Leggendo l'Alfieri

Leggendo l'Alfieri =é IL LIBRO DEL GIORNO = Leggendo l'Alfieri Più si frequenta l'Alfieri e più 10 si ama. Ad ogni nuova occas'one di lettura o di spettacolo, affetto e venerazione crescono. Già lo scrivemmo: e le riconferme sono varie, vive e consolanti. Anche i giovani. Quante cose storte si dicono dei giovani, senza conoscerli veramente; ebbene, molti giovani han: no dimostrato in questi ultimi tempi di preferire l'Alfieri a tutti i « cappelli pieni di pioggia » che umiliano e avviliscono l'uomo. Nella tempra eroica e sovranamente romantica dell'Alfieri essi hanno di che pascere il loro desiderio di dignità, di civiltà, di concreta virtù; nell'Alfieri essi trovano i più alti motivi di dolore e di libertà che possano irrobustirci in un'età di incertezze e di terrore, qual è la nostra. Dobbiamo 11 riaccostamento all'Alfieri soprattutto ad alcuni eminenti studiosi, al Centro di Studi Alfieriani di Asti, alle felici rappresentazioni delle tragedie; insomma al coraggio e alla freschezza critica e interpretativa di professori, attori, registi. Tra quegli studiosi, fervidissimo e acuto è Pietro Cazzani. Va curando, ora, una edizione dell'Alfieri nei «Classici Mondadori»: ne è uscito il primo volume, Le Tragedie. Ottimo ci pare, per completezza, documenti, note E soprattutto ci ha interessato la prefazione: non molte pagine, ma nella rapidità dense e chiare. Il Cazzani illustra l'Alfieri con sensibilità moderna, vogliamo dire con peifetta aderenza, e tuttavia senza uscire mai dalla misura classica, semplice é sobria, ohe ai classici si addice. Pene¬ trante, egli espone e chiarisce gli argomenti, di psicologia e d'arte, di moralità e di fantasia, del grande tragico. In tutta l'opera dell'Alfieri è sempre presente e decisiva la sua intima storia umana, sofferta legata sciolta In magnanime angosce, in immense solitudini, in pugnaci sogni di libertà; è una autobiografia in moto, è quel suo stato d'animo incontentabile, sfrenatissimo, incompiuto, quel sentirsi circondato, oscuramente, da forze che stanno oltre' il limite della vita, ed è, In versi furenti, lo sgomento e l'ardire, lo stimolo a spezzare la fatalità e l'inadeguatezza. E' l'estremo, sublime desiderio di morte che suscita e dilata, nelle sue funebri tragedie, la solennità dei personaggi. Se le operette politiche dell'Alfieri sono un'espressione del suo romanticismo, se l'odio politico ai tiranni ne è l'aspetto esteriore e balzante, si può tuttavia essere sicuri che in nessun regime, con nessuna società l'Alfieri si sarebbe conciliato mal. Il suo distacco è morale, la sua insofferenza è psicologica, il « tiranno » non è che una delle tante possibili rappresentazioni del destino, spietato e tremendo, che grava sull'uomo, che soffoca l'uomo, e dal quale l'uomo vuol liberarsi. Perciò l'Alfieri si ispira alla libertà, ma la sua libertà è chimeri, stellare. E dice il Cazzani: «I due motivi, il dolore 'j la libertà, si unificano nello stesso risentimento morale. Così si può dire che sia nate la nuova arte, che seguiterà nel Foscolo, nel Leopardi, nel Manzoni con carat¬ teri diversi, ma dal medesimo principio di penetrazione dolorosa della realtà...». E' un'esatta prospettiva di storia letteraria; riguardato così, dalle cime dei tre poeti ottocenteschi, l'Alfieri ci appare anche più alto, più pieno, più ricco di accenni, profezie, risonanze. E' il Dio del Saul che lampeggia alle soglie del dirompimento romantico, è il grido di Mirra: Abbandonata io son dai Numi. Condizione tanto audace e straziante che ancor ci investe e commuove. Il Dio del Saul non è «un dio specificamente inteso, cristiano ebraico o di altra specie », ma è un atteggiamento paurosamente naturale, un moto impetuoso, esigente dell'anima sotto un imperio presentito e pur sconosciuto; e in quel Sentirsi abbandonati dai Numi è stupendamente suggerito e detto tutto il dolore dei moderni, che ancora cercano, in un cielo spopolato e spietatissimo, un'arcana, perduta presenza. Questo il dolore, e la solitudine, e la libertà dell'Alfieri: se il « tirarono», ossia la vita e l'oscuro destino minacciano e trionfano, rimane ad accoglierci severa, ultima dea, la morte. Non è poi difficile al Cazzani dimostrare in lucidi tratti che a così violenta e funebre visio ne della vita e dell'arte, non potesse corrispondere altro stile che quello originalissimo dell'Alfieri, e il suo tono epico-tragico, e il verso dilaniato e irto, e il dialogo fremente, che soli rispecchiano appieno il pessimismo, e l'entusiasmo poetico, e la luce di quel grande spirito. f. b.

Luoghi citati: Asti