Il fratello animale

Il fratello animale Il fratello animale Si riaccende spesso la polemica intorno allo scarso affetto degli Italiani per gli animali. E mi piace seguirne le fasi, tra i caldi difensori dell'amore per le bestie (alcuni dei quali si appellano alla gentilezza del costume, altri ad un sentimento universale di amore che, affievolito, compromette pure la pietà verso gli uomini, altri non cercano argomenti, rifacendosi al proprio istinto gentile.), i molti che ammoniscono di non esagerare, e di guardare soprattutto alle miserie umane, i pochi interlocutori, che debbono' avere dietro di loro moltissimi che tacciono ed approvano, clic dichiarano quella pietà un decadentismo da reprimere. M'interessa vedere l'incrociarsi degli argomenti; su questo foglio vi fu chi scrisse che tale scarso amore ben si spiegava ricordando ch'eravamo un popolo eminentemente rurale uso a considerare gli animali come strumento di lavoro e di guadagno, ed un popolo povero, che fino a ieri aveva in prevalenza patito la fame, e ciò spiegava perché non potesse commuoversi troppo alle sofferenze delle bestie; e ci fu- chi subito insorse come se si fosse offesa tutta la classe rurale. E ricordò l'affetto che in molte famiglie di contadini si ha per un animale domestico. E' vero che in Italia si amano gli animali meno che in altri Paesi d'Europa? Si e no. Il rapporto col cane o col gatto di casa credo non sia molto diverso da noi ed altrove. Ma qui si è insensibili ad ogni distruzione di uccelli, e di fronte agli atti non rari di crudeltà verso gli animali l'opinione pubblica non insorge. Colpisce l'indifferenza di persone colte, esteriormente raffinate. Anche le tenuissimc sanzioni Dedali credo che quasi mai vengano applicate. Perche? Indubbiamente ha il suo valore la risposta che diede un lettore su Specchio dei te?npi; chi è ogni giorno alle prese con i bisogni elementari difficilmente, se non ha animo estremamente gentile, penserà ad altri, | meno che mai alle bestie. Il consueto ammonimento di preoccuparsi prima delle miserie umane non ha gran valore; il pochissimo che si dà alle bestie non toglie nulla agli uomini; il vietare il tiro al piccione o la caccia con la rete non implicherebbe alcuna diminuzione nell'aiuto dato ai poveri. Ma è invece ben vero che la miseria indurisce i cuori. Collegllerei poi questa tiepidezza italiana con altre circostanze che ne paiono assai remote. In nessun altro Paese come da noi si difende di meno il paesaggio, si.sacrifica così facilmente il verde, si abbattono mirabili boschetti (ci sono pure altrove i medesimi interessi economici a spingere in tale senso: ma là trovano un contrappcso). E, guardando anche molto lontano, alla differenza tra Grecia e Roma nella loro religiosità, conchiudcrei che non siamo ricchi di quello spirito lirico, che ha manifestazioni infinite, ma che porta l'uomo ad amare dell'amore più disinteressato tutti gli aspetti della natura. Se ben si guarda, i Paesi più zoofili sono anche quelli dove il genio letterario si è vòlto di più alla contemplazione della natura. Credo poi che operi tra noi anche l'idea che l'affetto per gli animali sia una importazione protestantica e straniera. Qualcuno va più in là, .e dice: una derivazione non cristiana. Ricordo che Piero Martinetti vedeva appunto un elemento mancante nella predicazione cristiana, una inferiorità rispetto al buddismo, in quest'assenza di precetti di pietà per .gli animali. Penso avesse torto; non si può considerare la predicazione di Cristo astraendo dall'ambiente storico in cui si svolgeva, da quegli ascoltatori per cui la più parte degli animali erano esseri impuri; ma in germe quel precetto di amore c'è, insito nella generalizzazione del concetto di creatura; e gli spiriti che meglio Hanno assorbito l'essenza del cristianesimo, San Francesco anzitutto, lo hanno ben compreso. Giacché non c'è amore per l'animale dove in esso si scorge soltanto la cosa, sia pure la cosa prediletta; l'amore per l'animale cominci,; allorché si scopre in lui ciò che ha di comune con noi: l'essere una creatura di Dio, per il credente; una intelligenza elementare, un'affettuosità, una grazia, un piccolo sorriso. Comincia quando si scorge in lui un altro essere col quale si vuole comunicare (capirlo ed esserne capiti), con cui s'instaura un rapporto non economico di dare ed avere, con cui s'intrecciano legami che, sia pure da lontano, riecheggiano quelli che abbiamo con gli uomini. Ed è difficile che allora anche in un semplice non sorga il problema del posto dell'animale nella vita universale, di ciò che significhi quella sua intelligenza primordiale, quel vincolo per cui si lega non solo all'uomo che lo nutre, ma al bambino con cui gioca e dal quale tanto sopporca, se non sia l'eco di qualche verità profonda che non riusciamo a comprendere il legame intenso tra certi animali e certi uomini, e non rispecchi qualche sordità che non sappiamo identificare, qualche deficienza del tessuto umano, l'incapacità di molti ad interessarsi all'animale. Comune a parecchi è poi l'idea che dare "all'animale sia togliere al fratello uomo. Ma è pensiero profondamente anticristiano, e contrario ad ogni esperienza, quello di un amore quantità misurabile, al pari di un bene di consumo, sicché se s'impieghi da un lato non si abbia più disponibile da un altro. Là dove carità ed amore hanno proprio leggi antitetiche a quelle che presiedono allr distribuzione dei beni, l'econom. \ che se ne faccia rischia di spegnerli del tutto, l'uso li impingua. E se la letteratura ottocentesca (ricordo Germinai di Zola) raffigurava talora l'anarchico che amava teneramente una bestiola e poi compiva l'attentato dinamitardo che costava la vita a molti innocenti, sono le cronache giudiziarie che c'indicano efferati delinquenti, sadici, che hanno dato le prime prove straziando animali. Guai a chi abbatte le prime barriere della pi-tà, la pietà istintiva verso la cime che soffre. Ma la prima ragione per cui molti Italiani non educano in loro la pietà verso gli animali e restano indifferenti, di fronte a certi strazi, credo sia il gallismo, quella brutta ruggine che corrode tante buone qualità nostre, contro cui il povero e caro Brancati non si stancava di pugnare. Impietosirsi per la sofferenza di un animale non è « virile ». E per molta parte degli Italiani questa è la formula che segna il verdetto definitivo. Se si guarda un po' da vicino il comportamento dei più in questa materia, ci si accorge che è proprio l'ideale della virilità quello che domina. Nessuna vergogna se si piange sulla mor te del proprio cavallo, o del proprio cane da caccia; ci sono esempi illustri di eroi di tutte le epoche, che consentono di considerare il cavallo ed il cane da caccia come i compagni di imprese sulla cui dipartita è lecito versare una lagrima. E' sulla morte del gatto o dell'asino, sulla sofferenza dell'uccello colpito e che non muore, che è disdiccvolc commuoversi. Il gallismo, dovunque e sotto qualsiasi aspetto lo s'incontri, anche nei romanzi a fumetti e con gli croi dal nome americano e dal mitra, ci riporta sempre ad una umanità oltremodo remota, anteriore alle grandi civiltà, tutta istinti elementari. Alla umanità che vive di caccia e di pesca, dove le donne si rapiscono, dove la forza fisica, l'ardimento sciolto da leggi morali, sono le virtù che assicurano la sopravvivenza. Appena- si afferma il gallismo, tutte le conquiste di alcuni millenni di civiltà impallidiscono e devono cedere il posto: cede la legge per cui in ogni altro uomo si deve vedere un fratello, per cui è somma colpa avvilire una dignità umana, considerare una creatura umana strumento e non fine; cedono le leggi morali, l'obbligo di dire la verità, di mantenere le promesse. Come mai potrebbe sopravvivere quell'amore per gli animali, che si inquadra e si giustifica solo neli uomo che medita, che cerca il suo posto nell'ordine universale, che si sente parte di un tutto, che può assegnarsi in questo tutto un posto cospicuo, ma sa che anche l'animalità ne fa parte? Non óeve stupire che popoli che paiono e sono meno gentili, meno pacifici del nostro, con tradizioni guerriere più vive, educhino più di noi i loro figli all'amore verso gli animali. Sono meno corrosi dalla ruggine del gallismo. A. C. Jemolo « ' i [ f ! " [ i ■ • ' f 111 r ì f 11111111 j s i ) 11 r i b t r i f 11111 r 1111 (

Persone citate: A. C. Jemolo, Brancati, Dedali, Piero Martinetti

Luoghi citati: Europa, Grecia, Italia, Roma