Uno soltanto non ha reazioni emotive il giovanotto che preme il tasto d'avvio di Enrico Emanuelli

Uno soltanto non ha reazioni emotive il giovanotto che preme il tasto d'avvio NERVI TESI AD OGNI LANCIO DI MISSILE Uno soltanto non ha reazioni emotive il giovanotto che preme il tasto d'avvio Lo hanno scelto perché anche se gli si spara all'improvviso un colpo di pistola alle spalle, il ritmo delle sue pulsazioni non cambia - Gli altri vivono in un'atmosfera di attesa angosciosa A tutti gli uffici, le casematte, i depositi, i posti radar o d'osservazione è trasmessa la notizia : "Mancano 240 minuti,, Quando si è giunti a qualche secondo prima, il fiato si fa corto, l'occhio è gelido, il cuore batte -Time (tempo) è la pa rola aspettata: ma il Vanguard non è fulmineo, vibra,si muove adagio - Poi un'esplosione assordante, la fiamma giallo oro e il bolide è in cielo (Dal nostro inviato speciale) Cape Canaveral, aprile. Il paesaggio della base di lancio dei missili sembra, osservato da una certa distanza, casuale. Rassomiglia proprio ad un cantiere sorlo per capriccio, con impalcature aeree, con casupole disadorne, con casematte, magazzini, depositi circondati da un ter¬ reno brullo, da campo d'aviazione di fortuna. <E' un posto — vi dicono — per esperimenti e prove. Come le auto da corsa hanno le piste, i missili hanno questo campo. E' proprio soltanto un campo comodo per provare e riprovare ». Anche se è < soltanto un campo comodo » vedendolo si ridiventa bambini perché alla curiosità si unisce la meraviglia. Ad un certo punto, guardandomi intorno, dico: < Forse entro un anno di qua partirà un uomo per il primo viaggio oltre l'atmosfera*. Mi si risponde: < Forse. Oramai tutto è possibile. Ad ogni modo non dica che qua ci sono ancora i pellicani ed i serpenti. C'erano, ma li abbiamo fatti scappare noi>. Battute come queste, d'apparenza molto innocenti, rivelano subito il distacco tra il profano e l'iniziato: può darsi che il profano si abbandoni alla propria fantasia, ma l'altro non vi partecipa, rimane legato alla sua realtà ed è inutile rincorrersi a vicenda. Da basse e larghe finestre, quasi feritoie, è possibile vedere le torri di lancio, certune rassomigliano ad enormi impalcature d'un cantiere navale, altre a castelli di ferro disegnati da un maniaco. < Laggiù — e vi indicamo un punto sulla destra, vicino al porto di Cape Canaveral — sorgeranno le attrezzature per il lancio del Polaris. Spostate lo sguardo: verso il mare, sulla sinistra, ci sono le torri del Redstone e del Vanguard. Ancora più, a sinistra, lungo la costa, ci sono quelle per Z'Atlas e lì vicino stanno mettendo quelle per il Titan >. Ouardate, ma l'attenzione corre subito verso altre cose ancora più misteriose. In un punto di questa piana brulla, che fu scelta perché solitaria, fuori mano, dove sarebbe stato possibile lavorare in pace, sorgono piccole case, si direbbero di una o due stanze, sormontate da cupole che sembrano panettoni tagliati a metà: « Sono gli impianti di radar» vi dicono. Allora, ricordando d'aver letto che c'è PAzuna System, tutta una serie di apparecchi costati sei miliardi di lire, che sa rivelare il percorso d'un missile, dove, esso esattamente si trova mentre vola e dove cade, vi fate coraggio e tentate di collegare tali vostre conoscenze ce . quel che vedete. Sbagliate. Z/Azuna System è disseminato qua e là, vi vndicat.o altre basse costruzioni dall'aria di officine moderne, d'un piano solo, tarchiate e quasi minacciose. Continuate a guardare*. Vedete che dal terreno sorge una spranga di ferro, inclinata di 45 gradi, attorno alla quale gira una robusta spirale (e pensate ad una scultura astratta) e vi dicono: < Sono antenne speciali per trasmettere i comandi ad un Jupi r in volo ». Vedete enormi serbatoi sferici, proprio grossi palloni grigi posati sul terreno, aguzzando lo sguardo potete leggere scritto a chiari caratteri llquid. oxigen e dite quel '•he avete letto quasi per prevenire le spiegazioni (sapete bene che è il « carburante » dei missili). < Ah sì — vi rispondono —, per noi più brevemente quello è lox. Lo chiamiamo cosi. Ma adesso si adopera anche il borano, per noi e hydyne ». Vi sentite, di colpo, relegati in un angolo a guardare un mondo di cui non sapete nulla. Non vi meravigliate più che ci siano i missili, i satelliti artificiali; ma la meraviglia si rivolge a questi uomini. Quando cercai di conoscere qualche protagonista di vicende eh tanto ci fanno fantasticare, mi dissero che il compito di premere i pulsanti decisivi per dare l'avvìo al Vanguard che il mese scorso mise in orbita il secondo satellite americano era toccato ad un giovanotto di nome Paul KarpiscaU. Un cronista locale aggiunse: < E' mio amico, abita ad Orlando al numero 1016 della ChìcheUter Avenue ». Lo si va a trovare e v'accorgete che ha poco da raccontare: <SÌ — vi dice — sono io che compio l'ultima operazione. Sì, ho venticinque anni, sono nato a New Yorlù. Mi hanno scelto perché non ìio reazioni emotive neanche se mi sparano all'improvviso un colpo di pistola alle spalle. Sì, il ritmo delle mie pulsazioni non cambia*. Gli si dice che deve dunque essere un uomo coi nervi d'acciaio e risponde: < Può darsi. I miei compagni mi hanno soprannominato, storpiando il mio nome, earpet-ta . ». (Vuol dire, credo, chiodo da ppeto, anche se lo schiacci non sente nulla). Ma non bisogna immaginare che tutti gli uomini che lavorano ad un lancio siano costruiti allo stesso modo di questo Paul Karpiscak. Quel che il profano non vedrà ■mai è la tensione di nervi, l'angoscia, l'attesa di coloro che partecipano ad un lancio. So»"- centottanta tra fisici, chimici, matematici, ingegneri, tecnici alle prese con fotocellule, con apparecchi elettronici, con periscopi, con televisori, con macchine cinematografiche, con infiniti istrumenti di controllo, manometri con lancette che si spostano tanto impercettibilmente da essere osservate con le lenti, segnali luminosi che parlano attraverso i colori, strisce di carta su cui macchine complicate scrivono geroglifici. E tutti costoro sono disseminati sul campo, lontani ed invisibili l'uno all'altro, rinchiusi negli uffici del comando, nelle casematte, nelle stazioni radar, nei posti d'osservazione e collegati da telefoni, da altoparlanti che mormorano comandi in un gergo che nessuno può capire se non vi è iniziato. Qualcuno, travolto da una vena di poesia, ha detto che tutto quanto si svolge prima d'un lancio rassomiglia ad un rito misterioso agli occhi del profano. Fatto è che parecchie ore prima di un lancio i partecipanti vivono in un'atmosfera d'attesa angosciosa anche se uno di costoro voleva levarmi dalla testa questa idea dicendomi: « No, c'è soltanto un consumo di caffè superiore al normale ». Restiamo all'immagine del rito: comincia ad essere palese quando gli altoparlanti collocati in tutti gli uffici, le casematte, i depositi, i posti radar o d'osservazione e collegati al «ponte di comando », trasmettono la notizia: « Mancano %lt0 minuti ». Non so, e forse nessun estraneo può sapere, quali operazioni bisogna fare e, soprattutto, coordinare a questo primo annuncio dato quattro ore prima del lancio. Sì sa solamente che gli avvisi si susseguono scanditi sul ritmo delle ore: «Mancano 180 minuti », e poi: « Mancano 120 minuti », infine: « Mancano 60 minuti ». Gli occhi di tutti sono fissi sugli istrumenti, le operazioni eseguite vengono controllate, la loro riuscita viene comunicata al comando. Può capitare che qualche cosa si inceppi o non si svolga nel modo giusto ed allora, se è possibile rimediare, si toma indietro. Magari era già stato annunciato che mancavano 60 minuti, quando la voce impassibile dell'altoparlante sentenzia: < Attenzione, mancano ISO minuti, si riprende il conteggio ». Allora subentra l'orgasmo, qualche volta il dubbio. In queste ore l'attesa il tempo pare che non passi mai, ma ad un tratto prende a correre in modo precipitoso. Il conteggio viene fatto in minuti nell'ultima mezz'ora, ma a « blocchi > di dieci: < Mancano trenta minuti» e poi: «Mancano venti minuti ». Al decimo minuto precedente il lancio la enumerazione si frantuma di più: < Mancano nove minuti », « Mancano otto minuti ». Ed al minuto si sminuzza un'altra volta, adesso sforno ai secondi: « Mancano 59 secondi,' 58 secondi, 57 secondi... ». E' facile immaginare che a qualche missileman il fiato si faccia corto ed il cuore batta, via via che l'altoparlante annuncia l'avvicinarsi dell'ultimo secondo: quattro, tre, due, uno e, finalmente, la parola tanto attesa: time (tempo). E' l'attimo in cui un giovanotto senza reazioni, impassibile preme un bottone, tocca una piccola leva. L'angosciosa attesa di tutti è al massimo, e non succede nulla. Un missile tipo Vanguard, quello che ha « messo in orbita» il secondo satellite americano è un enorme sigaro che alla base ha' un diametro di due metri e mezzo; ed il suo primo stadio, quello che deve dargli l'avvìo, pesa 45 tonnellate. Ma, dicevo, all'annuncio: < Tempo •», non succede nulla. Per qualche frazione di secondo il < sigaro » freme come toccato da uv.a scosso, vibra come se stesse lottando contro una forza invisibile che contrasta il suo impeto (e intanto apparecchi speciali misurano questo suo comportamento); poi sì muove adagio. < Sì — vi sentite dire — è una vera agonia che non finisce mai». Il profano è predisposto ad abbinare l'immagine del razzo ad una partenza fulminea, irresistibile; ma nella realtà è il contrario. Ci vogliono ancora altri tre o quattro secondi, finalmente l'esplosione assordante e la fiammata giallo-oro avvolgono la base di lancio ed accompagnano in ciclo il bolide. Ma nessuno i>uò ancora muoversi, la tensione nervosa non può di colpo trovar requie; anzi. < E' proprio dall'istante in cui si muove — vi raccontano — che tutti hanno i muscoli tesi, lo sguardo freddo, il cuore che martella in gola». Da quell'istante, infatti, tutti attraverso gli istrumenti di controllo partecipano al viaggio del missile e, forse, mai viaggio così brente è stato seguito con tanta scrupolosa attenzione. Ancora una notizia: < Ecco, prima che il nostro secondo satellite raggiungesse la sua orbita trascorsero sei minuti e cinquantasette secondi. Pareva non finissero mai, anche perché le nostre osservazioni si misuravano al decimo di secondo. Si cominciò a respirare ancora in modo normale dopo questi sei minuti e cinquantasctte secondi ». Adesso il mio interlocutore ha il respiro normale, ma ti mio si è un poco accelerato. Cosi risento l'abisso che ci divide: lui è nella realtà d'un certo avvenimento mentre io gli giro intorno come in un sogno faticoso. Per questo lui raccontava in modo pacato ed io, invece, fantasticavo in maniera confusa. Enrico Emanuelli

Persone citate: Cape, Fatto, Paul Karpiscak, Paul Karpiscau, Redstone