I partiti e il paese

I partiti e il paese I partiti e il paese Nell'Italia di un tempo, come in tutti i paesi parlamentari, la grande prova di un ministero era « fare le elezioni » ; se il ministero usciva sconfitto, nella prima seduta della Camera la nomina di un presidente dell'assemblea appartenente all'opposizione segnava la necessità per il Gabinetto di dimettersi. Ma se invece le elezioni davano la maggioranza al partito di cui il governo era l'espressione, ciò lasciava vaticinare una lunga vita per il ministero. Crisi extraparlamentari erano quelle causate dalla rottura di' una coalizione da cui prendesse vita il Gabinetto (la crisi di un governo Giolitti nel marzo '14 in seguito al voto di un congresso del partito radicale che aveva i suoi rappresentanti nel ministero); ed i costituzionalisti insegnavano che in questo caso il re avrebbe dovuto imporre al ministero di presentarsi alla Camera ed ottenere un voto esplicito, da cui il sovrano prendesse norma per la in dicazione .dei successori. La vigente Costituzione guardò ai modelli classici del sistema parlamentare, come se fosse possibile risuscitarli, ed all'art. 94 non conobbe quale ragione di mutamento del governo che il voto di sfiducia dell'una o dell'altra delle due Camere. In un recentissimo studio del collega costituzionalista Crisafulli pubblicato sulla rivista Jus della Università Cattolica, si constata che in dieci anni di vita della nostra Costituzione nessun governo si è dimesso per la mozione motivata di sfiducia prevista da quell'art. 94, e solo due volte il Gabinetto presentatosi al Parlamento non ottenne la fiducia iniziale. Tutte le altre crisi sono state extracostituzio nali. Ma Crisafulli si guarda dal parlare di violazione del, la Costituzione, osservando che l'art. 94 non esclude che altre circostanze, all'infuori del voto di sfiducia, possano indurre il governo a dimettersi; solo avverte che sarebbe stato preferibile che i « mutamenti di direttiva dei partiti si fossero tradotti alla luce del sole in pubblici dibattiti parlamen tari », e che talvolta il Capo dello Stato respingesse le dimissioni del Gabinetto « obbligandolo ad investire te Camere della crisi ». Quanto segue è la conseguenza della sempre più forte struttura dei partiti. Menzionati dalla Costituzione solo all'art. 49, come di un diritto dei cittadini di formarli, i partiti sono l'essenza del sistema costituzionale. Alla distinzione ottocentesca tra regimi assoluti, costituzionali puri e parlamentari, va oggi sostituita quella fra Stati a partito unico ed a pluralità di partiti. E poiché sono convinto della vanità dell'aspirazione di dottrinari e di nostalgici a risalire il corso della storia, e così a tornare ad una struttura fondata sugli uomini sradicati dai partiti (che in sé sarebbe poi una involuzione; è indizio d'immaturità politica la fiducia in un maggiorente, cui non si domanda perché muti di orientamento, e lasci i compagni d'ieri), ritengo non ci sia che prendere atto di una nuova struttura, ove mutamenti di governo possono essere determinati non solo da crisi di partito, ma semplicemente dal desiderio dell'esecutivo del partito di maggioranza di affidare il governo all'uno od all'altro dei suoi uomini. La sempre più palese importanza dei partiti, induce a chiedersi se il legislatore debba disinteressarsi della loro struttura. E talvolta, quando si sente parlare di manovre nei congressi dei partiti (iscrizioni in massa all'ultimo momento in certe sezioni, modi artefatti di conteggio di voti), vien da chiedersi se un controllo statale non sarebbe opportuno; la presenza di un magistrato in votazioni che possono avere per la vita del Paese importanza somma, non violerebbe la libertà dei partiti come quella del notaio alle assemblee d«lle società non scalfisce quella degli azionisti. E tuttavia _ sono persuaso che questa presenza sarebbe vana (perché non sottoporre ad un controllo capillare l'intera vita dei partiti? Ma ogni volta che si parla di controlli, penso ai controllori; e si tratta sempre di spostare incombenze da uomini ad uomini) : credo sia bene non si facciano leggi in materia. -* Siano i reggitori dei partiti a saggiare gli umori degl'iscritti, a vedere se sia da instaurale un regime di re^le democrazia o di oligarchia, fino a cmal punto le minoranze possano essere tenute a bada: saggino loro il desiderio degli appartenenti, di dare un'adesione una volta per sempre e disinteressarsi di problemi con. creti, od invece di interloquire sugli atteggiamenti da prendere, soprattutto nei problemi della vita locale. Certo la questione si pone in termini diversi che cin quant'anni or sono, quando il partito era tendenza idea le, ma gl'iscritti erano in numero infimo, quando era facile operare secessioni e creazioni di nuovi partiti Oggi che l'apparato dei partiti rende ardua la creazio ne di nuovi, l'atteggiamen to di oligarchie che non ten gano conto della massa de gl'iscritti o di minoranze qualificate può spingere verso il qualunquismo, verso il disinteresse della vita politica. Ciò in cui ravviso uno dei, pericoli più gravi ed attuali di tutte le democrazie contemporanee. Ma occorre saper misurare le possibilità dello Stato e del legislatore : che non possono sperare di far fronte a tale pericolo con leggi sui partiti, ma solo indirettamente, con un aumento della cultura e del benessere, con una scuola pub. bliCa dove non sì faccia politica, ma si prospettino i problemi del mondo contemporaneo e si dia al ragazzo l'amore per la discussione. Lo Stato, attraverso l'Ir! é grandi enti pubblici, ha non solo la radio e la televisione, ma pure organi di stampa, che potrebbero eccitare alla discussione di problemi anziché cercare di farli dimenticare. I partiti sono l'essenza della democrazia ; possono avere degenerazioni, come se assumano forme oligarchiche, e non si abbia più partecipazione degli iscritti alla formazione della loro volontà. Ma anche quella scelta che venisse fatta nei giorni delle elezioni su un generico programma e soprattutto su certi uomini piuttosto che su certi altri, sarebbe preferibile al partito unico: morta gora o lotta velenosa e spietata di anticamere. Situazioni nuove, profilarsi di pericoli ieri inavvertiti, necessità di nuovi rimedi: è il continuo procedere dell'uomo in ogni campo, che rende così deboli i richiami alla esperienza ed alla sto ria. Quel che resta di peren ne è l'amore per la discus sione, la partecipazione; la antitesi tra la vita e la morte, che è altresì tra il sen tirsi cellula operante del corpo in cui si vive o particella estranea portata alla deriva. Quel che scrittori ed incolti, maestri e discepoli, vecchi e giovani, iscritti e non iscritti ai partiti, possono fare ad ogni ora, è l'affermare .questa vitalità, costringere i dirigenti dei partiti ad un continuo colloquio con il Paese. A. C. Jemolo

Persone citate: A. C. Jemolo, Crisafulli, Giolitti

Luoghi citati: Italia