialista, ho pensato che sarebbe stata la stessa cosa se Mussolini avesse preso con sé nel suo primo governo non solo Facto, ma anche Turati. E per un certo orgoglio di classe mi ha fatto piacere la nomina a Ministro delle Informazioni di Malraux, scrittore, autore di fortunati romanzi. De Gaulle è entrato nell'aula quasi inavvertito, poco dopo che il presidente aveva dichiarato aperta la seduta, e attendeva che i deputati prendessero i loro posti. Alto, non cosi pingue come appare da qualche fotografia, vestito di grigio, cravatta grigia, scarsi capelli grigi, si muove diritto, con una certa rigidezza che è certo più del mestiere che dell'età. Si è seduto al banco del capo del governo, che fronteggia la tribuna e il seg gio del presidente; e subito salutato da un breve applauso dai settori di centro e di de- zstra, si i alzato per rinora- - ziare. Risiedendo, ha fatto un cenno di saluto al presidente, ha inforcato un paio di grossi occhiali, e ha atteso, immobile, di essere chiamato alla tribuna, dopo le poche parole del presidente. Le disgrazie nazionali Mi hanno detto alcuni dei suoi devoti che la sua voce ha perduto la bella, seducente sonorità di un tempo. Altri ne davano la colpa all'altoparlante, forse collocato troppo basso per la sua statura. La voce tuttavia sonava chiara, pacata, in certi momenti accorata. Le prime parole hanno colpito l'Assemblea, disabituata da anni a una coraggiosa diagnosi elei mali del paese. E' stato un rapido, spietato sunto delle disgrazie nazionali: _ lo Stato che sta disfacendosi precipitosamente, l'unità della nazione minacciata, l'Algeria presa nel vortice d'una bufera, la Corsica in subbuglio, l'esercito duramente provato e irritato per le debolezze del potere pubblico, la situazione internazionale minacciata, anzi sopraffatta dagli stessi alleati della Francia, la capitale divisa in campi opposti che possono esplodere di momento in momento (mentre la Camera sedeva per questa storica seduta, in altre parti della città gruppi di gente minacciosa si scontravano con la polizia, in Piazza della Bastiglia, nei quartieri della Riva Sinistra; e già si aveva notizia dei primi feriti. E intorno a Palazzo Borbone si completava frettolosamente un formida bile schieramento di forze di polizia; posti di blocco, sbarramenti, picchetti, autocarri rapidi, tutta la Piuzza della Concordia ne brulicava). La Camera ha seguito in un silenzio assoluto, non una interruzione, non un applauso, queste parole apocalittiche, e l'esposizione di quello che il generale intende fare subito per correre rapidamente ai ripari; e quando alla fine si è messo in tasca le cartelle e si è tolto gli occhiali, l'applauso è stato breve e poco intenso, come se la commozione impedisse ai suoi seguaci del centro e della destra di manifestare clamorosamente il loro consenso. Delle dichiarazioni di voto vi ho detto; il comunista Duclos, rosso, grossi occhiali sul grosso naso, è stato violento o bonario, secondo i suoi argomenti; avendo tirato in ballo a un certo momento il Pre sidente della Repubblica, e deplorato quello che ha chiamato il suo ricatto alla rappresentanza nazionale, e avendolo richiamato Le Troquer, che -lil capo dello Stato non si può criticare, ha detto con il viso compunto dello scolaretto rimproverato, «ma io non l'ho mica nominato! ». Aspra è stata l'oratoria di Mendès-France, tagliente, sobria; ha suscitato un grande applauso da quasi metà dell'Assemblea, dall'estrema sinistra 'fino ai banchi dei radicali, quando ha esclamato: •* Non il sistema democratico è colpévole della situazione presente, mail cattivo uso che se ne è fatto*. Ha dichiarato che voterà contro (e il suo voto certamente non potrà stupire De Gaulle, che lo conosce bene) perché l'Assemblea non delibera in condizioni di libertà, e sotto il ricatto della guerra civile. Schiaffi a un deputato AncTie Mitterrand ha dato espressioni dure ai motivi per cui voterà contro. « Nel 19-ib il generale De Gaulle aveva a suoi compagni l'onore e la patria; oggi — sia pure senza sua colpa — gli stanno accanto il colpo di forza e la sedizione ». Il socialista Deixonne si è scusato con i suoi-compagni di fede se darà il voto al generale; ma sente la neces sita, lui, e i suoi compagni di partito che votano nello stesso modo, di gettare un ponte fra ciò che si è fatto ieri ciò che sarà fatto domani. (Ha commentato dopo la seduta un deputato radicale: metà dei socialisti giocano sul nero, l'altra metà gioca sul rosso; pensano che nella peggiore delle ipotesi non perderanno). L'Assemblea appare nervosa, quando il presidente chiude la discussione, e dà ordine che incominci la votazione. A un certo momento sorgono urla violente da parte d'un fit¬ to gruppo di deputati raccolti nell'emiciclo fra i banchi della estrema e la tribuna ove si vota; vedo facce accese, uo-, mini che gesticolano e tendono il pugno verso il settore del centro, odo le grida « fuori, fuori, fuori il 'traditore! ». L'oggetto di tanto sdegno è un signore grosso, grigio, il deputato Dronne del gruppo gollista, arrivato fresco da Algeri, che è entrato in questo momento nell'aula e si è seduto in un posto in alto del quarto settore. Le urla sono sempre più forti, si grida in coro, espulsione, espulsione. Il presidente suona il campanello, ottiene un poco di calma e dice rivolto al deputato Dronne: « Giudico sconveniente la sua presenza in questo momento nell'aula ». Subito dopo il tumulto riprende; una giovane donna, alta, elegante in un tailleur grigio, sale rapidamente le scale fra il quarto e il quinto settore, affronta il deputato, lo schiaffeggia. Il colpito non reagisce. Accorrono alcuni deputati, prendono per le braccia la signora, che si lascia portar via docilmente; è la deputata comunista Vaillànt Couturier, vedova del noto comunista Paul, combattente essa stessa della Resistenza, Ritornata fra i suoi è molto applaudita; riprendono più insistenti le grida di espulsione; e dopo poco il deputato Dronne se la svigna per una porticina sul di dietro. Forse pensava amaramente che se fosse stato meno impaziente, e avesse atteso fino a stamane a presentarsi nell'aula, sarebbe stato accolto con tutti gli onori.

Luoghi citati: Algeri, Algeria, Corsica, Francia, Parigi