Migliaia di napoletani, autorità e popolo hanno seguito la salma di Pasquariello

Migliaia di napoletani, autorità e popolo hanno seguito la salma di Pasquariello Migliaia di napoletani, autorità e popolo hanno seguito la salma di Pasquariello E' morto di 88 anni, dopo un malinconico tramonto in povertà - Per mezzo secolo era stato il più bravo dei <fini dicitori», un creatore di canzoni splendide per virtù musicali e forza evocativa - Cominciò a lavorare come sarto, a 5 lire per dieci tgilets*: forse nasceva da quegli stenti la sua leggendaria parsimonia (Dal nostro corrispondente) Napoli, 27 gennaio. Gennaro Pasquariello se ne è andato a mezzogiorno quando via dei Mille, l'elegante arteria ove è la casa da cui è partito il triste corteo, ferve di quella vita che l'artista chiamava « il respiro della sua città ». La camera ardente in cui dalla notte di domenica — momento del trapasso — giaceva la salma, era nella sua abituale stanzetta al quarto piano che guarda sulla collina del Vomero. Le pareti intorno non si vedevano più, coperte dai fiori. Una cameretta semplice ove, eccetto i candelabri d'argento con 1 ceri accesi, l'unico ornamento era in alto, sotto una campana di vetro, il busto in bronzo del Santo patrono di Napoli: quel Santo cui Gennaro Pasquariello spesso si rivolgeva con profonda fiducia dicendo l'abituale invocazione « Ci sono pure io >, Al corteo funebre, curato dal Comune per onorare l'artista ohe fu tra i più grandi interpreti della canzone, v'erano con i familiari — fra 1 quali il figlio Mario giunto da Novara — il sindaco on. Nicola Sansanelll, parlamentari, personalità e una fiumana di popolo per cui il nome di Pasquariello rimarrà giustamente come una ■.: stella », che finora nel suo genere non ha avuto rivali Pasquariello la vita del palcoscenico la iniziò prestissimo, lasciando la bottega del sarto in via Costantinopoli ove gli davano cinque lire per ogni dieci gilets. « Fece la provincia» e una volta a Sarno, nel Salernitano, recitando su un tavolato di fortuna posto su botti, nel ringraziare il pubblico e rientrare fra le quinte, cadde in una cisterna. Lo tirarono su con le corde, tutto bagnato. Conobbe agli inizi i piccoli fumosi locali, dal < Carlo Allocco » in via Foria allo < Scotto-Ionno » e al « Monte Maiella » nella galleria Principe di Napoli. Lo lanciarono però Milano e Torino, quando | egli passando con felice iniziativa dal ruolo del dicitore « in lingua » al- genere dialettale, ottenne t più autentici trionfi e conseguenti lauti 1 contratti. La sua specialità non fu di cantare ma di recitare le canzoni, interpretarle con una mimica squisita caratterizzata da una elegante sobrietà. Nella scia del successo si recò anche all'estero. In Francia fu a Parigi e a Marsiglia; in Inghilterra registrò per sei mesi il « tutto esaurito > con « Nini Tirabusciò > al London Hippodrome. Ma in America non volle andar mai per il più invincibile degli argomenti: la paura del mare. < Per mare — ripeteva con il classico motto di Pulcinella — non ci sono taverne >. E a chi insisteva, elencava — con le date degli affondamenti e 1 nomi dei ipiroscafl — i più clamorosi naufragi. Lunga la serie degli aneddoti che provano la sua leggendaria parsimonia. Perciò, accennando ai molti cuori femminili toccati dalla grazia delicata dell'artista, Dino Falconi e Angelo Frattini nella loro < Guida alla rivista » osservarono: < Gli sprechi galanti di don Gennaro si limitarono a imporre le proprie spasimanti agli impresari in qualità di "primi numeri" o tutt'al più, se proprio non sì sentivano di calcare le scene, ad offrir loro una poltrona gratuita alle sue serate d'onore >. Questa sua virtù del raggranellare, e della quale egli stesso celiava un po' per stare allo scherzo e un po' per trarne qualche profitto, lo induceva talvolta a rinunciare agli agi e alle comodità. L'istituzione del « vagone-letto » fu da lui severamente biasimata. E mal un albergo di lusso potè ricevere l'onore di ospitarlo. Sul tema della parsimonia di Pasquariello, è ben noto ad ogni napoletano questo episodio. Quando l'artista era fidanzato con Vincenzina Romeo, Raffaele Viviani prese una cotta per la sorella di Vincenzina. Un giorno, non resistendo oltre, chiese all'amico di presentargliela. Pasquariello l'accontentò, dicendogli di venire sotto il balcone dove abitava la sua promessa. Appena i genitori di lei fossero usciti, egli avrebbe lanciato giù un doppio soldo: era il segnale per la via libera e Viviani poteva salire. Ma, andati via i futuri suoceri di Pasquariello, Viviani attese in¬ vano. Nella spiegazione venutane l'indomani, Pasquariello sostenne d'aver fatto scendere giù la moneta legata ad un filo; Viviani replicò invece di non averne mai udito il tintinnio sul selciato. Nel 1940, Gennaro Pasquariello si ritirò dalle 3cene. In quell'anno aveva, oltre 11 lussuoso appartamento in via dei Mille, titoli per cinque milioni: gli sembrava una somma sufficiente per tirare avanti di rendita. Invece la crescente svalutazione della lira gli dette la più atroce delusione della sua vita Fu così che nel settembre dei 1952 la R.A.I. vivamente sollecitata da lui e dai suoi amici organizzò con cantanti assai noti uno spettacolo «per l'ottantesimo compleanno > dell'artista. Senonché, essendo nato Pasquariello esattamente l'8 settembre del 1869 egli aveva, allora, 83 anni e 4 mesi. Gli intimi naturalmente sapevano la cosa e la credettero una civetteria dell'uomo che voleva sembrare più giovane. Ma Pasquariello, convinto che — se avesse svelato la sua vera età — lo spettacolo non si sarebbe potuto dare, tenne gelosamente nascosto il suo innocente segreto e per l'avvenimento si godette gli auguri che gli piovevano da ogni parte, felice della trovata. Perciò, contrariamente a quanto è stato pubblicato finora nelle biografie ufficiali, la verità è che Pasquariello aveva non 86, ma 88 anni e circa 5 mesi. c. g. quelli di Napoli il desiderato cantore, Puccini s'affrettava a invitarlo a Torre del Lago. Nel salotto, dove erano convenuti musicisti, librettisti, scrittori, amici, direttori d'orchestra, suonava la parte pianistica accompagnante le antiche e le recenti cantilene, e godeva di quel canto, e nei riposi, riproponeva agli astanti l'argomento non banale della nascita di tante gustose, efficaci melodie da indòtti canzonieri; il famoso Salvatore Gambardella, per esempio, al quale il pentaera mma era sempre rimasto un misterioso geroglifico. Ma ii commenti subito seguiva la voglia d'altre esecuzioni, e le canzoni di Costa e di Tosti, li Di Capua, di De Curtis, di Valente, sulle strofe di Salvatore di Giacomo, di Ferdinando Russo, anche di Gabriele d'Annunzio, di Roberto Bracco. « deliziavano » l'uditorio. Ed erano, molte di quelle, canzoni ed opere d'arte, degne d'essere inserite, se i pregiudizi non sopraffacessero il discernimento, ne! repertorio dei concerti di musica da camera. Altra cosa, s'intende, ic «macchiette», tlpeggiamenti talvolta grassocci e soltanto sollazzevoli, che, per esemplare il pur celebre e amenissimo Nicola Maldacea, Pasquariello tentò e non tardò ad abbandonare. Gli aggettivi scelti da Toscanini colgono l'essenza della natura e della capacità dell'interprete. Non soccorso da speciale cultura, neppur provvisto del così detto « foglio di proscioglimento dall'obbligo della istruzione elementare», figliuolo d'un sarto e d'una sarta, mediocre tagliatore di gitets, Pasquariello riuscì ad estendere e ampliare, quanto occorreva, la graziosa vocetta quasi tenorile, e affidò se stesso, '1 piacere di cantare, il bisogno di guadagnare, all'immediatezza della cordialità Grazie a Dio, non divenne un tenore, ma, com'è necessario, e raro, intese che « il senso delle parole», quelle che avevano mosso la commozione del musicista, doveva guidarlo, immedesimandosi nel canto e nella espressione. ' E diventò quel che si diceva un « fine dicitore ». In realtà non si può jistinguere la dizione dal canto, e non si distingueva, in quel suo esprimersi naturale e drammatico. Sembrava non cantare pel pubblico, ma confessare quel che sentiva, cioè che l'autore aveva sentito. L'amore e la gelosia, il languore, il rimpianto, la malinconia e l'ironia, gli accenti, i palpiti, insiti nella sentimentalità, della gente e dell'arte, allora, propriamente meridionale e napoletana, vibravano nelle frasi .legate o scattanti, nei sottili filamenti, nei sospiri, nelle vellutate grazie, nell'impetuosità delle esclamazioni e nell'energia delle calcate cadenze. Quel pallido faccione senza trucco, quegli occhi rotondi quasi bovini, si atteggiavano improvvisamente a riflettere l'intimità degli stati d'animo. Il piegarsi del corpo, i gesti calmi o dolenti, erano l'aspetto non del caffè-concertista in frac, ma dell'innamorato, del desideroso, del tradito, del giocondo, la persona insomma tracciata dal poeta e dal musicista. Vestiva qualche volta come il dichiarato protagonista di un poemetto, e nel Luciano d' 'o Rre, di Ferdinando Russo, mirabilmente incarnava il vecchio pescatore rievocante lo splendore delle feste a Santa Lucia, al tempo del Borbone. Si vuol ricordarlo cosi, e nel pregio maggiore, legando il nome ai migliori e perciò inobbliabili saggi dialettali. Che abbia cantato anche cento e cento cose, tutte recanti l'etichetta di « canzoni » o < canzonette napoletane », interes sa meno. Passato di moda il café-chantant, anche Pasquariello restò inoperoso, e intristito. Anziano, vecchio, acciaccato, claudicante, ricordava l'esordio nei salotti borghesi, nei caffè alla periferia di Napoli o di Milano,, nei teatrini improvvisati, popolari, e. anche gli anni felici, quando il suo « numero » era il più attraente e i! più acclamato nei « teatri di varietà » di tutta Italia, e perfino di Londra. Intristito, anche, per la quasi povertà. Si narra che, spirando, la celebre Elvira Donnarumma, gli raccomandò di < non far morire le canzoni napoletane ». Ma Pasquariello non aveva più voce per cantare, né le belle, né le brutte. A. Della Corte