Chiusi e sospettosi gli algerini nel cuore della civiltà francese di Paolo Monelli

Chiusi e sospettosi gli algerini nel cuore della civiltà francese I NUOVI CITTADINI PROCLAMATI DA DE QAULLE Chiusi e sospettosi gli algerini nel cuore della civiltà francese Soltanto a Parigi e nel dipartimento della Senna ve n'è 150.000 - Nei quartieri ove sono in maggioranza non è consigliabile la sera arrischiarsi nelle strade - Risse sanguinose, per gelosia di una donna bianca, per rivalità politica - Amano certi aspetti corrotti della metropoli, ma tendono a ripiegarsi su se stessi, sulla tradizione e la fede degli avi - Le "bidonvilles,, di Nanterre e di Argenteuil: sordide sotto le nuvole basse e nere (Dal nostro inviato speciale) Parigi, 24 giugno. Sono andato a cercare a casa loro i più poveri, i più derelitti cittadini della Repubblica francese, algerini che sono venuti a cercare lavoro in Francia allettati da fantastiche promesse di guadagni, 1500 franchi il giorno, e sbarcarono dal piroscafo o dall'aereo senza carte né documenti, con un sacco di pelle di capra o una valigia di cartone, avanguardia dei dieci milioni di individui che De Gaulle ha aggiunto ai francesi della metropoli con assoluta uguaglianza di doveri e di diritti, cosi enfaticamente chiamati lusingati ed invocati, « dieci milioni di francesi », nei discorsi di Algeri, di Costantina e di Orano. Ce ne sono ormai da 350 a 400.000 in Francia, di cui 150.000 a Parigi e nel dipartimento della Senna, E hanno invaso quasi tutti ' i quartieri cittadini, si sono infiltrati anche in quelli più eleganti; e in certi luoghi sono ormai in massa compatta, come nel quartiere detto della Goutte d'or dal nome della strada principale che lo traversa, sulle pendici della collina di Montmartre; in fondo alle traverse strette, nelle aperture fra le case nere, coronate, di abbaini, la candida cupola della chiesa del Sacro Cuore che sorge in cima al colle forse ricorda, loro con le sue linee vagamente orientali le cupole delle moschee di casa loro. Ne han¬ no scacciato a poco a poco i parigini, tranne quelli che trovano da campare addosso alla loro miseria, e donne sole, che si acconciano volentieri a consolare le nostalgie di uomini in massima parte giovani e scapoli. Vivono ammucchiati gli uni sugli altri, in abitazioni che hanno più spesso vetri rotti che sani alle finestre, e in luogo di tende, festoni di poveri panni già sudici appena stesi perché si asciughino dalla rudimentale lavatura. Oziosi quasi tutti, perché disoccupati, o subitfl licenziati dopo giorni o settimane di faticosi lavori, i più umili, i più duri, stanno sulle soglie a prendersi allegre confidenze con le donne che passano, o si radunano nei caffè a discutere di politica, o ad ascoltare da dischi gracchianti le canzoni d'Algeri o del Cairo; e qualche caffettiere offre loro nel retrobottega lo spettacolo di una ballerina tintinnante di collane e di braccialetti che si esibisce in una svogliata danza del ventre. Né ho trascurato di visitare le due bidonvilles, come ormai si chiamano correntemente, di Nanterre e di Argenteuil; dove vengono a finire i più miserabili, o approdano i nuovi arrivati; molti non hanno ancora smesso % poveri panni con cui sono arrivati, o la giubba militare; e c'è chi sta ore e ore immobile lungo la strada guardando lontano come, nell'attesa di un mira- colo, come quello che ai due giornalisti italiani venuti a curiosare ha chiesto per prima cosa-, coti occhi di febbre, s'ils sont venus pour l'ernboche, se siano venuti per offrirgli un lavoro, un lavoro qualunque. Vi ho già descritto, due anni fa, le bidonvilles del Marocco; queste ai margini di Parigi appaiono ancora più miserabili, più disumane, forse perché avulse dalla terra natale, forse perché non hanno sopra di sé il padiglione lucido del cielo africano, né all'orizzonte ciuffi di palme e linee azzurre di montagne; ma nuvole eterne e basse, e pozzanghere al suolo, e non altre elevazioni intorno che di detriti di case rovinate, di immondizie, di materiali abbandonati fra i quali vanno pescando la materia prima per i loro abituri. Che da un certo punto di vista si possono considerare il primo passo verso il progresso, dopo la tenda del nomade; certo tutto gli pare buono per crearsi un'intimità, pareti non più alte di due metri fatte di latta, di tela cerata, di consunte tavole di legno, di fiancate di omnibus, di lamiere tolte ad un chiosco, di lastre di eternit; c'è chi ha trovato un cartone illustrato e lo ha incastrato come abbellimento sopra la porta, altrove sul fianco di una baracca crollante, rinforzata da sottili fogli di latta ricavati da un bidone, brilla lucidata dalla pioggia una targa di ottone che reca il nome di un importante signore, M, Hubert Guérin, ambassadeur de France. Poche cose ho visto così deprimenti come questo verminaio grigio, marcio di umidità, ammucchiato su un terreno sporco, scavato a valloncelli, a buche, contro il quale vengono a morire squallide file di case o mura di officine, tagliato per il mezzo da fasci di rotaie, corse da locomotive che esalano nuvole di fumo nero in gara con le nuvole nere del cielo. Questa che vi descrivo è la bidonville di Nanterre; sulla strada che la domina e la limita trovo una jeep e un carrozzone della polizia, alcuni poliziotti, e un uomo alto, con sul cheppì i gradi di capitano, che mi dicono sia il commissario. Gli chiedo, tanto per ini'21'are un colloquio che spero ricco di informazioni, se questo sia il quartiere arabo di Nanterre; <Lo,vedete, not» risponde senza schiudere le labbra. Gli chiedo quante persone abitino in queste topaie; spinge in fuori le labbra, come per dire, « chi lo saf ». Scoraggiato, gli domando se sia' vero che tuguri simt'Zi siano ad Argenteuil, poco discosto; risponde, <Ah, di questo poi non né so nulla ». Segreto militare, evidentemente. La polizia ha un gran da fare a tener d'occhio queste colonie sparse di nordafricani; poco prima, nel quartiere della Goutte d'or, ho veduto che le pattuglie ai crocicchi erano armate di mitra. Quasi ogni giorno scoppiano risse sanguinose fra essi, non si sa bene per che ragione. Per gelosia d'una donna bianca, per rivalità di tribù; o più facilmente per ribellione agli ager'.': di due associazioni nazionaliste rivali, il F.L.N., o fron'i. di liberazione nazionale, e il M.N.A., o movimento nazionale algerino che fa capo al noto Messali Hagi (oggi in carcere); che fanno pagare con modi esosi contri¬ buzioni a favore della causa, su quello che guadagnano o su quello che sono sospettati di guadagnare e non voler rivelare, o infine perché condannati da misteriosi giudici per tradimento verso l'uno o l'altro gruppo, 0 per essersi sottratti ad un compito di azione clandestina. Da quando cominciò questa emigrazione, prima dell'ultima guerra, e dopo la guerra sino a pochi anni fa, gli algerini cercavano di as-. similarsi il più in fretta possibile agli indigeni, si atteggiavano ad atei o poco osservanti, mangiavano come 1 cristiani, si mescolavano ad essi, accolti con la disinvoltura cordiale che hanno i francesi verso gente di ogni nazione o colore, specie se umile (poiché anch'essi, senza gridarlo nei discorsi come De Gaulle, presentono in essi futuri francesi al cento per cento). Ma da due o tre anni gli algerini tendono, come ho sentito dire da varie parti con la stessa espressione, a ripiegarsi su se stessi. Vivono fra loro, chiusi e sospettosi; non è consigliabile la sera arrischiarsi nelle strade dei quartieri ove sono in maggioranza. E si vantano di osservare i precetti della fede, e moltiplicano le scritte in arabo sui caffè, sui muri e sulle baracche. Ad Argenteuil ho veduto gli stessi tuguri che a Nanterre; solo che qui, sull'orlo del tristo villaggio arabo, da due o tre carcasse di autobus, o meglio di corriere dipinte ancora a vivaci colori, sono usciti alcuni bianchi, relitti altrettanto miserabili; una dotnia precocemente vecchia, con radi denti superstiti, e pochi lisci capelli giallastri in dir sordine sulle spalle, ma civetta nei gesti e nella risata, al braccio del suo vecchio uomo dal sorriso alcoolico, ci alitò sul viso con zaffate di pastis volubili parole, come vivono questi suoi vicini arabi, tristi e muti, senza nemmeno il conforto di bere come loro due, felici di essere ciucchi già nel primo pomeriggio. Ci ha detto che alcuni di guest» algerini hanno fa¬ llntvfsscscfdnniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii miglia, ma non ho visto un bambino negli spiazzi fangosi fra una fila dì baracche e l'altra, non una donna; gli è perché — mi ha spiegato — tutto il giorno stanno chiuse in casa, con i bambini stretti alle gonne, escono solo al crepuscolo, quando debbono andare a prendere l'acqua laggiù. Aggirando i tuguri da un'altra parte, abbiamo arrestata la macchina per leggere un'insegna metallica sull'orlo del campo; c'era scritto, in caratteri amministrativi, sotto la data 10 ottobre 1954, che il terreno è di proprietà comunale e deve essere sgombrato di tutto dentro un mese, per l'inizio di lavori urgenti; firmato, il sindaco Dupouy. Dopo quasi quattr'anni il terreno certo è più ingombro di prima, e. la ruggine sta cancellando le lettere del bando. Si sono avvicinati due giovani; l'uno vestito con ricercatezza, scarpe giallissime sotto i pantaloni scuri, una cravatta vistosa; l'altro con una sdrucita giubba militare, una testa ricciuta, fine, intelligente. Ci dice quest'ultimo che è di Tunisi, è qui da dieci mesi, non ha trovato ancora un lavoro; ce lo dice a fatica, perché ancora capisce male il francese, e peggio lo parla; solo quando si accorge che siamo italiani si illumina negli occhi e comincia a parlarci nell'italiano dei siciliani di Tunisi. Ma l'altro, il ben vestito, algerino, orgoglioso della sua parlata francese, dice che è stato licenziato dopo pochi mesi di lavoro da quella fabbrica laggiù (e ce la indica, mezzo chilometro lontano). E quando lavorava non era certo pagato come i francesi, oh non, loin de là. < Perché non torni al tuo paese t — gli chiedo — non hai forse i soldi del viaggio t ». <I soldi ce li ho, ma che cosa vado a fare a casat Nemmeno laggiù c'è lavoro, e non ci sono le tante cose che ci sono qv.i a Parigi ». E mi lampeggia un sorriso come d'intesa. (La libertà dei costumi, il cinematografo, il gusto di andar vestito come un bianco e attirare le occhiate delle donne bianche...). Paolo Monelli iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiniiiiiiiiiiiiiiniiiiiiiiiiiiiiiin

Persone citate: De Gaulle, Hagi, Hubert Guérin