Esemplare pazienza e cordialità degli automobilisti americani di Enrico Emanuelli

Esemplare pazienza e cordialità degli automobilisti americani — CIRCOLARE CON GARBO, SENZA ESIBIZIONISMI — Esemplare pazienza e cordialità degli automobilisti americani Frizione e cambio automatici sono colà molto apprezzati; nessuno pensa che questo progresso tolga il gusto del viaggio - E neppure si vuole esprimere nella guida un eccezionale temperamento - Tutti vanno tranquillamente, rispettosi gli uni degli altri; e quasi ovunque, negli Stati Uniti, non si possono superare i 96 km.all'ora ■ Severi i regolamenti, ma affa* bili i rapporti tra polizia e utenti - Nei giorni festivi, quando incolonnati su vane file, ci si ferma, non v'è chi tenti di cacciarsi avanti; il buonumore fa intrecciare liete conversazioni (Dal nostro inviato speciale) Detroit, aprile. Da Detroit, è difficile scrivere di qualche court clic non sia l'automobile, turche la vita della città si identifica con questa industria. Persino le osservazioni oziose ed t ricordi improvvisi ruotano intorno agli automobilisti americani; e dirò subito un episodio che li caratterizza. Un giorno, con un amico al volante, percorrevo una autostrada piena di traffico. Il mio amico rallentava c riprendeva a correre togliendo o schiacciando il piedi, sull'acccleratorc senza mai do¬ i i 1111 ] 1111 < : i i i ] j 1111 l 11 i i i r 11 r 1111 i i ; -, 111 : : i j r i : i i - : : ver cambiare di marcia perché la macchina aveva frizione e cambiti automatici. Gli dissi che pochi automobilisti itali mi si sarebbero divertiti a guidare quella sua specie dì lussuoso Iranvai. spiegandogli che il poter «cambiare*, cioè dopo un rallentamento riprendere la corsa passando dalla quarta ad una fulminea, terza o, magari, ad una rabbiosa seconda, sfruttando il momento giusto, adoperando il motore ad un esatto regimi di giri, è cosa con la quali: molti di noi vogliono esprimere una parte del proprio tempcra- ■ ■, ? i i ■ : ■ ! i : -1111 : '. i : i ; ■ ' : ' ■ ■ ^ : i : : ! : ! ■ i : ,,!■:! mento. Mi guardò pieno di meraviglia ed ebbi proprio la sensazione d'avergli raccontato una faccenda che gli risultava incomprensibile. Infatti, rimasto soprapcnsiero per qualche istante, si decise poi a rispondermi: < Ma guarda quanto marno diversi ». E conoscendo bene gli automobilisti suoi compatrioti aggiunse: < Il nostro sogno è invece quello di andare su una strada con le ruote della macchina guidate da una rotaia, con un piccolo radar che automaticamente fa rallentare se davanti hai un'altra vettura od un qualsiasi ostacolo e tutti noi a bordo pacifici, intenti a chiacchierare -> u leggere. Altro che cambrì, altro che esprimere il proprio temperamento col ambiare». Dovetti accogliere come buona questa sua interpretazione dell'automobilista americano anche perche quel che vedo intorno a me la conferma c la fa verosimile Il guidatore americano pare non abbia nervi e quindi reazioni vivaci od impulsive. Più che educato lo direi paziente. Ed è anche molto rispettoso dei regolamenti, ma per quest'ultima cosa c'è una ragione, che forma il succo dell'episodio che racconterò. Una sera un collega americano di New York mi aveva portalo a Brooklyn ed a notte tarda tornavamo verso Manhattan. Percorrevamo una grande strada quasi deserta e, ad un certo punto, svoltammo a sinistra. Fu questione di attimi: una macchina della polizia stradale ci superò, dal finestrino si sporse una mano per segnalare che dovevamo fermarci ed il mio compagno ubbidì con sollecitudine. Un poliziotto venne verso di noi e. messosi allo sportello, cominciò a parlare. Riferisco il dialogo cercando di cogliere il civismo dei due interlocutori. Poliziotto: c Mi spiace dovervi contestare una infrazione. Avete svoltato a sinistro, due blocchi più indietro, e non è permesso ». Il mio compagno: < Sono spiacente, signore, ma non ho visto il cartello ». Poliziotto: « Volete tornare sui nostri passi per convincervi che c'è ? ». Il mio amico: < Inutile, sono certo di quel che dite ». Poliziotto: « Penso che siate a posto con le carte della macchina. Mi basta sapere come vi chiamate ed il vostro indirizzo ». Il mio compagno: « Giusto, ma preferisco mostrarvi i documenti. Ecco». Il poliziotto guarda quel che gli viene mostrato e intanto leva di tasca un notes. Il mio compagno, senza piatire, e come se soltanto allora si decidesse ad un passo molto grave: « Naturalmente non intendo influire per nulla sulla vostra decisione. Ma vedete? Sono giornalista e qualche volta noi vi aiutiamo. Adesso anche voi mi potreste forse aiutare >. Il poliziotto rimase in dubbio qualche secondo, poi rispose: < Va bene, ma ricordatevi che un altro come me non lo troverete più. Buona notte ». E allungò il braccio nell'interno della macchina per restituire le carte e per una stretta di mano. Il mio compagno riparti tirando un grosso fiato di sollievo. Era felice non perche risparmiava tre o quattro dollari di multa, non perchè evitava di perdere una mattinata in tribunale, dal momento che bisogna andarvi o farsi rappresentare da qualcuno (negli Stati Uniti un poliziotto, anche se addetto al traffico, non può tramutarsi in esattore e le sue ragioni devono essere convalidate da un giudice non supponendo a priori che egli abbia sempre ragione); ma, insomma, il mio amico era felice perché allontanava un maledetto timbro, che sarebbe stato messo sulla sua patente. « E vedi — concluse dopo tutti questi ragionamenti — quando ne hai racimolati dieci, magari in vent' anni di guida, sono guai. Al decimo timbro ti ritirano la patente per due o tre o sei mesi a seconda delle infrazioni che vedono elencate nel tuo curriculum. E' proprio un guaio ». Ho anche detto che il guidatore americano più che educato mi sembra paziente; ma in questo caso, parlando d'automobilisti, la pazienza si confonde con l'educazione. Soltanto tre Stati (Kansas, Missouri, New Messico) permettono velocità di 70 miglia, che sono 112 chilometri all'ora, mentre in tutti gli altri il massimo è tra le 50 o le 60 miglia, cioè tra gli 80 ed i 96 chilometri all'ora. Sono cifre rispettate, direi rispettatissime senza impazienze da parte di nessuno. Quando domandai ad un tizio se non si sarebbe mai lasciato dominare dalla voglia di oltrepassare quei limiti, mi sono sentito rispondere con serietà: « L'avrei soltanto in due casi: se dovessi correre all'ospedale per mio figlio o raggiungere la mia casa che brucia ». E' così e per convincermi mi dico che, forse, la stessa vastità del traffico serve ad educare tutti coloro che stringono un volante con le mani, sia costui giovane o maturo od una vecchia nonna (come guidano serafiche le vecchie dipinte, magari con la sigaretta in bocca). La pazienza dell'automobilista americano l'ho vista in molte occasioni ed una, fra queste, mi ha colpito. Spesso succede che avvicinandoci a New York o ad altre grosse città ci si trovi incanalati in lunghe code, che procedono in fila per quattro perché tante sono le « corsie » seqnate dalle righe bianche sulla "trada. Nessuno cerca di rubarvi il posto e, tanto meno, a nessuno viene in mente, di sfruttare qualche passaggio improvviso o la lentezza di chi precede. In tali occasioni ricordo quel che ho letto su un opuscolo che viene distribuito ai principianti: « Non devi dimenticare che hai una macchina alla tua destra, un'altra alla tua sinistra, una terza che ti precede ed una quarta che iiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiiiiiiiiiiiitiiMMiiiiiiiiiiiiiina ti segue. Devi soprattutto pensare a questi tuoi compagni di viaggio che non conosci ». Ma spesse volte si conoscono. Nelle buone giornate, quando si tengono i finestrini aperti e specie alla fine dei giorni festivi quando il traffico tocca punte impressionanti, trovandovi incolonnati con una macchina a venti centimetri dalla vostra sulla destra ed un'altra sulla sinistra, aspettando che la fila si rimetta in moto, è facile e divertente chiacchierare. L'americano in genere, non so per quale piega della sua natura, per quale meccanismo del suo carattere, è sempre pronto a divertirsi o, per lo meno, a fuggire la noia con qualunque pretesto. Succede che una frase improvvisa apra il discorso col vicino di destra o di sinistra, secondo le posizioni e la comodità. « Va bene questa macchina? », oppure: « Avete premura? », oppure: «Vi resta ancora molta strada da fare? ». Spesso chi è stato in qualche luogo famoso lascia che gli appiccichino sui paraurti una striscia colorata col nome e l'imbonimento della località visitata e allora: «Ne valeva la pena?» oppute: «Vi siete divertiti?». Questa pazienza trova un premio, che voglio ricordare con un altro episodio. Siamo fermi, in colonna, e dobbiamo rispoìidere ad un tale che ci interpella su una certa strada nuova di cui ha sentito dire, gli rispondiamo di non saperne- nulla anche perché si viene freschi dall'Italia. Bene: lui conosce Napoli e Roma per via della guerra, mette le braccia fuori dal finestrino e finge di sparare col fucile. Ha magnifici ricordi di Roma, oh se potesse tornare. La nostra fila si muove, un saluto rapido, si va via. Dopo cinque minuti, alternandosi i movimenti, siamo fermi noi e quel nostro improvvisato compagno sopraggiunge seguendo la sua fila. Ci ritroviamo. Si riprende il discorso, lui è architetto, gli diciamo le nostre professioni. Questa volta è lui che riparte, seguendo la sua colonna che pare abbia un attimo di vantaggio, ma dopo qualche minuto siamo ancora fermi, sfalsati però di una macchina e quel tale ci urla il nome e l'indirizzo di un ristorante italiano a New York, ce lo consiglia (e aveva ragione, l'avessi scoperto un mese prima!). Ci salutiamo scherzosamente come amici sul punto di dividersi dopo una comune scampagnata. Moltiplicate per cento o per mille queste chiacchiere inutili, futili, ma in esse c'è un riflesso dello spirito americano, è visibile una grossa vena del suo carattere. Egli ama queste sorprese delle interruzioni, delle riprese dettate dal caso; egli cerca il piccolo sfogo, il contatto, predilige questi discorsi, che non si sa se scranno lunghi o brevi, interrotti da risate. In simili occasioni riandavo a certe scene nostrane viste dopo la fine d'una partita di calcio od a certi ritorni dalle riunioni di corse sugli ippodromi, sulla pista di Monza, al velodromo quando centinaia di macchine vogliono contemporaneamente raggiungere la città. Pare proprio che tutti debbano correre immusoniti per arrivare un attimo prima e rivedere il figlio all'ospedale o la casa che brucia. Risentivo allora le parole di quel mio primo amico ricordato: « Ma guarda quanto siamo diversi ». E concludevo che gli americani con la pazienza riescono a vincere la noia di certe situazioni mentre noi con l'impazienza diventiamo noiosi. Enrico Emanuelli

Persone citate: Inutile