La Chiesa non può transigere sutla persecuzione di Stepinac

La Chiesa non può transigere sutla persecuzione di Stepinac LA ROTTURA TRA VATICANO JUGOSLAVIA La Chiesa non può transigere sutla persecuzione di Stepinac Animosa, ardente vita del cardinale - La sua triste sorte impedisce ogni conciliazione - Altri vescovi jugoslavi hanno potuto tuttavia presentarsi al Papa (Nostro servizio particolare) Roma, giugno. L'immobilismo e la inamovibilità degli alti uffici gerarchici della Chiesa Cattolica sono rivelati nella loro drammatica fatalità dalla vicenda del cardinale Luigi Stepinac. Sul quale, fin dall' adolescenza, hanno pesato conturbanti disorientamenti; egli non era infatti che un ragazzo quando l'esercito della monarchia austro-ungarica, per sostenere la guerra sui due fronti, il russo e l'italiano, arruolò anche la sua classe — la classe del 1898 — imponendogli le stellette di ufficiale di compie mento. In un aspro combattimento sull'Isonzo, caduto nelle mani delle truppe italiane, in virtù dei patti che legavano i governi alleati al piano di liberazione dei Paesi soggetti alla corona asburgica, Luigi Stepinac venne sciolto dai reticolati dei campi di battaglia e spedito quale «volontario > nel corpo dell'esercito serbo che si era ricostituito a Salonicco. Allorché, con la pace, depo se le armi e ritrovò la strada di casa, nel natio villaggio di Krasic, frequentò l'università agraria, ma, appena conseguita la laurea, invece di impegnarsi a sfruttare razionalmente i campi, come la famiglia avrebbe desiderato, si accinse a seminare nelle anime ed entrò quindi nel sommario della sua archidiocesi, Zagabria, completando gli studi sulle rive del Tevere, in quel Collegio « Germanicum >, ai cui chierici, a ragione delle loro to1 nache scarlatte, i romani at¬ tribuiscono il nomignolo di « gamberi cotti ». Poiché venne ordinato sacerdote quando aveva compiuto i 32 anni — e non a 22, 24, come i chierici che sono assorbiti dalla conformistica disciplina del seminari fin dai corsi ginnasiali — la sua può essere definita dunque una vocazione tardiva. Appunto la larga maturità che si rifletteva in lui nonché la vivace energia del suo temperamento indussero l'arcivescovo di Zagabria a chiamarlo al suo fianco quale segretario e consigliere. La considerazione che di lui acquistarono rapidamente e superiori e fedeli e la circostanza che il suo zelo e la sua pietà erano stati apprezzati anche a Roma lo resero a tal segno indispensabile che, a soli quattro anni dalla sua ordinazione, nel 1934, venne nominato vescovo ausiliare dell'arcivescovo di Zagabria e destinato a succedergli nel 1937. Da poco più di tre anni, governava con alacri iniziative la Chiesa di Croazia, quando questa inaugurò il svio amaro calvario: nel 1941, la dittatura di Ante Pavelic che volendo innalzare contro i confini sovietici il suo < antemurale della cristianità »• ricorse a meto di di cruda e poco cristiana intolleranza, successivamente l'occupazione del Paese da parte delle armate dell'Asse e infine l'animosa guerriglia dei partigiani. Da que sta emerse un capo di implacabili ambizioni, Tito, che nel 1944, dopo una sua visita a Mosca, dispose di potenti strumenti bellici e propagandistici ed impresse alla Jugo¬ slavia programmi di marca staliniana. Ben si può comprendere come quel dilagare dei metodi sovietici non potesse suscitare che l'inconciliabile resistenza del primate croato della Chiesa Romana. Né lo Stepinac, temprato in un bellicoso acciaio e fedelissimo interprete della cattedra vaticana, sapeva e voleva tacere; egli anzi nel 1945, riaffermò in una coraggiosa pastorale quelli che per lui erano i principi sacri e perpetui della libertà e dèlia dignità cristiana. Belgrado rispose deferendo3 al tribunale dej popolo che i sforzò di colpire J'arcivescovo nel suo stesso impegno caritativo accusandolo di correità negli orrori di cui si erano macchiati gli < ustasci » di Pavelic ed i nazisti coltro le popolazioni ortodosse e musulmane della Bosnia-Erzegovina. Condannato, il 10 ottobre 1945, a 16 anni di lavori forzati e ad altri 6 anni della per dita di tutti i diritti civili, lo Stepinac venne rinchiuso nel penitenziario di Zopoglava e si vide poi commutata la pena nel confino. Ora, l'impedimento, da parte di autorità statali, alle attività pastorali, un impedimento aggravato dal soffocamento della libertà, è valutato dalla Chiesa come un crimine né essa mai scenderebbe a transazioni prima che un suo pastore sia sciolto dai ceppi. Il Papa anzi esaltò il vittimismo — per non dire il martirio — dello Stepinac conferendogli nel concistoro del 1953 il supremo onore della porpora. Questa stessa eleva¬ zione sottolineò vieppiù il distacco della Jugoslavia da Roma giacché allo Stepinac non venne consentito di presentarsi in Vaticano per essere intronizzato ufficialmente nel Sacro Collegio. Il distacco anzi venne sanzionato sul terreno stesso delle relazioni diplomatiche che sono ' state rotte con la chiusura della nunziatura apostolica a Belgrado. Contrasti così accesi come quelli che hanno diviso il regime di Tito e la Santa Sede è estremamente arduo — se non impossibile — anche appena di aggirare tanto più che la Chiesa intende regnare al di sopra di ogni vicissitudine del secolo e perciò rifiuta di sostituire i suoi gerarchi come usano invece i governi civili mutando gli uomini col mutare dei regimi. D'altro canto, era pressoché impensabile che un dittatore come Tito si prestasse a qualche arrendevolezza. Tuttavia, la scomparsa del lo Stepinac potrebbe forse condurre ad un allentamento della tensione e perfino ad un tacito modus vivendi. Il fatto che, negli ultimi tempi, alcuni vescovi della Jugoslavia siano stati in grado di presentarsi al Papa per le loro visite ad limina lascia presumere che un tale viaggio sarebbe autorizzato anche al nuovo arcivescovo di Zagabria che il Vaticano si appresterà un giorno a nominare. E quello potrebbe diventare il segno di una prima blanda distensione nei rapporti tra la Jugoslavia e la Santa Sede. C. X.

Persone citate: Ante Pavelic, Krasic, Luigi Stepinac, Pavelic