La prima Camera dell'Italia unita fu eletta da meno di 240 mila votanti di Nicola Adelfi

La prima Camera dell'Italia unita fu eletta da meno di 240 mila votanti IL LENTO VIAGGIO DEL SUFFRAGIO UNIVERSALE La prima Camera dell'Italia unita fu eletta da meno di 240 mila votanti Un reddito di 40 lire o il certificato della quarta elementare dava i diritti politici - Fino a Giolitti il popolo restò fuori della vita pubblica: si temevano i wsalti nel buio,, - Eppure, quando gli elettori passarono da 2 ad 8 milioni, non ci furono sorprese - Lrispi negava il voto alle donne perché leK regine dei cuori„ non diventassero "'demoni tentatori„ (Nostro servizio particolare) Roma, 9 maggio. €ll suffragio universale è cosi fatto che per averlo s'è dovuto lottare, e si dovrà lottare per conservarlo; ma poi ciascuno s{, secca di esercitarlo ». Se questa considerazione è di un autore franco-. se, vale egregiamente anche per noi italiani; almeno cosi parrebbe a guardare il desolato panorama dei ^Comizi elettorali oppure ad ascoltare i discors. ohe fa la gente. Gli oratori parlano in piazze deserte, i sistemi di propaganda all'americana perfezionati o introdotti per la prima volta in questa campagna elettorale con grande dispiego di automezzi, di pellicole cinematografiche e di canzoni, non hanno un successo neppure di lontano proporzionato alle somme investite. Eppure quante lotte, quanto sangue, quante generazioni di uomini sono state necessarie per dare ai cittadini il diritto di scegliersi col voto i loro rappresentanti al Parlamento. Per quel che riguarda noi italiani, il suffragio universale rappresenta un viaggio durato cento anni. Se ne comiJtciò a discutere in concreto negli anni intorno a quel 18-',S che vide le fiamme della rivoluzione levarsi da ognt canto dell'Europa. Se ne discusse con accanimento anche nel Palazzo Madama di Tonno, e là un uomo che era moderilo ma cauto, il conte di Cavour, con quel suo italiano smozzicato che non era propriamente la lingua del Manzoni, disse che a lui il suffragio universale piaceva poco o punto. Secondo lui, il diritto al voto doveva essere conferito solo ai cittadini in possesso di sufflcienU garanzie d'intelligenza e d'indipendenza economica; in altre parole fomiti di un titolo di studio e di una rendita. Erano queste le idee del llllllllllllllIIIIIIIIItlllllllilUlltUIIIIMllItllItlllIl tempo, e la legge le tradusse in pratica chiamando a votare solo i cittadini che avessero almeno la frequenza della quarta classe elementare e un censo minimo di ifi lire l'anno. (Erano i tempi in cui una giovane che portasse al marito una dote di 500 lire veniva considerata un buon € partito >; tempi che sembrano remoti, quasi mitici, eppure noi siamo appena i nipoti o i pronipoti degli uomini e delle dotine che facevano la spesa quotidiana per un'intera famiglia con pochi soldi). I requisiti del titolo di studio e del censo facevano sì che solo pochi fossero gli elettori. Pensate che quando l'Italia fu fatta e divisa in US collegi, gli elettori dalle Alpi alla Sicilia risultarono appena J/18.696 e non rappresentavano nemmeno il 2 per cento degli abitanti. Le belle, le luminose guerre per la indipendenza erano appena finite, ancora palpitava nel cielo il rosso incendio acceso da Garibaldi con la sua impresa nel reame dei Borboni, per la prima volta gli italiani erano uniti in una patria sola; erano grandi, rivoluzionari eventi, e dovremmo pensare che gli elettori accorressero come un sol uomo alle urne. Ma non fu affatto così; furono appena 239.583 gli elettori che si portarono ai seggi elettorali la domenica del 27 gennaio 1861. In alcuni collegi specialmente nel Mezzogiorno, dove pochi erano i titoli di studio e mal ripartile le ricchezze, bastavano poche centinaia di elettori per mandare un candidato alla Camera. A smuovere quei nostri progenitori dalla apatia politica, se le grandi idee e i grandi eventi non ce la facevano, poco potevano anche gli stessi candidati. E che candidati! Camillo di Cavour, Giuseppe Garibaldi, col fedele Nino Bixio, Giuseppe Verdi, Francesco De Sanctis e poi tutta la schic- lllllllllllIIIIllllllllllllllItllIllllllllllIIIIIIIlllllll ra dei futuri grandi statisti, da Marco Min-ghetti a Bettino Ricasoli, al Lanza, al Rattozzi, a Crispi... Negli anni successivi, il Veneto fu congiunto all'Italia, Roma divenne la nuova e definitivo, capitale del Regno, il Parlamento lavorò a dare un ordinamento giuridico uniforme al Paese, ma non per questo il panorama elettorale mutò gran che; nelle elezioni del maggio 1880 gli elettori eia?io saliti appena a 6S0 mila, e sempre altissimo restava il numero degli astensionisti. La verità è che il popolo non ancora era stato condotto sulla scena politica; lo si teneva anzi discosto temendo chi lo sa quali catastrofi dall'estensione del suffragio. Avevano un bel tuonare a favore del suffragio universale uomini come Garibaldi, Cavallotti, Bovio, Bertoni; i loro discorsi e manifesti cadevano falciati dalle paure e dalle ironie dei deputati che, forti dell'appoggio di pochi grandi elettori, non volevano novità. Tuttavia, qualche concessione bisognava pur farla ai tempi nuovi, e così, dopo la caduta della destra, il suffragio fu allargato con prudente coraggio; il censo venne ridotto da 40 lire a 19 lire e 80 centesimi; e anche senza possedere il titolo della quarta elementare, potevano votare i cittadini che avessero frequentato con profitto la scuola del reggimento. Gli elettori passarono da poco più di 600 mila a oltre due milioni. Ma il voto alle donne f Manco a parlarne. Una volta che si propose di farle votare per lo meno nelle elezioni amministrative, il Presidente del Consiglio che era allora il siciliano Francesco Crispi balzò su con furia: <La donna è regina dei cuori finché resta estranea alle lotte della cosa pubblica. Ma s'è la caccerete nella i>olitica non sarà più il tesoro delle famiglie, non sarà la provvidenza e la previdenza del marito e dei figli-.. D'altra parte, quando voi distaccate la donna dalla famiglia e la gettate nella pubblica piazza, voi fate, o signori, della donna, non più l'angelo consolatore della famiglia ma il demone tentatore. Né voglio 10 ricordare l'influenza possibile dei confessionali ». Passarono ancora trent'anni. Nel marzo 1911 cadde il ministero Luzzatti che voleva sì il suffragio universale, però desiderava temperarlo con il voto obbligatorio; uomo di destra, Luigi Luzzatti pensava che in questo modo ti maggior afflusso dei borghesi alle urne avrebbe diminuito i pericoli di quel < salto nel buio » che era rappresentato dal suffragio universale. Giovanni Giolitti invece non aveva paura di quel salto, e non appena divenne lui il Presidente del Consiglio la riforma elettorale fu subito fatta senza alcun <contrappeso reazwnarioy. Anche agli analfabeti fu esteso il diritto di votare, purché avessero fatto 11 servizio militare o avessero compiuto trent'anni. Di colpo il numero degli elettori salì a otto milioni abbondanti. A suo tempo lo spoglio delle schede non portò quello scompìglio rivoluzionario che era stato temuto da molti — anche se i deputati socialisti salirono da 41 a 79, la maggioranza assoluta restò largamente nelle mani dei liberali democratici: su 508 seggi, ne ebbero 320. Ma il voto alle donnei Lo stesso Giolitti, che finché visse mantenne sempre inalterata la sua fiducia nell'in¬ nata saggezza del popolo, non ne volle mai sapere. Come Crispi, temeva l'influenza dei confessionali. Una volta al deputato e scrittore repubblicano Roberto Mirabelli, che tenne una lunga conclone a Montecitorio per dimostrare che Giolitti a parole si dichiarava un democratico ma poi si rivelava un nero reazionario ostacolando il voto alle donne, il Presidente del Consiglio rispose con la sua famosa brevità epigrammatica: € Onorevole Mirabelli, se in questo momento si concedesse il voto alle donne, i deputati clericali arriverebbero dal settore di destra sino al suo settore di sinistra ». L'ultimo passo verso il suffragio universale maschile avvenne dopo la prima guerra mondiale, con Nitti presidente del Consiglio; ebbero diritto al voto tutti indistintamente i cittadini maggiorenni — il corpo elettorale divenne di undici milioni. Ma sempre scarsa restò la affluenza alle urne; nelle elezioni del 1919 quasi la metà degli elettori disertarono i seggi. # Quanto alle donne, conquistarono la cittadinanza politica solo nel 19li6, quando gli italiani furono chiaiimtiiimi iiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii iiiiiii moti a decidere fra monarchia e repubblica. Oggi costituiscono la maggioranza del corpo elettorale; sono 16.795.036 SU 32.233.8X3 elettori. Si prevede in genere che il prossimo 25 maggio voteranno intorno a trenta milioni di elettori. E' davvero un gran viaggio, se ci ricordiamo che meno di un secolo fa, quando gli italiani andarono alle urne per eleggere il loro primo Par? lamento nazionale, i votanti furono appena 239 mila. Se poi i pochi elettori di una volta avessero più o meno giudizio dei molti di ora, lasciamolo discutere fra coloro che si dilettano di studi inattuali. Il punto ci sembra un altro; ed è che, quando il popolo ha saputo conservarsi il diritto a eleggere liberamente i suoi rappresentanti al Parlamento, il Paese, sia pure attraverso errori e delusioni, ha progredito onorevolmente nel consesso delle nazioni civili. Il contrario invece avviene puntualmente, non importa in quale Paese, tutte le volte che i cittadini rinunciano con un senso di uggia ai loro diritti elettorali e consegnano la loro sovranità nelle mani di un tiranno. Nicola Adelfi miiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiimiiii iiiiiimuiiin

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