L'Italia non gli piace di Enrico Emanuelli

L'Italia non gli piace L'Italia non gli piace Un francese trascorre cinque anni in Italia, poi torna a casa e scrive: «In realtà è incredibile sino a qual punto l'italiano sia un "popolo che vive in piedi. Nel'e città della Francia si ha sempre sottomano qualcosa su cui sedere: panchine, seggiole nei giardini pubblici. Qui niente ». Ed anche scrive: «In quasi tutti i negozi di Roma, di Firenze — nei negozi frequentati dagli italiani — in genere non vi si dice né buongiorno, né grazie, né arrivederci ». Ed ancora scrive: «Gli italiani sono, per essenza, superiori a tutti. Dunque, persino quello che non scrivono è da preferirsi a quello che gli altri scrivono. Anche quello che non dipingono è da preferirsi a. quello che gli altri dipingono ». Abbiamo capito: l'Italia non gli piace. Sul nostro giornale Carlo Bo ha già parlato di Jean-Francois Revel, autore dei giudizi più sopra riferiti ed al suo cenno critico non c'è nulla da aggiungere o da togliere. Adesso se ne riparla soltanto perché l'altro giorno, a Parigi, alcuni italiani e nòstri amici francesi si sono riuniti per discutere pubblica. mente il libro del signor Revel (intitolato Pour l'Italie) e per condannarlo. Gli hanno cosi dato un peso che non si merita, sbagliando bersaglio in maniera insieme generosa ed ingenua. C'è da rimproverare al signor Revel, professore di filosofia, d'aver perduto la buona occasione per aiutarci veramente a vedere ed a considerare certi nostri difetti. Invece, dal lungo soggiorno non ha saputo cavare nessun profitto. Dopo la lettura del suo libretto non si riesce nemmeno a capire in quale ambiente sia vissuto, ad afferrare di quale Italia parli, ad incuire se conosca- altre città al di fuori di Venezia, Firenze e Roma. Così ci è facile dire che i nostri connazionali « risentiti » ed abitanti a Parigi hanno visto offese dove c'è soltanto nevrastenia o malumore o vanità. Con ben altro acume critico Corrado Alvaro ha parlato della nostra società; e con ben altro estro critico Leo Longanesi ha messo in ridicolo molti nostri lati gigioneschi. Paragonato a loro ài signor Revel è soltanto un ragazzino impertinente, ma di una impertinenza, che sembra messa al soldo di corhpagnie turistiche francesi gelose di quelle italiane. ' La nostra storia, l'arte ed i costumi sono visti con disinvoltura parigina dal signor Revel, che si rivela ad ogni istante uomo « con la luna per traverso » 0 tipo a cui sempre .qualche cosa « fa girare le tasche ». Ecco un modo di scrivere naturale, cosa di cui egli ci crede incapaci. E poi questo signor Revel confonde i suoi desideri, le sue abitudini, i suoi gusti, i suoi punti di vista con altrettante verità assolute ed indiscutibili. Redigeremo una specie di inventario per far capire al lettore e forse anche agli italiani di Parigi che basta sorridere di fronte a simili strampalerie di nevrastenico. Il Revel vede le donne italiane con le gambe coperte di peli tanto da doversi qualche volta levare gli occhiali per non essere travolto alla vista di tutta quella peluria, che buca persino le calze. Vede tutti gli uomini noiosi, dominati da una fregola che la signora Merlin ha mandato all'aria^ per di più maleducati specie davanti alle porte dei ristoranti e trova tutti i ristoranti infrequentabili perché non hanno le pareti ricoperte di legno. I nostri preti sono per lui qualche cosa « tra l'uomo e l'animale o, meglio, tra l'animale ed il prete spagnuolo ». Tutti 1 bambini, se li incontra sui treni, gli strappano i giornali, gli danno pedate, sputano sulle sue scarpe. Sono queste le osservazioni profonde d'un tale che vorrebbe mostrarci da quali difetti siamo afflitti ed indurci alla guarigione. Ma dagli uomini passiamo alle città: il Revel dice che molto si esagera sulla loro bellezza, consolidando tale suo giudizio generico con questa nota specifica: «Perché Verona e non, per esempio, Bruges? Non vedo nemmeno nessun palazzo di Firenze tanto bello quanto le Halles di Bruges ». Per il paesaggio c'è soltanto una mezza paginctta in tutto il libro: egli trova che la Riviera ligure è il pezzo di terra mediterranea più rovinato dal cattivo gusto e che il viaggio da Bologna a Milano od a Venezia si svolge su una delle più tristi pianure d'Europa. La nostra cucina è monotona, di sommaria preparazione, senza fantasia e ride beato perché la Toscana offre, come specialità, i fagiuoli lessi. In quanto ai vini si limita a citare una volta il Frascati ed un'altra volta il Chianti. Perché rispondere ad un ignorante testone di questo genere? Eppure, quelli di Parigi, hanno voluto ribattere che tutte queste cose non sono né giuste né vere; ed hanno fatto male. Al primo istante ognuno può giudicare balordi tali argomenti; ma il libro ne offre altri, più sottili ed impegnativi, in cui anche la balordaggine è più maligna. Faremo ancora un altro inventario di revellerie: tutta la letteratura italiana è d'imitazione, rorr.anzi come / Malavoglia od / Promessi Sposi non superano l'esame e lo fanno dormire in piedi. La musica non esiste (sì, Dallapiccola, ma conosciuto in Germania); la pittura è morta (sì, Morandi, ma nella scia di Braquc), E Goldoni? Si salva perché ha scritto le Memorie in francese. E Alfieri? Un imbecille neo-classico noioso. E Leonardo? Resta nella memoria di Revel soltanto perché, scioccamente, ha sostenuto che la pittura è superiore alla scultura. Per concludere questa spigolatura di giudizi ripeteremo, alla rinfusa, che le donne italiane sono schiave prima del padre, poi del marito; che i nostri intellettuali sono pesanti, accademici, alambiccati, vera caricatura di quelli tedeschi; che i professori, riuniti in commissione, fanno finta di esaminare un candidato, in realtà recitano una commedia; che i nostri attori sono guitti incapaci persino di dire, quel che devono dire; e che tutti noi siamo scarsamente accessibili alle idee, siamo senza vivacità, senza naturalezza, sprovvisti di senso del comico, piuttosto galli, ma da strapazzo, inclini alla reciproca prepotenza, eccetera. Il neo-realismo cinematografico è faccenda di poco conto, quasi inesistente senza gli insegnamenti del cinema francese; ma si capisce che egli ha visto la vita di certi nostri compatrioti soltanto attraverso / Vitelloni e di certi altri soltanto attraverso Gli Italiani si voltarlo. Ecco dunque uno sfogo del cattivo, umore, che è anche il ritratto implicito d'un povero uomo che non ha saputo giudicare al di là delle piccole traversie quotidiane e, forse, personali. Egli non critica, ma si lamenta d'un cameriere veneziano; egli non descrive, ma borbotta contro certi italiani che lo invitano a casa per riunioni noiose, in stanze quasi buie, fredde d'inverno, offrendogli soltanto caffè diluito. Tutto sommato nel libro del Revel non si scoperchia. nessun nostro vero, vizio e si affronta, qua e là, qualche nostra situazione storica o politica o sociale, ma quasi di controvoglia e come per sbaglio. Quando scrive : « In Italia è nato l'individualismo moderno, ma per diverse reazioni che si sono poi verificate, si è quasi interamente riusciti ad annullare il concetto della libertà personale privata »; oppure quando scrive : « I comunisti italiani smettono di essere marxisti non appena si tratti della propria vita personale i e familiare »; oppure . quando tocca i rapporti tra Stato e Valicano sembra davvero che stia per entrare in argomenti più decisivi ed utili nel far capire noi a noi stessi: ma anche in questi casi lo sfogo rabbioso gli "rende la mano. Sono così altre puntatine di stizza, disseminate dove vicn viene, tanto da rima-, nere sommerse dalla massa di stupidaggini che dà tono al libro. Ed è un peccato per noi e per l'autore. Gli italiani di Parigi non dovevano riunirsi per discutere; o dovevano riunirsi soltanto per decidere se si può fare qualche cosa per questo povero signore, che di certo ha il fegato guasto, i nervi scossi, l'animo triste dopo cinque anni di soggiorno fiorentino. Perché comportarsi diversamente? Se al Revel l'Italia non piace è padronissimo di dirlo. Ma, ' avendolo detto a quel modo, non restava altro da fare che compiangerlo perché nelle sue pagine, Finza volerlo,- si è dipinto di carattere intollerante ed arido, come un qualunque provincialotto francese. Enrico Emanuelli