Rabelais ieri e oggi

Rabelais ieri e oggi Rabelais ieri e oggi Montpellier, aprile. Da qualche decennio ha fatto la sua apparizione in Europa una scrittura tutta deformata, gremita di vocaboli ora illustri ora plebei, locuzioni furbesche e dialettali, neologismi, sciarade sintattiche, il tutto in un'andatura stilistica 'di apparenza febbrile, quasi delirante, e invece calcolatissima, calibrata e dosata con estrema sapienza filologica. E' questa, una delle molte maniere dello scriver moderno; e si è ormai convenuto di trovarle un patrono, se non proprio un inventore, in Francois Rabelais. A nostro parere, si tratta di una derivazione alquanto illusoria. Tra Rabelais e i suoi emuli attuali c'è il salto che si nota sempre tra lo spontaneo e il forzato, tra la risata aperta, clamorosa, irrefrenabile, e il sogghigno, l'acredine beffarda, il vendicativo furore moralistico. La follia verbale di Rabelais era un giuoco forse troppo violento, talvolta indisponente per il suo ripetersi all'infinito; mentre la follia verbale di certi nostri contemporanei proviene da una amarezza cocente, non priva di grandiosità ma tutta riversata sulla pagina in un lavoro esasperato di pazienza e di volontà. Rabelais, come il suo maestro Teofilo Folengo, inventa personaggi esorbitanti, giganteschi o grotteschi, che suscitano l'allegria anche e soprattutto nel popolo; i deformatori odierni scelgono i loro modelli fra la gente più comune, più trita, caricandoli di significati troppo gravi per le loro misere spalle, e così rendendoli estranei alla comprensione dei non iniziati. Ma non daremo la colpa agli scrittori di questa involuzione. I tempi non comportano più il divertimento allo stato grezzo, l'ingenua stravaganza, la bravata innocente. Un « vero » Rabelais sarebbe oggi il più astratto e insincero degli artisti, e la rappresentazione emblematica del gaudente, l'esaltazione dell'atto gratuito, la forzatura fisica portata all'inverosimile, si ridurrebbero a un inutile esercizio letterario o tutt'al più a una sopravvivenza provinciale. Non che il mondo sia rinsavito, anzi, appare più che mai dominato dalle smanie del piacere; ma sono smanie, appunto, non sfoghi, non esplosioni repentine e subito sedate. Gargantua e Pantagrucl erano peccatori del tutto privi del complesso di colpa, erano forze terrestri che dovevano espandersi in una naturale direzione. La gente d'oggi è troppo controllata dall'interno e dall'esterno per non sentirsi esposta a una perpetua condanna, e si muove fra divieti cento, mille volte più numerosi di quelli che aduggiavano l'esistenza di un uomo del Cinquecento. Fay ce que vouldras, « Fa quel che vuoi»: la morale sfacciatamente sublime dell'Abbazia di Thélème, fondata da Gargantua, è la meno attuale di tutte le morali possibili. Nella vita dell'individuo, ancor più che nella vita dei popoli, oggi domina l'interdizione. Noi siamo chiusi tra il filo spinato degli imperativi sociali, e i guardiani sono, oltre al sacerdote e al legislatore, il medico, l'insegnante, l'urbanista, cento altre persone che ci sorvegliano, ci spiano, ci impediscono con la forza, con il dileggio, con la denuncia, di trasgredire alla più piccola norma o alla più banale convenzione. Ci sentiamo, nell'esistenza privata, come nelle strade tormentose delle nostre città: dopo il sollievo di un semaforo verde, subito il semaforo rosso, dopo una breve corsa, subito il senso vietato, dopo due passi sul marciapiedi, subito un sottopassaggio. Nessuno alzi la voce, nessuno canti o declami; e perfino il silenzio ci è proibito, quando il più elegante ma più inflessibile dei divieti, la buona educazione, ci imponga di dire qualsiasi sciocchezza, qualsiasi bugia, pur di tener desta la più futile e superflua conversazione. S'intende come tutto ciò susciti una spaventosa noia intcriore, un rovello continuo dei sensi depressi e dell'immaginazione mortificata; e cosi si possono spiegare le fulminee, feroci o assurde rivolte delle quali sono piene le nostre cronache. (.ili scrittori d'oggi, che si ritengono derivati da Rabelais, non jjosscini) dunque far alf-,0 che applicare una lezione stilistica di carattere sovvertitore a una realtà che non comporta la minima infrazione alle leggi. E se alcuni, anche in Italia, raggiungono risultati stupefacenti, i loro libri si rivelano profondamente tristi, disperanti, di un lirismo tanto più doloroso quanto più assume le parvenze di una sfrenata comicità. Rabelais, oltre tutto, era invece un grande ottimista e un uomo accorto. Nell'università di I MgsoledtosaacfocutonrreillimNbagactddsodtaAlahnncbmrrplsldcpvnrgtgsbsoèssmlttntsEl . l , a s l o n , o a e o I Montpellier, dopo esser stato fra gli studenti più bunoni e chiassosi, insegnò medicina, o meglio lesse e commentò gli aforismi di Ippocrate. Ci hanno mostrato con orgoglio la sua toga rossa; e ci parve che, dopo aver abbandonato la tonaca di francescano e quella di domenicano, fosse quello l'abito che più gli convenisse: per la sua dignità di umanista erudito e per quel tanto di mefistofelico che riversò nella sua opera letteraria. La sua regola di vita si potrebbe del resto riassumere'in quella di uno ilei suoi personaggi del « Ticrs livre », Rondibilis: « Dalla gente malvagia non prendo mai nulla. Nulla rifiuto dagli uomini.dabbene ». Si sapeva adattare agli avvenimenti, insomma, salvaguardando la propria onestà ma anche evitando le difficili rinunce. Non aveva l'animo del martire; e quando venne accusato di eresia, si dichiarò pronto a difendersi, « fino al rogo escluso ». Qui, in queste province della Francia meridionale, si sentiva particolarmente a proprio agio; a Montpellier, come ad Arlcs, a Nimcs o a Tarascona, la gente è bonaria, ama la vita, ha il gusto della Maglie, dell'innocua fanfaronata, tiene lontana la tristezza come la peste, e con un motto di spirito o una battuta bislacca riesce a disarmare anche il più austero moralista. Così Rabelais doveva verificare sul vivo, riducendo le proporzioni alla misura normale, la verità dei suoi personaggi; e si sentiva sorretto dall'i mbicnte: l'amenità dei paesi, il bel colore del ciclo, l'esempio drlh cicale che cantano la loro beata imprevidenza csti<a, c quella favolosità che iffascint il popolo nelle immensi, felici calme meridiane. Cosi ci appare Rabelais: ingegno letterario grandissimo, natura calda, lontana da ogni rigorismo, accomodante e nello stesso tempo umanamente proba. Non bisogna cercare in lui significati misteriosi, intenzioni o decisioni rivoluzionarie. Non è lui il sommo scrittore che apre spiragli su un mondo nuovo, che scopre nuovi paesaggi dell'ani ma o tramanda ai posteri parole inaudite. Ride di tutto e di tutti, mette alla berlina i pedanti, gli ipocriti, gli sciocchi, ma nulla gli dispiace quanto la contrizione, nulla è più lontano dal suo spinto quanto la condanna. Era il poeta dell'esuberanza, della piena disponibilità di se stes¬ so; e davvero non si potrebbe far di lui il capostipite dei moderni realisti satirici. Oggi Gargantua, Pantagruel e Panurge verrebbero subito gettati in prigione come perturbatori dell'ordine pubblico, e non si troverebbe avvocato capace di salvarli : il loro delitto, la libera affermazione dell'individualità, è di quelli che non si perdonano. Il motto di, Thclcmc non sarà mai più ripetuto; perche sempre più noi saremo costretti, in un mondo votato interamente alla coesistenza e alla coartazione, a fare non quello che vogliamo ma quello che gli altri, armi e codici alla mano, ci impongono di fare. La nostra satira sarà il canto più dcsol.ito che mai abbia inteso l'umanità. G. B. Angioletti

Luoghi citati: Arlcs, Europa, Francia, Italia