Il ricòrdo d'una torbida infanzia ha scatenato la follia dell'assassino

Il ricòrdo d'una torbida infanzia ha scatenato la follia dell'assassino Pietà ^ orrore per la sorte della bimba di Latina Il ricòrdo d'una torbida infanzia ha scatenato la follia dell'assassino Bruno Salvi, piccino, era stato prigioniero di un maniaco nel deserto - Cresciuto, manifestò tendenze innaturali: perché nessuno lo denunciò? - Più crudele ed atroce il caso discusso in questi giorni alle Assise di Latina: un bambino fatto morire lentamente dalla madre e dal suo amante (Nostro servizio particolare) Latina, 17 giugno. Questa è la storia che Bruno Salvi,.l'infanticida di Latina, racconta dfcl'a sua vita. Nacque 38 anni fa a Tripoli da padre italiano e madre araba. Rimase presto orfano e fu allevato da una zia in mezr.o agli indigeni. Quando ora ancora un bambino fu rapito da un bruto, trascinato ne1- deser vlaaLpicadSpcodtatp e orribilmente seviziato. Doi,befu la zia, una specie di riegera furante a pervertirlo ancor prima che egli raggiungesse la adolescenza; sia pure a modo suo, la zia tuttavia gli voleva bene, é lo avviò negli studi, gli fece prendere il diploma di perito agrario. Bruno Salvi aveva vent'anni quando venne in Italia per arruolarsi volontario nella divisione « giovani fascisti », e dopo l'8 settembre 1043 si mise al servizio della Repubblica di Salò: ■ . Intorno al 1948, Bruno Salvi si trovava nel campo 82 di Latina, Era una vecchia caserma, dove vivevano in una grande confusione e promiscuità sfollati e senza tetto, sospinti fin là dalla guerra: molti erano profughi di Cassino, altri avevano trovato là un tétto dòpo aver perduto quel che possedevano nella' Dalmazia, nell'Istria, nella Venezia Giulia; altri infine, come Bruno Salvi, erano nativi delle ex-colonie africane. Alcuni anni fa, tutta quella gente venne sistemata in un quartiere di case nuove alla periferia di Latina, 11 villaggio Trieste. Sono case minime, di due o tre vani, e ciascuna è abitata da una famiglia; alla fiumana Maria Ceriti toccò nella penultima fila una casetta segnata col numero 9; a Bruno Salvi, in coabitazione con un pescivendolo, la casa numero 11. Solo un portone, dunque, separa le due abitazioni. Per il fatto che aveva un titolo di studio, portava sul mento una barba a pizzo, leggeva libri e giornali, e nelle campagne elettorali faceva il propagandista per conto del movimento sociale italiano (grandi fotografie di Mussolini con l'elmetto, di Graziani con la camicia aperta sul collo e i capelli scomposti, e stilizzati fasci littori adornano la sua stanza), Bruno Salvi era considerato un intellettuale dalla ^ente del villaggio Trieste, Sbarcava il lunario facendo 1' assicuratore; dando' qualche lezione di matematica e con altre occupazioni provvisorie; per esemplo, riparando scarpe. Alcuni mesi fa passò un guaio serio; aveva riscosso 40 mila lire per conto della - sua com pagnia di assicurazione e si mulo di essere stato aggredito e derubato. Brutti precedenti, insomma, e gravi'tràini psichici fin dalla prima infanzia. Tuttavia sarebbe un errore immaginare Bruno Salvi come una specie di forsennato; era un omino tranquillo, amico di tutti a Latina, sapeva accattivarsi le simpatie specialmente dei barn bini. Ne incontrava uno per strada e a bruciapelo gli do mandava: «Sei per sette quanto fa?» Magari il ragazzo rispondeva ventiquattro o cin quantasei, e allora Bruno Salvi, inarcando il plzzetto nero con un sorriso, lo ammoniva, lo invitava a casa col pretesto di dargli ripetizioni di aritmetica Venerdì notte Bruno Salvi uscì come un lupo dalla casa di Maria Cerin e portava na scosto sotto la giacca il corpicino di Rosalba, una bambina di 19 mesi, l'ultima figlia di Maria Cerin; la profuga fiumana ha tre figli, ciascuno di padre diverso. Camminò lungo un sentiero nell'aperta campagna, in direzione dei pioppi che costeggiano un canale, sotto un cielo carico di basse nuvole. Neppure lui sa dire con certezza se prima seviziò quel pugno di carne umana e poi le tolse la vita ovvero se la morte colse la bambina prima delle sevizie. Poi tornò nella casa del Baschera, riprese con altre diciassette persone a vegliare un morto. Il cadavere del vecchio Giacomo BaBChera stava tra i ceri e i fiori, ma i diciotto vicini di casa non sembravano grandemente turbati per la sua presenza: beve-vano vini e liquori, mangiavano biscotti, e i discorsi ora erano lugubri, raccapriccianti, vecchie storie di spiriti e di morti risuscitati, e poco dopo prendevano un andamento allegro, talora diventavano licenziosi. Un eccitamento morboso era dunque nell'aria, accanto al morto, sin dalle prime ore della veglia Un po' prima di mezzanotte Maria Cerin andò a dare un'occhiata alla ngiioletta lasciata sola a casa, e quando ritornò fra gli amici disse: « Com'è bella Rosalba Pare un angiolo. L'ho accarezzata e m'è sembrato di toccare una fresca, vellutata rosa». Furono queste parole ad accecare definitivamente il bruto? Non lo sappiamo. Sappiamo però che oggi molte sono le madri che raccontano storie rivelatrici sul conto di Bruno Salvi. Molte e molte volte fu sorpreso in atteggiamenti di allucinata concupiscenza accanto a bambini, e le donne del villaggio Trieste vi dicono che le sue carezze erano viscide come quelle di un serpe Ma perché non fecero queste rivelazioni prima del delitto? Come mai nella borgata non si trovò mai nessuno che andasse dai carabinieri o dalla polizia e raccontasse quel che aveva visto, quel che si mormorava e si sospettava? Lo stesso interrogativo ci •aElaavddtaqepQcSsefidgac1 cmdlatocsi gpvs viene incontro quando dal villaggio Trieste passiamo nelle aule della Corte di Assise di Latina dove in questi giorni pi sta svolgendo il proct.o- a carico di due amanti accusati di infanticidio. La storia di Ste-fano Siciliano è certamente più crudele di quella della piccola Rosalba. Stefano mori due anni fa e fu quello certamente uno dei giorni più belli della sua breve esistenza •aveva due anni e otto mesi. Era nato da una relazione che la madre, Anna Pedrazzini, aveva avuto con una guardia di finanza ad Anzio. Abbandonata dall'amante, si era unita con Luigi Pacifici; dopo qualche tempo da Anzio si erano trasferiti ad Aprllia, a pochi chilometri da Latina. Quando i due amanti cominciarono a seviziare il piccolo Stefano, non è stato chiarito; sembra però che Luigi Pacifici, ohe per seguire Anna Pedrazzini aveva lasciato la moglie e due figli, non abbia mai avuto tenerezza per Stefano. Oggi i due amanti si rinfacciano l'un l'altro le sofferenze, 1 tormenti, gli strazi che infine condussero il bambino alla morte. Lo legavano nel cuore della notte a una maniglia della finestra o al piede di un letto, lo ferivano con percosse al capo e nel corpicino, lo costringevano a camminare con i piedi nudi sulla neve, gli negavano persino un pezzo di pane. Il bambino, e pensate voi quanto deboli siano le risorse vitali di un bambino di due anni e otto me si, cominciò a deperire, a morire; la febbre lo co 3umavs, l'arsura gli ingrossava la lingua nel palato e chiedeva un bicchiere d'acqua. Gli fu snesso negato. Stefano doveva moiJre. Non per niente un giorno Luigi Pacìfici aveva detto all'amante: «Se tuo figlio non muore, io ti abbandono ». Stefano morì alle tre di notte del 7 aprile di due anni fa. Poche ore prima che spirasse, e ormai bastava poco per spegnere l'ultimo soffio di vita nel suo petto, venne ancora una volta legato per i polsi e costretto a stare in piedi sotto una finestra. Neppure in punto di morte ebbe il conforto di un medico o di una carezza. Sul tavolo anatomico i periti gli trovarono sul corpicino denutrito una sessantina di ecchimosi, lo scollamento del cuoio capelluto dalle ossa del cranio, lesioni varie e le cicatrici dì un morso. Lungo è l'elenco dei testimoni, e alcuni raccontano episodi e particolari che vi fanno capire quanto crudele, addirittura disperato sia stato il martirio del bambino. Alla luce di questi fatti esposti minutamente davanti ai giurati delle Assise di Latina, si è veramente indotti a pensare che in questo mondo, in mezzo a noi, vi sono creature che hanno si fattezze umane ma 11 loro cuore ha una ferocia così persistente, cosi crudele come non sì riscontra in nessuna belvaMa torniamo al punto di prima: se tanti e poi tanti sono i testimoni che videro o udirono le sevizie che portarono alla morte 11 piccolo Stefano, perché mal nessuno di essi corse dai carabinieri ed espose le orribili cose che stavano avvenendo nell'abitazione dei due amanti di Aprilia? Il bambino andava spegnendosi, nelle ultime settimane la denutrizione lo faceva slmile a un pìccolo scheletro, i suol pianti diventavano sempre più fiochi; eppure nessuno tra i vicini si mosse. Lo fecero per cattiveria o per Ignavia? Ed erano anche cattive e ignave le madri del villaggio Trieste che vedevano le loro bambine adescate e insidiate da Bruno Salvi? No; la verità ci sembra un'altra. Manca la fiducia del cittadini nelle forze dell'ordine. Sarà il timore inculcato nei cittadini dalle lunghe tirannie, sarà una scarsa conoscenza delle leggi, Baranno altre le cause, il risultato però non cambia: gli italiani pensano che per vivere tranquilli e in pace, devono tenersi lontani dagli uffici di pubblica sicurezza. Davanti al più orrendi delitti come in occasione del più insignificanti incidenti stradali, il primo impulso dei cittadini è di scantonare prima che arrivi la polizìa. Nicola Adelfo Bruno Salvi, l'infanticida di Latina, e la sua piccola vittima, Rosalba d'Imperlo di 10 mesi. (Telef.)