Taccuino di fine inverno di Guido Piovene

Taccuino di fine inverno Taccuino di fine inverno (Dal nostro inviato speciale) Parlgrl, 29 marzo. Il tempo oggi va in fretta. Non occorrono più decenni, ma bastano pochi anni, perché alcune idee « attu.iii », un modo di pensare, un costume intellettuale che sembrava contemporaneo, ci appaiano d'improvviso ben lontani alle nostre spalle, con una d?ta ben piecisa. Ira le idee molte d'oggi metterci tutto il cascame esistenzialista, il sartrismò divulgativo, basato su alcuni vocaboli come « disperazione », « angoscia », « assurdo ». Proprio alcuni giorni fa, una persona, e proprio un medico, sosteneva con me una tesi paradossale. Il .prolungarsi della vita umana e della vecchiaia deve essere bilanciato da provvedimenti in favore di chi non desidera' vivere. Le leggi dei nostri Paesi dovranno acr cettare perciò il principio dell'eutanasia, cioè il diritto di ognuno di ottenere a richiesta, in apposite cliniche, una morte indolore. Obiettavo che, secondo me, la morte dolce diventata istituzione pubblica, oltre che ripugnante e vile, non avrebbe successo, perché quasi tutti al mondo sono attaccati alla vita. Ma l'altro non era d'accordo. A suo parere, se il suicidio, con garanzia di non soffrire, diventasse un atto normale, passivo e ammesso dalla legge, un gran numero d'uomini si accorgerebbe d'improvviso di non avere mai desiderato di meglio. «La maggioranza — mi diceva — sa di vivere nell'assurdo. Teme soltanto, questo sì, di soffrire. Se vedessero il modo di uscire in maniera piacevole dall'assurdo dell'esistenza, con il consenso della legge e dell'opinione, quanti direbbero di no? ». Un terzo, che ascoltava, commentò poco dopo : «E' un genere di discorsi che ha un luogo e una data precisi: Parigi, Saint-Gcrmain-des-Prés, 1945-1946». L'esattezza di questa osservazione mi colpì, e soltanto per essa ho riferito quel discorso d'interesse così mediocre. E' vero: si sentiva parlare così a Saint-Gcrmain-des-Prés una dozzina d'anni fa, quando «angoscia » ed « assurdo » erano le parole in voga. Nel 1958, quei discorsi, quel clima, appaiono già retrospettivi, lievemente ridicoli se portati nella nostra vita, e « datano » non meno dell'erotismo del Piacere o di una dama di Boldini: sono insomma già mascherata, con le facce, i vestiti, il contegno che vi corrispondono. Parigi del decennio scorso: già storia. Non è detto però che le idee morte cessino d'essere pericolose. E' anzi il momento in cui gl'imbecilli, i passivi le fanno proprie. Le divulgano gli artisti facili, ritardatari e di riflesso, i più adatti alle folle. Una Sagan, Buffet con la sua «angoscia» illustrata alle anime semplici, sono di questi artisti. Mussolini dannunzieggiava quando il dannunzianesimo era già morto e seppellito. Popoli meno immunizzati raccolgono i cascami europei, li prendono sul serio, e migliaia di succubi, che non hanno mai letto libri di filosofìa, né libri di nessuna specie, li traducono in atti. La fase pericolosa delle idee è quella in cui, sfruttate dai divulgatori, senza essere più vive, hanno uno strascico di esistenza fittizia. * * Non so se il curato di Uruffe, del quale si è parlato recentemente, abbia influito sui giurati che avevano nelle loro mani la vita di Vivier e Sermeus, protagonisti del secondo processo celebre della stagione. Influito nel senso che la pena relativamente mite inflitta al sacerdoteomicida ha generato un rimorso a rovescio, una paura che la sacra istituzione della ghigliottina sia stata compromessa in maniera definitiva, uno zelo di proclamare e provare che non è così. Se questo fosse vero, avremmo una prova di più della qualità capricciosa, aleatoria e parziale della condanna a morte, del contrasto tra il suo carattere irrimediabile, e l'essere legata agli umori, agli stati d'animo, alle irritazioni del pubblico, tanto che spesso uno ci rimette la testa soprattutto perché non l'ha rimessa un altro. Vivier e Sermeus, come ormai tutti sanno, sono 1 due tristi adolescenti, rapinatori dilettanti, che hanno ammazzato una ragazza e un giovane della loro età, nel parco di Saint-Cloud presso Parigi. E' stato l'esempio più tipico, che si ricordi nella cronaca nera europea, di delitto assurdo, compiuto da persone assurde, tanto che, a processo finito, condannati i colpevoli alla ghigliottina, non si riesce a disegnarne nemmeno sommariamente il carattere. Hanno ucciso, sono stati giudicati, probabilmente saliranno il patibolo, le loro facce scialbe sono comparse sui giornali, ma essi rimangono nessuno: un niente, un vuoto con un nome. E, questa volta, quasi tutti sono d'accordo che il loro delitto era tale da non meritare pietà. Eppure proprio i casi estremi, nei quali nulla è a favore del reo, dimostrano che la condanna a morte è insostenibile in se stessa. Proprio in questi casi colpisce la debolezza logica degli argomenti con i quali si tenta di giustificarla e di moralizzarla. Per Vivier e Sermeus, ad esempio, l'argomento più ripetuto è che la loro giovanissima età poteva indurre alla clemenza, se le vittime non fossero state altrettanto giovani. Ma, come stavano le cose, si è argomentato seriamente nel tribunale, la giovinezza delle vittime bilanciava e annullava quella degli assassini, ed era giusto che una pagasse per l'altra. E' vergognoso per la logica umana che simili argomenti siano ancora prodotti in una aula d'assise. Preferirei che si dicesse in maniera esplicita: mandiamo sul patibolo quell'individuo perché è odioso, perché la società, al pari degl'individui, sente l'impulso invincibile della vendetta. Questo sarebbe almeno chiaro, orribile ma umano nel limite degli istinti. Molto più brutti i tentativi di travestire quegli impulsi vendicativi da ragioni morali. • Nel caso di Vivier e Sermeus, vi è poi un fatto che rende incerti. E' l'assoluta nullità dei colpevoli. Non nullità nel senso comune del termine, cioè nel senso di stupidità: la loro intelligenza è anzi normale. Nullità in senso più profondo, come se si fosse di fronte a due esseri privi d'anima. Io non sono stato al processo. Chi vi è andato, non ha trovato le emozioni che si prometteva. Le figure dei due colpevoli del delitto più clamoroso di questi ultimi tempi non sono mai riuscite a prendere una consistenza qualsiasi. Le testimonianze concordano: ci si accorgeva della presenza dei giudici, di quella dell'avvocato avversario, uno dei principi del Foro, dei genitori delle vittime: ma i rei non esistevano. Ci si dimenticava che fossero presenti in aula, le loro teste erano disputate in astratto, si lottava intorno a due ombre. Il contrario di quanto avviene per solito coi delinquenti, che attirano su di sé, per il loro rilievo, una curiosità morbosa. I due non scomparivano solamente perché tacevano, ma in maniera più radicale. Nessuno li sentiva vivere. Si è avuta l'impressione di aver veduto due automi, in maniera distratta, per dimenticarli subito: due esecutori di pensieri concepiti da altri e diffusi nell'aria, in fondo estranei a quei pensieri come la lampadina alla corrente elettrica. E' l'assurdità assoluta. Si manda alla ghigliottina un delitto, ma le persone dei colpevoli restano inafferrabili come la nebbia. * * Una piccola aggiunta a quello che ho scritto altra volta sulla sincerità del mercato artistico. 11 prezzo clamoroso di ccntoquattro milioni di franchi, ccntoventuno con le tasse, pagate per una natura morta di Gauguin in una asta che ho descritto in questo giornale, si rivela chiaramente falso. La straordinaria montatura fu l'effetto di una zuffa familiare tra armatori greci. Uno di essi, Livanos, padre delle belle mogli dei due famosi armatori, Onassis e Niarchos, decise di comprare il quadro; il genero Niarchos, saputolo, volle possederlo lui, e incaricò il grande mercante André Wcil di acquistarlo a qualsiasi prezzo. L'incaricato spinse, di malavoglia, oltre i cento milioni una gara che probabilmente si sarebbe fermata a una cifra molto inferiore; poi abbandonò perché andare oltre gli sembrò una pazzia. Così fu che un outsider, il meno noto Goulandris, pagò la cifra che sappiamo. Corre poi voce che Niarchos si sia adirato fortemente con Wcil perché non ha insistito fino a spuntarla. Se è vero, data la potenza economi¬ ca dei contendenti, non bisogna stupirsi che la natura morta sia stata pagata centoventi milioni, ma che non sia giunta a duecento. Del resto, simili pazzie non sono nuove. L'Angelus del pittore ottocentesco Millct, quadro celebre tra i nostri nonni, fu pagato molto di più, un milione e mezzo di franchi-oro prima del 1914. Non so quanto varrebbe oggi se tornasse all'asta, ma certamente meno di uno degli ultimi pittori venuti in voga. Guido Piovene

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