Vita in bilico del Giappone di Mario Gromo

Vita in bilico del Giappone RITORNO NEL PAESE DELLE CAMELIE E DEI VULCANI Vita in bilico del Giappone Se nei villaggi è ancora come secoli addietro, nelle città, e nelle zone che le circondano, l'esistenza è almeno duplice - Una piccola giapponese, esile come un virgulto, cintura di porpora e d'argento, si schermisce con l'ombrellino dal vento primaverile - Un autocarro l'avvolge in una nube nerastra di nafta - E' quasi un simbolo di questo popolo sensibile che lotta contro la miseria, proteso verso una nuova struttura del mondo (Dal nostro inviato speciale) Tokio, giugno. E rieccomi, in tre anni, per la terza volta in Giappone. (Mi ci ha ricondotto uri congresso di editori, ne siano ringraziati editori e congressi). La prima volta vi ero stato colto da tali incantevgli sorprese che la seconda avevo potuto temere di esserne deluso. Un timore poi subito scomparso; è adesso, ormai vaccinato di quei dubbi, potevo pregustarmi il terzo arrivo nell'arcipelago delle camelie e dei vulcani, mentre l'aereo ffeJJ'Alr-France, compiuta in Alaska la tappa polare, per il nord del Pacifico tagliava l'arcò delle Aleutine e ci faceva poi intravvedere, sopra un oceano di nubi, le ultime propaggini della Russia, i picchi nevosi del Kamchakta. A Ci si sarebbe cosi un'altra volta affacciati sull'estremo oriente quasi provenendo dall'oriente, le rotte aeree hanno di queste apparenti contraddizioni. Al largo delle invisibili coste settentrionali della Siberia si erano seguite desolate plaghe dell'Asia; e scendendo verso i mari del 'ud ne avremmo in breve ritrovato le code f/iù sinuose e fiorite. Tutto un mondo, dove miriadi di folle si accalcano; un mondo che ha conosciuto millenni, e sembra ora destarsi a una sua prima, nuovissima vita, * * Vi stanno, l'urta di fianco all'altra, la razza gialla, la bianca, la negra. Non una lingua, non una scrittura, che siano comuni. Muraglie inavvertite, e invalicabili, separa- no paese e paese, talvolta regione e regione. Eppure, in pochi anni, tutta l'Asia al disotto del confine sovietico è andata riconoscendosi un suo nuovo, mconfonaibile animo hi' quello dell'* Asia agli asiatici >, della .rivolta contro i < colonizzatori ». Questi, anche nel continente delle grandi tundre e dei grandi fiumi, avevano usurpato, dominato, sfruttato. Ma avevano anche dovuto insegnare, educare; e quando avevano a lungo asserito di avere dovuto- subire due guerre tremende per salvaguardare il sacro diritto dell'* autodecisione », dell'indipendenza dei popoli (anche se gli èsiti dei due massacri avevano poi calpestato < autodecisioni > e tndipendenze/, tale diritto, conclamato per anni, non aveva potuto non trovare in parecchi popoli dell'Asia un terreno assai fertile, e già dissodato. Prima dell'ultima guerra erano indipendenti un inerte Siam, una letargica Cina, e il piccolo sorprendente Giappone, che sempre più considerava coste e arcipelaghi come sue inevitabili conquiste. Dopo la guerra i < colonizzatori > occidentali hanno dovuto riconoscere varie autonomie; la Cina ha risvegliato t suoi seicento milioni di uomini; e il Giappone, che per alcuni decenni era parso, di tutta la razza gialla, il simbolo e l'alfiere, è stato messo sulle ginocchia, occupato, umiliato. Era stato il primo, fra i popoli dell'Asia, a essere sedotto dalla tecnica occidentale, che gli avrebbe dato cantieri e officine, cannoni e sconfitta; e se ogni paese orientale ormai difetide una sua indipendenza, sente anch'esso ogni giorno di non potere esistere senza una sollecita conquista di ciò che, tecnicamente, sembra dominare e reggere la vita di tutti. Sono grosse scoperte, e irresistibili per chi ancora le ignorava, quelle di una produzione industriale pianificata, con tutte le sue più vistose appendici, un cinema, una radio, una televisione. Sembrano improvvise rivelazioni; e giungono da un mondo assai remoto, prima piuttosto disprezzabile quando non fosse incomprensibile. Ma in codesto mondo occidentale l'epoca della tecnica è l'ultimo èsito di una evoluzione di secoli. Vi confluirono elementi disparati e necessari, con apporti etici e scientifici, in derivazioni sempre successive. Dalla scoperta del¬ la ruota a quella dell'energia atomica tutto in occidente si giustifica, si collega, si concatena; in alcune regioni orientali si dovrebbe invece pn'eare, e quasi d'un tratto, dalia ruota all'energia atomica. Di qui, anche nei nuclei relativamente più progrediti, l'ansia di impadronirsi dei nuovi mezzi; e tale ansia non è priva di diffidenze '.."tintive. Non ha infatti l'aiuto e l'appoggio, sia pure da molti inavvertiti, che per gli occidentali furono i contributi greci e romani, cristiani e rinascimentali. Vuole invece adottare, e in fretta, quelli che della nostra vita ritiene risultati supremi; e ancora volendo negare qualsiasi nostra supremazia. E' così una sterminata moltitudine umana che si affaccia e si protende, per iniziare, dopo una svolta essenziale, una marcia che dovrebbe essere inarrestabile, forse implacabile. * * Codesta svolta il piccolo Giappone l'ha superata, per conto suo, da un pezzo. Sulla tecnica occidentale si è affacciato da quasi un secolo. Dapprima l'ha scimmiottata, ricalcata, copiata; ora, malgrado la sconfitta, comincia a creare. Come già aveva derivato il derivabile dalla civiltà cinese, e ne era poi nata quella nipponica, cosi ora il mondo della tecnica non costituisce più, per il giapponese, un coacervo di segreti da sorprendere e da importare, ma tutta una catena di premesse per ulteriori sviluppi. Infatti, sia pure lentamente, il paese si occidentalizza sempre di più, dall'uno all'altro anno ne sono visibili i segni. Ci vorrà molto tempo prima che si possa parlare di una occidentalizzazione effettiva. E' anche probabile che questa totalmente non avvenga, e si verifichi invece lo stratificarsi di assimilazioni successive, intese a delineare una società nuova. Intanto il Giappone ha certo compiuto una buona metà di un suo primo cammino. La tecnica vi è stata accolta dopo un lungo ermetico feudalesimo, e vi ha avuto e vi avrà un suo procedere molto più spedito di quello del sopravvenire del buddismo nei confronti, dello shintoismo primitivo. E poiché il sentimento religioso vi è oggi piuttosto blando (qualcuno parla addirittura di disfacimento) nuove strutture potrebbero non essere lontane. Per ora la vita giapponese è come in bìlico. Se nei villaggi ancora si vive come secoli addietro, nelle città, e nelle zone che le circondano, la vita è almeno duplice. Ancora, in casa, ci si veste e si vive « alla » giapponeset ma « all' » occidentale per la strada, in una officina, in un ufficio, in molte botteghe. I chimòno, nei grandi centri, vanno sempre più scomparendo. E mi è parso quasi un simbolo, arrivando, lo scorgere in attesa, all'angolo di un viale, una gtapponesina, sottile come un virgulto. Un po' esitante sui geta, gli alti sandali di legno, reggeva un ombrellino di seta bianca a fiorami, la stessa delle amplissime maniche ricadenti fino alle ginocchia lungo Z'obi, una cintura di porpora e d'argento; e si schermiva, con l'ombrellino, da un giovane vento ancora primaverile, che faceva palpitare tutta quella seta fiorita. Sembrava una figurina discesa da un ventaglio; e, d'un tratto, è stata come investita, e atterrita, da una nube nerastra di nafta, l'acre fiato di uri autocarro che passava. * * Poco prima, dall'aereo che lentamente scendeva per atterrare, si erano un'altra volta offerti allo squci'-io alcuni scorci del paese che è quasi tutto un pietrificato ribollire di montagne, in valli sinuose e in picchi sghembi che si urtano e s'impennano, concedendo alle poche pianure un non ampio respiro. Riappariva il paese dei fiori di pesco, talvolta nutriti soltanto dal terriccio che può contenere una ruga di lava; U paese dove autisti e ferrovieri non possono lavorare senza guanti bianchi; dove molti piccoli tetti hanno un'esile canna di bambù come antenna per la radio; dove le risaie a gradoni e a gradini pongono dovunque specchi da presepe, e rilucono anche tra i monti, e nelle foreste, e lungo il mare; dove i boschi sono macchie così folte da apparire selve dei primordi, e hanno invece tagli puntuali e oculatissimi trapianti; il paese dei terremoti e dei tifoni, e dell'ancora incontaminato culto per ogni forma di grazia e di cortesia. Del Pacifico era stato una scolta estrema, sembrò doverne essere il dominatore. Ora è soltanto una pedina. In un gioco che nello sterminato oceano ha dovuto riconoscere un'altra infida piattaforma per il cosiddetto divenire dell'umanità; esattamente come nelle due calotte estreme, l'artica, l'antartica. E di fronte a tali impensati orizzonti, che a tutti cominciano a imporsi, non è difficile (se ne sono perdonati tanti) perdonare anche ai giapponesi i loro ultimi eccessi. Basta averli un po' conosciuti da ut'eino, questi piccoli uomini sempre protesi, dallo sguardo fisso, dagli zìgomi glabri, dalle jnawi asciutte ed esangui, convalescenti. Sono stati le vittime di un chiuso feudalesimo senza pietà, che sul loro paese ha pesato per secoli, e sino alla vigilia di Hiro¬ shima. Ciascuno di essi era ed è soltanto un uomo; e più sensibile, di molti altri, a quanto può donare un fiore sia pure modesto, persino un esile stelo. Lolla se-.'za reqn'.c contro la sua mùtria, per otto mesi dell'anno i contadini lavorano sette giorni su sette, perché, d'inverno, ci sono poi settimane e settimane, con tante domeniche. Non può non amare il Giappone chi di ciò non sia ignaro; e, non essendone ignaro, può soprattutto amarlo, e comprenderlo, chi sia nato povero. Mario Gromo

Persone citate: Siam