I parenti terribili di una pastorella provenzale

I parenti terribili di una pastorella provenzale SPLENDIDI PAESAGGI ED EREDITA' INSIDIA TE AL FESTIVAL DI CANNES I parenti terribili di una pastorella provenzale Il film "L'acqua viva,, è tratto da un libro di Jean Giono, e la terra bagnata dalla Durance ne è la protagonista vera - Ci si vedono personaggi sordidi e rapaci come in Maupassant e Zola, ma poi tutto finisce come in una fiaba (Dal nostro inviato speciale) Canne.s, 5 maggio. La caratteristica del festival di Cannes, e anche uno dei motivi della sua fortuna, è lo spirito di conservazione, il gusto della routine. Una dolcezza di vecchia Accademia regola le cose, che salvo discretissimi particolari, sono qui sempre le stesse dell'anno avanti, dalla voce che chiama in sala per le rituali proiezioni alle spiritosaggini dei giornaletti che il festivaliere trova ogni mattina sotto il vassoio della colazione. Si dipanano le solite conferenze stampa (molto interesse ha suscitato quella tenuta da Jan Baalsrud, l'autentico protagonista della strepitosa avventura narrataci ieri dal norvegese Nove vite), le solite visioni private (ha fatto parlare di sé il giallo francese Ascensore per il patibolo del giovane regista Louis Malie), i soliti cocktails e sou- pers. Anche i film, per quel poco che si è visto, sembrano voler avviare questa undicesi-ma edizione verso quel deeo ro medio che fu delle precedenti. Bisogna dire che anche i compilatori del programma ci sanno fare: non una rassegna in salita come l'ultima di Venezia, dove si partì molto dal basso, ma una rassegna ondulativa, collinare, che si può anche permettere il lusso di sparare una Sophia Loren di pomeriggio. Del resto il Palais non è più il Moloch che gli altri anni ci ingoiava con metodo: se novità c'è, è un principio di decongestionamento: meno film, meno sedute, a tutto vantaggio della spiaggia e dei mille ritrovi della Croisette, i cui casinò, a nord e a sud, macinano quest'anno tutti e due. Insomma anche dal ritmo di questa fiera si sente che il cinema è da per tutto debole di polso. Uscita dalla scena la Ltiren, brava e lodatissima interprete del « beccato » Desiderio sotto gli olmi, tanto che L'Espoir di stamani l'ha vaticinata vincitrice del premio per la migliore a.'trice, il Festival si accon_,u di Sylva Koscina, famosa per i ritardi, di Lise Bourdin, Jeanne Moreau, Geneviève Page, della sempre dimessa Betsy Blair, della sopraggiunta Rossana Podestà, di Roger Vadim, ex-marito della Bardot, e della sua nuova moglie, una bellissima svedese, e di altre costellazioni minori: ma soprattutto vive di aspettative, che si chiamano Dany Robin, Michèle Morgan, Martine Carol, Charles Boyer o addirittura Jayne Mansfield, < il ■ corpo atomico polivalente » come la dicono qui, la quale (o il quale) ha promesso di arrivare venerdì; e già si stanno organizzando in suo onore « conferenze al vertice e alla base ». Compare ossessiva la scritta: «Bomba M ». Intanto una nota di colore, da gustarsi soprattutto di giorno, la assicurano quattro « bellezze » negre, vestite all'ultimissima moda, mandateci dalla « Scuola del fascino i (Charm school) di New York. Ma non è ben chiaro se siano delle promosse in viaggio premio, oppure delle bocciate in viaggio di consolazione. Piuttosto scarsi finora i rappresentanti del divismo mascolino; se nasserà alla storia, questo festival ci rimarrà come il festival delle attrici. Ma veniamo ai film. L'unico di oggi era della padrona di casa, la Francia: un film a colori su grande schermo, diretto da Francois Villiers, noto per una ricca produzione di documentari e per essere il fratello minore dell'attore Jean-Pierre Aumont. L'acqua viva, si presenta- con due titoli di merito: un tempo di lavorazione che è quasi un primato nella storia del cinema, tre anni; ed una fonte assai scelta: un libro dello scrittore di origine piemontese, Jean Giono, decoro o]ella letteratura provenzale, che ha fornito la sceneggiatura e i dialoghi. Non poteva risultarne che un film meditato, costoso ed accuratissimo, coralmente interpretato da ottimi caratteristi (Charles Blarette, Andrée Debar, Milly Mathis e altri) e dalla giovane attrice, nuova alle prime parti, Pascale Audret, una soave brunetta dagli occhi tristi. Quegli occhi specchiano gli incanti della terra provenzale bagnata (lai la Durance, che è la più vera protagonista, con i colori ac- cesi, i forti odori e le risentite passioni del Meridione. Dove la terra è bella, più forte è la brama di possedere: la P: jvenza dei poeti e dei pittori è anche quella dei notai e degli avvocati: li Li e cavilli ci fioriscono col timo e la lavanda, con i gelsi e gli olivi. In un'ora e mezzo il film presume di darci queste due facce della natura provenzale: un affresco e un dramma. E se il primo è indiscutibilmente riuscito, cosi da meritare gli applausi che hanno via via sottolineato stupende visioni di pascoli, greggi, pianori, rapine di fiume, villaggi, strade e botteghe; il secondo, imperniato sulle peripezie documentarie della Durance che cambia letto e sulla storia di una eredità insidiata, risulta di una lega naturalistica un po' facile e vecchiotta. Nel villaggio di Ubaye muore un ricco contadino, lasciando unica erede la figlia Ortensia, minorenne. Come accade, questa si ritrova d'un tratto attorniata da parenti: zìi, zie, cugini cui fanno gola i trenta milioni che il vecchio ricevette come indennizzo per la espropriazione delle terre minacciate dalla Durance. Ma dove sia il gruzzolo nessuno sa. I parenti, nominati tutori dell'orfana, si mettono a cercarlo febbrilmente, ed intanto con arti abiette o addirittura immonde, cercano di irretire la fanciulla. Sdegnata, ella si rifugia in montagna presso uno zio Simone pastore, l'unico buono del parentado, il quale le rivela una vita migliore, povera ma disinteressata, vicina alla natura. Snidata dai tutori, ritorna alla casa paterna dove trova il tesoro nascosto nei suoi balocchi di bambina, compera un televisore, i parenti mangiano la foglia e moltiplicano persecuzioni e insidie, pronti persino al delitto. Breve, la povera ragazza si trova cbiusa in una cantina del villaggio che sta per essere sommerso dalle acque sconvolte della Durance. Dopo il succulento verismo, anche audace, con cui ci fu mostrata la rapacità di quei sordidi provinciali (Maupassant, Zola) eccoci entrati nei toni estremi e più sbrigativi dì una fiaba per bambini. La meschina finirà dunque cosi, uccisa da quel fiume che l'ha resa ricca e avrebbe potuto renderla felice? Non scherziamo. L'acqua stessa, q.iasi viva e pensante, col suo impeto fa breccia e Ortensia si salva. E poiché frattanto è diventata maggiorenne, i milioni non -glieli porta via più nessuno. Al film è mancata la personalità di un regista che lo dominasse in tutti gli elementi, facendone un'opera di getto. Ma anche cosi stratificato e in condominio (nei dialoghi e nei caratteri è nettissimo il segno .dello scrittore Giono), 6 piaciuto per la finezza dell'evocazione paesistica, l'uso ecce'iente del cinemascope e del colore, l'arioso principio e le azzeccate visioni documentarie, fra le quali azzeccatissi ma quella della demolizione del villaggio per dar luogo al nuovo corso del fiume, che conclude lo spettacolo e basterebbe a giustificarne la lunga paziento elaborazione. Pubblico folto, elegante e contentissimo. Leo Pestelli Pascale Audret, «una soave brunetta dagli occhi tristi», In «Acqua viva» (Tel.)

Luoghi citati: Cannes, Francia, New York, Ubaye, Venezia