Uno Scapigliato in Arcadia

Uno Scapigliato in Arcadia Uno Scapigliato in Arcadia b'Arcadia non fu un'accademia ben riuscita, fu anche una trovata d'ordine sociale, perché sfogò in moda e hobby l'ideale .boschereccio perenne nell'uomo. (Se ne tinge,nelle ultime cime, anche la malinconia di don Chisciotte). Nobili ecclesiastici borghesi si godevano senza spese e senza liti una terra immaginaria, segnata ab antiquo di tutte le illusioni pastorali; e coi nomi falsi e vaghissimi di F.rgasto Ripano Agatopisco liminda Clori e via dicendo, vi smerciavano poetiche ricotte. C'era qualcosa di male, di peggio che nelle nostre colonie di nudisti? Il rifugio, o come si direbbe oggi l'evasione, era gentile, attcstava fiducia nei valori dello spirito. Quest'Arcadia minore e mondana, tura bucolica, scappata di mano ai solenni Crescimbeni e Gravina come il burattino a Geppetto, fu la testa di turco dei critici del Risorgimento, che ci comprendevano tutto il molle ' l'ozioso il retrivo di cui può esser capace il dilettantismo italiano. Si rammenteranno i plastici spregi del Carducci contro « la rogna arcadica », e con quale arte il De Sanctis, su gli zeffìri gli amorini le zampogno i boschetti parrasi.c altrettali scioperataggini rispondenti a un ideale di poesia bell'e fatta, da coltivarsi in società, prepari l'entrata degli « uomini nuovi », Parini e Alfieri. Ma nell'Italia che vede i club intitolati a Claudio Villa e gli « improvvisi » della tv, sarà forse il caso di temperare quell'indignazione di qualche indulgenza, e fra tanti cipigli moralistici richiamare la onesta e chiara faccia del Goldoni sedente fra gli Arcadi di Pisa od esprimente il suo sen «mento con queste civilissime parole: «Sento del buono, sen to del cattivo, e applaudo del pari l'uno e l'altro. » Il buono e il cattivo, l'umano d'Arcadia, si coglie anche nelle impressioni crepuscolari d'un moderno, uscito dalla genera zione che appunto disfece l'Ar cadia, Giovanni Faldella. La ri • valutazione di questo scrittore, avviata dal Croce e proseguita con tanto animo dal Contini, Petrocchi e altri studiosi della « scapigliatura piemontese », è ancora tanto tenera agli occhi del gran pubblico, che ritorni e ristampe non saranno mai troppe. Sia dunque lodato Tedi tore Cappelli, che con eleganza di tipi e d'immagini ha rimesso al mondo, nella sua « Universa le », Roma borghese, raccolta di variazioni faldelliane sulla Roma di subito dopo il '70, corsa dai « buzzurri » piemontesi e ancora tra divertita e incerta della sua fresca dignità di Capitale. (Ma un po' meno lodato, lui e l'ec celiente curatore, Gaetano Ma riani, di non aver compiuto questo delizioso Faldella « romano » con quel piccolo capolavoro assoluto che è il Viaggio a Roma senza vedere il Papa.) Se non il più bello, uno dei più gustosi hozzetti è quello che s'intitola « L'Arcadia », in parte riportato dal Pancrazi nella sua antologia di novelle e racconti ottocenteschi. Rievoca, con gli occhi del Faldella « invitato », due malinconiche tornate della ormai decrepita accademia, vuo tata d'ogni senso, fuor d'oppor tunità, eppure ancora fedele alle vecchie forme, alla sua allegra burocrazia vegetale. La prima, al chiuso del glorioso palazzo Al temps, in via dell'Apollinare, è tutta prelatizia, un trionfo vio laceo; e di propriamente arcadico non dà che un sonetto sopra san Tommaso, recitato e tossito da « un vecchietto pie cino, in coda di rondine ». La seconda è en plein air, nel parimenti glorioso Bosco Parrasio del Gianicolo; e qui Vhumour, il colore tumultuoso del Faldella fanno prove stupende. L'apparato è ancora quello, con tutte le frasche di rito; ma varcato il cancello « sótto il benevolo sguardo dei pizzardoni e dei carabinieri », introdotti dai giovani cerimonieri d'Arcadia che « ricevono volonterosamente, anche senza biglietto, le persone pulite che dicono d'averlo dimenticato a casa », « si trova a sinistra una catasta e una baracca di legname, che fa venire l'idea mercantile d'un luogo acconcio per una conigliera o uno stabilimento di pollicoltura. » Il tono è trovato: incrociano nell'aria Metastasi*) Pio IX Garibaldi, belati e squilli; l'istituzione è vanto fossilizzata e stinta, da sopportare tutto, anche una platea domenicalmente screziata di principi prelati giornalisti dame pedine balie col pupo in braccio, e con le balie la vispa conseguenza dei soldati. E' l'Arcadia « ridotta alle proporzioni d'una modestissima Società filodrammatica », l'eterna arcadia dei quattro versi in famiglia, delle facili contentature fra gente che si vuol bene o ne fa le viste. Ma anche la feroce osservazione del Faldella conclude su una nota di goldoniana clemenza. Gli pare che pur così mal ridotti quegli esercizi letterari giovassero p.ncora alle donne e ai ragazzi, in cultura e sentimento; ai forestieri soltanto.pcalstlosttudlidincmsccpnudbilseEfiStutedsruvailacdainciC per le graziose accoglienze che ci trovavano (Arcadia turistica); alla produttività degli autori stessi, meglio aiutata, si sa, dalle lodi anche bugiarde che dalle stroncature sincere. « Sì! la mutua ammirazione è certo uno dei principali difetti dei sodalizi arcadici; ma forse in linea di pregi umani, anche questo inconveniente è migliore dell'eccesso contrario, è migliore della mutua denigrazione. » Così lo scapigliato Faldella, dopo averle canzonate, indulgeva alle ultime pastcrrlleric. Ma sopra quest'Arcadia degenere e degenerata ce n'è poi un'altra che non ha bisogno di difensori e di cui non si potrebbe sorridere; degna, ammoniva il sempre giusto Carducci, che se ne parli col massimo rispetto. E' quella dal cui molle limo fiorì la nostra grande melica del Settecento, ed è anche e soprattutto la sodissima Arcadia dei teorici riformatori e polemisti, degli storici degli eruditi degli scienziati. Come c'è una rettorica dclPantircttorica, così c'è un'arcadia dell'antiarcadia (muove dal Barctti), il cui principale argomento è che tirando troppo il concetto, sino a comprendervi anche gli Arcadi d'occasione e complimento (come il Goethe, di cui ancora Faldella osserva argutamente che si fece pastore in Roma, forse soltanto per incontrare gli occhi- di qualche catleTcpDptzpccpavlnRdgMcTllsqqlcncvcmp compastora), ci vuol poco a fare arcadico tutto il secolo decimottavo. Ma l'argomento quanto all'Italia è falso, chi legga l'acuto e vigoroso saggio di Giuseppe TofTanin, L'Arcadia, che Zanichelli ha in questi giorni ristampato con l'aggiunta dell'inedito Discorso commemorativo ùi Scipione Maffci, « cavaliere onorato » del Settecento italiano. L'Arcadia del TofTanin, sbalzata in scorci nervosi, non è più soltanto reazione contro il cattivo gusto del Seicento, come c'insegnò la scuola, ma la replica italiana alla Querelle des anciens et des modcrnes, la rivendicazione, contro il razionalismo cartesiano, della tradizione umanistica alla vigilia del Romanticismo. Una stessa volta di panteon gira intorno alle figure del Vico del Muratori del Maffci, dei grandi e piccoli Arcadi, fra i quali quel Girolamo Tagliazucchi, instp'ii-atoie delle lettere italiane in Torino, di cui la toponomastic. torinese non s'è voluta ricjrdarc. In tutti quello spirito di conservazione, quel gusto dell'ordine, quella gelosia disperata della lingua, da cui si riconosce il genio italiano, anche quando innovatore. A codesta magnanima stregua giova credere col nostro studioso che la vecchia Arcadia non sia morta; che viva ancora e sempre « a guardia dell'eterno ». Leo Pestelli

Luoghi citati: Italia, Roma, Torino