Un conservatore galantuomo di Gaetano Mosca

Un conservatore galantuomo Per il centenario (iella nascita di Gaetano Mosca Un conservatore galantuomo Professore di diritto costituzionale all'Università di Torino dal 1896 al 1923, fu uno dei maestri del pensiero politico contemporaneo - L'efficacia della sua lezione si è fatta sentire in crescente misura nell'ultimo ventennio, non solo in Italia ma anche all'estero Non sappiamo se l'Università di Torino, dov'egll tenne dal 1896 al 1923 la cattedra di diritto costituzionale, abbia già pennato a onorare in qualche modo la memoria di Gaetano Mosca, in occasione del centenario della nascita. Ma non dubitiamo che prowederà a farlo, e in forma degna. Si tratta, infatti, di uno dei maggiori maestri del pensiero politico contemporaneo: l'efficacia della cjì lezione (riconosciuta sin dal primi anni del secolo da Einaudi, da Salvemini, da Croce e, più tordi, dal giovani di « Rivoluzione liberale », da Piero Gobetti e Guluo Dorso) si è fatta sentire in crescente misura, nell'ultimo ventennio, non solo nel nostro paese, ma anche all'estero. Senza dubbio, non pochi aspetti della sua opera — e, in primo luogo, i suoi fonda menti metodologk:. -• ci ippalono oggi in"CCi i&'i o perenti. Ma oggi siair.o ertamente meglio dispetti che non i suoi lettori del primo Novecento ad apprezzarne il vigoroso realismo, temperato da <una intima prepotenza di sentimento morale >; e a intendere l'importanza, per l'interpretazione della realtà politica e della storia, delia sua dottrina e l o i e . e che, in qualsiasi regime (anche in quelli che si professano più democratici), l'effettiva direzione politica è sempre tenuta da una minoranza organizzata, che si impone in virtù di requisiti che variano a seconda dei tempi e delle condizioni storiche e che cerca di legittimare il proprio potere mediante una «formola politicai, c ideologia, il cui valore è puramente pratico o strumentale. Mentre concetti come quelli di circolazione delle minoranze dirigenti e di difesa giuridica o della libertà politica come necessariamente legata, all'esistenza di più forze sociali autonome e concorrenti, capaci di controllarsi e limitarsi a vicenda, sono ormai entrati a far parte del patrimonio del pensiero liberale. Personalmente, il Mosca fu un liberale conservatore: che esordi come scrittore politico, riti lèSi, con un'opera (Sulla teorica dei governi e sul governo parrlamentare), chc era tutta un'aspra requisitoria contro il sistema parlamentare stesso criticato e condannato non solo nel suo funzionamento nell'Italia del tenupo, l'Italia di Depretis e del trasformismo, ma nel suol stessi presupposti Ideali, nei concetti cioè di sovranità e di rappresentanza popolare); e che, anche più tardi, non cessò di criticare e combattere le ideologie democratiche e il socialismo e di propugnare, tra l'altro, un suffragio ristretto o differenziato secondo criteri culturali e censitari. Ma fu, come ebbe a definirlo Gobetti, «un conservatore galantuomo): ohe, n»i critici anni Intorno al Novantotto. non si lasciò sedurre dall'appello sonninlano a un « ritorno allo Statuto >, da attuare mediente l'abolizione del governo parlamentare e un rafforzamento del potere esecutivo e delle prerogative della Corona; ohe, qualche anno dopo, respinse con altrettanta fermezza le illazioni autoritarie e illiberali che il nascente nazionalismo cercava di trarre dalla sua dottrina della classe politica; e che, infine, non dimostrò simpatie o indulgenze verso il fascismo: di fronte al quale assunse, anzi, nel Senato (dove sedeva dal 1919), figura di aperto oppositore. E, anche in sede ideologica, pur tenendo fermo ad alcune delle sue critiche al sistema parlamentare e alla condanna teorica dei princìpi della democrazia, egli finì col dare dell'uno e dell'altra una più equa e positiva valutazione. Per quanto concerne il regime rappresentativo, già nella prima edizione dei suoi .Elementi di scienza politica, pubblicata nel 1896, egli riconobbe, infatti, che in esso si attua la partecipazione alla direzione politica di « un certo numero di valori sociali e l'influenza e l'organizzazione di molte for. ze politiche che in uno Stato assoluto sarebbero restate inerti ed escluse »; che le aspirazioni e gl'interessi dei più vi hanno maggiori possibilità di farsi valere; e che vi esistono, più che in ogni altro regime, garanzie di libertà, rappresep tate dalla pubblica discussione e dal fatto che basta talora « una piccola minoranza indi pendente per controllare l'ope rato d'una grande maggioran za e, soprattutto, per limitare l'onnipotenza dell'organizzazione burocratica ». E, quanto alla democrazia, già nel 1904, egli precisava che, se la sua concezione della politica come opera di minoranze, importava «dclp«sttccmbrvsptqdiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii a e o a o i i , , a e , a e a «la condanna dei teorici della democrazia », ciò non significava però ci:e «la pratica delle democrazie sia in tatto e per tutto da condannerai ». «La democrazia nel fatto ha sostituito a un metodo di scelta della classe politica un altro metodo, e non si può dire che la 3ostituzlone sia stata cattiva... Dobbiamo a essa, almeno in parte, le principali libertà moderne; le dobbiamo il regime di discussione in cui viviamo»: regime che «è il solo che permetta alla classe politica di rinnovarsi, che la tenga a freno, che la elimini quasi automaticamente quando non corrisponda più agli interessi della collettività». Ancor più positiva la valutazione datane nella seconda edizione degli Elementi, uscita nel 1923. Qui non troviamo solo una vera e propria palinodia di molte delle critiche rivolte In precedenza al oistema parlamentare: al (piale veniva ora riconosciuto il -merito di aver consentito a « quasi tutte le forze politiche, ossia a quasi tutti l valori sociali, di partecipare alla direzione politica » e di aver cosi reso possibile « coordinare verso fini d'interesse collettivo una somma maggiore di energie e di attività individuali », senza tuttavia comprimerle e svigorirle. Troviamo anche un riconoscimento della funzione adempiuta, nella evoluzione delle umane società, dalla « tendenza democratica»: tendenza giudicata « in certo modo indispensabile » al loro progresso: «1.8 lotta tra coloro che stanno In alto e coloro che, nati in basso, aspirano a salire è stata, e sarà sempre, il fermento clic ha costretto gli Individui e le classi ad allargare i propri orizzonti e a cercare vie nuove»; e che, rinsanguando continuamente le classi dirigenti con l'immissione di nuove forze, impedisce che esse, col rinchiudersi in sé, si estraniino ai bisogni e alle aspirazioni del maggior numero, determinando un'insanabile contrapposizione di interessi o, addirittura, di « tipo sociale », tra governanti e governati, tra classi dirigenti e classi dirette. Qui non era solo felicemente còlta la funzione a un tempo rinnovatrice e conservatrice della democrazia. Veniva anche posto uno stretto legame d'interdipendenza tra « tendenza democratica » e progresso civile, la cui affermazione costituiva, di fatto, la più efficace critica di molte delle prevenzioni antidemocratiche manifestate altrove. Mentre, d'altro canto, il risalto dato al problema della « classe politica » e dei criteri che prevalgono nella sua formazione valeva a richiamare l'attenzione su quello che resta tuttora uno dei problemi capitali delle democrazie: il problema della qualità della loro leadership, della formazione e della scelta delle loro classi dirigenti, sempre più insidiate dall'involuzione oligarchica e burocratica delle organizzazioni di partito e dall'Insufficiente rispondenza dei meccanismi elettorali a quei fini di selezione qualitativa degli uomini e dei gruppi destinati a esercitare la direzione politica, dai quali dipendono, in definitiva, la possibilità di funzionamento e le sorti avvenire della democrazia stessa. Paolo Serini iiiniii iiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii

Persone citate: Depretis, Einaudi, Gaetano Mosca, Gobetti, Guluo Dorso, Paolo Serini, Piero Gobetti, Salvemini

Luoghi citati: Italia, Mosca, Torino