Dimmi come giochi = e ti dirò chi sei = di Guido Piovene

Dimmi come giochi = e ti dirò chi sei = Dimmi come giochi = e ti dirò chi sei = (Dal nostro inviato speciale) Parigi, 12 aprile. E' stato fatto di recente un elenco di scrittori francesi il cui carattere sarebbe la « antiletteratura » (la definizione si deve, se non mi sbaglio, a Claude Mauriac, tìglio del romanziere) in cui è citato il nome di Roger Caillois. A dire il vero, l'etichetta copre scrittori eterogenei. Roger Caillois, per esempio, è un saggista, un psicologo, un dialettico affascinante. E' uno di quegli uomini di interessi universalistici che, confrontando popoli e costumi diversi nello spazio e nel tempo, lavorano alla revisione delle idee ristrette e parziali sulla civiltà umana: questo specialmente riportando al centro alcuni fatti che i psicologi e i sociologi tradizionali ponevano invece ai margini. Ad un saggio sui sogni segue un . saggio sul gioco, edito da Gallimard col titolo Les jetix et ter hotimics (I giochi e gli uomini), e il sottotitolo le masque et le vertice (La maschera e la vertigine), tentativo di sociologia compiuto esaminando le diverse società sotto questo scorcio speciale, il loro modo di giocare. Accorgersi che il gioco, nelle sue varie forme, è alla radice della vita, cercare di capire in che cosa consista questa tendenza naturale, regolarla e utilizzarla, non è certo uria novità. Lo studio del gioco finora à stato soprattutto un capitolo della pedagogia, che si propone di rivolgerlo a fini' educativi in quanto esso concorre alla formazione dei giovani. Ne consegue che tutto un settore del gioco, quello cosiddetto d'azzardo, essendo anti-educativo e dannoso, è stato scartato a priori come un fatto d'altra natura. Il più famoso precedente allo studio di Caillois è l'Homo ìudens del rettore dell'Università di Leida, Huizinga, che vuole appunto precisare la parte e i limiti del gioco nella cultura. Anche Huizinga però non parla del gioco d'azzardo, probabilmente in quanto non lo ritiene un fatto culturale ma solamente distruttivo. Caillois non pone invece restrizioni al suo esame. Il suo saggio, analitico, documentato su comunità distanti, primitive e civili, è scritto con la logica penetrante ma immaginosa propria dei temperamenti metà critici e metà artistici, è di quelli che non si possono riassumere con brevità. Rifacendolo a nostro modo, si parte da una premessa. Tutti gli uomini giocano, anche gli adulti, in qualche modo; tutte lo società coltivano giochi che le caratterizzano. Dimmi perciò come giochi, e ti dirò chi sci. Un'altra premessa è che il gioco, di qualunque genere sia, tende a mettersi fuori • della vita usuale, accettando convenzioni e regole che valgono soltanto finché si resta nei suoi limiti, uno spazio e un tempo ristretti. Una gara sportiva, una finzione scenica, la seduta al tappeto verde, seguono questa legge; lo sfogo di vitalità di un bambino nel cortile di ricreazione non può continuare a scuola. Tendenzialmente il gioco è dunque sempre una irrealtà, ma una irrealtà assoluta non può mai essere raggiunta. La contaminazione tra il gioco e la vita è continua, e tra il gioco e le attività serie non è possibile tracciare un confine esatto. Come non è possibile tracciare un confine esatto tra le diverse forme che prende il gioco. Caillois stabilisce quattro categorie distinte, contrassegnate da parole prese ciascuna dalla lingua nella quale il concetto gli sembra espresso in maniera più giusta. Per dirla più semplicemente, vi è il gioco di competizione, quello d'azzardo, il gioco consistente nella finzione d'essere un altro, ed una quarta categoria, qui chiamata della vertigine. Consiste nel farsi paura, ncll'esporrc se stessi gratuitamente ad un senso di sgomento, di panico, di squilibrio. La costante dei giochi è che sono tutti spinti dal desiderio di affermarsi, farsi onore, farsi presente, o soltanto sentirsi vivere Questo vale per il bambino. Quando esso si sfrena in movimenti ed urli, gioca a fare dispetti, disturbare, distruggere, mistificare, far uaura, è sempre desiderio di sentirsi vivere o, come dicono i tedeschi, di essere causa Vale per la recitazione scenica, che contiene l'istinto di vivere, oltre alla propria, anche fa- vira altrui. Vale per la categoria di giochi posti nel libro sotto l'etichetta « vertigine ». Si tratti del modesto spavento ricercato sull'ottovolante, o della pazzia di quei giovani americani che giocano scontrandosi a bella posta su automobili in corsa, è desiderio di provare, di mettersi alla prova e, nei casi estremi, di vincere una sfida partendo dalla situazione più sfavorevole. La stessa legge però vale anche per il gioco d'azzardo. L'unico punto in cui l'analisi di Caillois contrasta, a mio pareie, con l'esperienza, è quello in cui vede contrasto netto tra competizione e azzardo. Il giocatore d'azzardo per lui coltiva uno stato di passività e di remissione al destino. La verità è il contrario. 11 gioco di azzardo da un lato e parente della « vertigine », tanto è vero che il gioco d'azzardo non appassiona, e in fondo non è gioco, se non vi si impegna almeno una somma bastante per aver paura di perdere. Il vero giocatore ha bisogno di spaventarsi. Dall'altro lato, anche il gioco di azzardo è una competizione eretica, e il desiderio di affermarsi vi occupa il primo piano. Chi 10 pratica è portato al tappeto verde dalla volontà di affermare la propria natura vincente; si sente in competizione, diretta o indiretta, con gli altri, sul terreno dell'abilità, ma soprattutto su quello della fortuna, che sovrasta l'abilità rendendola secondaria; perciò il gioco d'azzardo è sempre di fondo aggressivo. Il gergo usato dai giocatori ne dà conferma. Stabilito che tutto quello che chiamiamo gioco ha un fondo istintivo comune, i giochi, nella loro diversità, mirano a disciplinarlo, limitandone i danni con le regole, come nei gioco d'azzardo, oppure rivolgendolo a fini utili, belli e nobili. Così nelle gare sportive e nella recitazione teatrale. Si può però fare il cammino inverso, risalendo dai giochi ^all'indole dell'individuo, e ancora meglio delle comunità. Essi mostrano il loro carattere e la loro morale dalla direzione che prende l'istinto di giocare in ciascuna di esse. Onde il tentativo, nel libro, di valutarle da quest'angolo, e" perciò d'introdurre nella sociologia lo studio comparato dei giochi umani. * * AI gioco definito come «ver-' tigine » corrisponde, per Caillois, la società nei suoi gradi più bassi, cioè la società primitiva, degli stregoni, delle magìe, dei terrori; e anche delle maschere e delle finzioni. Come in quasi tutti i moderni, l'interesse di Caillois sembra essere attratto in modo speciale da essa. Questa parte del libro è perciò soprattutto un notevole contributo alla psicologia dei primitivi. La civiltà comincia quando, misteriosamente, per una specie di scatto della mente umana, da questa società immutabile, statica, oppressa dal fatalismo e dal rituale, si passa ad una società in movimento, basata sulla competizione tra gli uomini, con le sue garanzie rappresentate dalle leggi. E' la civiltà in cui viviamo, nella quale i residui del magico primitivo sono squalificati dalla nostra ragione. Nonostante tale squalifica, i ritorni, i rigurgiti della primitiva « vertigine » sono frequenti, specie oggi, e basta leggere i giornali per averne una documentazione paurosa. Ma il senso della nostra civiltà resta un altro, e la nostra ragione ammette quei ritorni solo nella dose omeopatica di giochi privi di pericolo vero. I tipi umani che segnano una ricaduta in uno stato di civiltà primitiva (l'uomo che cerca la «vertigine » nelle droghe o nell'alcool; 11 commediante della vita) sono certo frequenti, ma stimati inferiori e di qualità regressiva. In fondo essi sono residui di un mondo vecchio di millenni, che cerca di tornare a galla nei periodi di crisi. La nostra civiltà è dunque di competizione, come prova l'importanza che vi ha preso lo sport. Ma l'osservazione più nuova fatta da Caillois è il carattere complementare della competizione e dell'azzardo nella civiltà moderna. Lo si vede dalla frequenza di giochi d'interesse pubblico, come il totocalcio, il lotto, e i loro equivalerti in quasi tutti i Paesi del mondo. Coloro che si sentono vinti nella competizione, o perché sfavoriti in partenza, o perché meno dotati, ritraggono una speranza, quasi sempre illusoria, di ristabilire così, almeno ini parte, un equilibrio, e di tro-i vare un'eguaglianza, che la! realtà rifiuta. La competizione; e l'azzardo camminano perciò uniti, ed il secondo la da con- | trappeso alla prima. In America per esempio l'idea di competizione e l'idea di fortuna sonol I cosi strettamente legate, che e! difficile separarle. E' da notare) | tuttavia che il progresso del; mondo moderno tende a con-' trapporre questi elementi chel sembravano inestricabili. La fortuna, l'azzardo, avevano il pri-l mo posto nella società di ieri, in cui il valore dominante era appupto un azzardo, la nascita, con le relazioni e il grado di cultura ch'essa comporta. Il mondo d'oggi, e in maniera speciale le soci?tà di carattere socialista, tendono invece a ridurre l'azzardo al minimo a favore della competizione e a diventare società della competizione pura, tanto è vero che esse condannano il gioco d'azzardo e mettono in alto lo sport. Il progresso del mondo sembra tendere dunque da una società magica e statica ad una società puramente competitiva, il che porta anche a svelenire la competizione e a purgarla dei suoi eccessi, la violenza, ad esempio, e l'avidità di guadagno; e tale | progresso è segnato dai giochi I tenuti in onore. Guido Piovene ' '1111:1111 ; ! i r [ I ■ 115 r I ! 1111 ! 111 r 11 f i r i11 ; ! 1 ; : t t 11 ! ] i 1:11 j i

Luoghi citati: America, Parigi