Benedetta retorica di Paolo Monelli

Benedetta retorica Benedetta retorica Hi fatto una bella frittata quell'Enzo Rapalli, soldato del Genio nella guerra del 'ìs-'iS, vantandosi d'avere scritto la notte del 15 e - 16 ottobre del 1918 (ma la grande offensiva austriaca contro la nostra linea sulla Piave s'iniziò a metà giugno di quell'anno) su un muro diroccato fra Maser e Crocetta di Piave (la scritta si leggeva invece sopra un muro di Fagarc, ossia una trentina di chilometri in linea d'aria più a sud-est) la frase « meglio vivere un giorno da leone che cento anni da pecora ». Una bella frittata, perché sono saltate fuori testimonianze e dichiarazioni non tutte concordanti, ma dalle quali ap pare dimostrato che la scritta non si deve al Rapalli, né a qualsivoglia altro umile soldato combattente sulla riva del fiume, l'estremo baluardo contro un poderoso esercito impaziente di traboccare nella Valle Padana; ma fu opera d'una regolare squadra P., dipendente da un ufficio P., cioè propaganda, d'un corpo d'armata, incaricata d'andare per le retrovie a scrivere motti incitanti i combattenti a non mollare, a resistere, a farsi za necessario uccidere sul posto. Un ufficiale del comando aveva compilato un elenco di « frasi adatte » e la squadra si mise al lavoro, ne scrisse un centinaio, di cui le più limose sono quella di cui s'è vantato autore il Rapalli, e l'altra, scritta con gli identici caratteri, «Tutti eroi! O il Piave, o tutti accoppati ». Debbo dire che la genesi di quei motti come la raccontavano mi aveva sempre persuaso poco. Mi metteva in sospetto il fatto che il motto era collocato molto in alto sul muro, scritto con bei caratteri regolari, co-i una tinta indelebile; tutte cose che richiedono una scala, un pentolino del colore, un pennello, attrezzi e materie prime che un soldato non si porta con sé andando in battaglia. Ora la conferma dei miei sospetti mi fa piacere. Non mi era mai andata giù quella storia d'una estemporanea sfida alla sorte, d'una specie di testamento eroico d'un soldato ignoro. So come sono fatti i soldati di prima linea. Sono tutto quello che si può immaginare, audaci o prudenti, fiduciosi o rassegnati, ubbidienti con alacrità o col mugugno; e nelle giornate di battaglia, o nelle vigilie,, da una benefica ottusità resi indifferenti a tutto ciò che non sia il compito del momento. Non hanno gesti epici; non pensano, e tanto meno non scrivono frasi eroiche. Ricorderete quel disegno di Novello ne « La guerra è bella ma è scomoda »; il fante che pochi attimi dopo correrà all'assalto sotto il bombardamento scrive sulla cartolina in franchigia per la famiglia una sola parola, « il vostro Cesare»; l'alpino di guardia nella trincea nevosa, quando rientrerà nel baracchino seppellito dal gelo, al lume della candela infilata nel fiasco, scriverà alla moglie che sta bene, ha ricevuto il farsetto a maglia e ringrazia, « Sta tranquilla, Tonio»; ma l'ufficiale addetto ad un comando di retrovia manda alla gentile signora dalla « zona di guerra » ampollose frasi, « Sotto un cielo apocalittico siamo stati attori di gesta fantastiche, e la morte ci ha sfiorato le mille e mille volte senza toccarci ». Nostra inguaribile retorica. Non di tutti, si capisce. I cittadini ubbidiscono alla chiamata alle armi, gli dicono che debbono fare la guerra per Trento e Trieste, o per Gibuti e la Tunisia, o per l'Etiopia, per l'Albania, contro nemici antichi e •nuovi, ma in fondo per loro i motivi non contano, giusti od ingiusti che siano, hanno una disciplina, fanno il loro dovere e basta; e finita la guerra, /ittoriosi o vinti, tornano a casa e cercano di dimenticarla e riprendere o iniziare la vita di tutti i giorni; e quelli che son rimasti malandati e mutilati ricominciano un'altra guerra, lunga snervante, con la patria che gli ha promesso tante belle cose quando partirono, ed ora gli fa tante difficoltà per la pensione o le cure o il sussidio, e profitta della svalutazione per pagarli meno, e attenti funzionari scrutano le domande e i documenti alla caccia dell'errore per cui si possa ritardare o non concedere il pagamento. .Vìa gli altri, quelli che la guerra non la fanno o non l'hanno fatta o l'hanno fatta comoda, gli eroi della sesta giornata, eccoli a creare motti lapidari, a organizzare cortei e raduni, a sventolare bandiere, a progettare monumenti, a rinverniciare gonfi aggettivi. (Mandai una volta a un giornale milanese una corrispondenza dalia Marmarica descrivendo la morte di due bravi soldati, il generale Predieri, il capitano Visconti; l'avevo intitolata « Due caduti », il titolo fu gonfiato in redazione con l'aggettivo di prammatica a Due eroici caduti ». Corrispondente di guerra in Etiopia, mi feci raccontare da un soldato le sue esperienze nella battaglia dello Scirè; e mi disse fra l'altro che stando dietro un muretto accanto ad uno del suo paese, vide no tratto che questo era stato colpito; e si chinò su di lui, e il morente mormorò «Saludame la me vecia », e spirò. Misi tutto questo nel mio telegramma; ma il censo»- militare trovò che quelle ultime parole non'erano epiche, e me le sostituì con le seguenti, « Muoio contento per il Re e per il Duce »'). Dobbiamo a questa retorica se il soldato ignoto si chiama <e milite ». Le dobbiamo, a questa retorica, quella scritta di cui ho già parlato, che sta all'inizio del ponte della Priula sulla Piave: «Fiume Piave, sacro alla patria ». Le dobbiamo i cimeli verniciati a nuovo, c lapidi con versetti e ammonimenti e giochi di parole sulle tombe del cimitero di Redipuglia. Tante altre cose dobbiamo a questa retorica che qui non elenco, anche perché tutto quello che ho detto finora vuol essere solo un'introduzione (un'introduzione .che mi ha portato via quasi tutto lo spazio) a un diverso argomento, all'esegesi di quella frase del Icone e della pecora, che naturalmente ha remote origini; un lettore ri ha rivelato che il motto si legge inciso sulla tomba dell'ultimo raja del Mysore, acerrimo nemico degli inglesi, morto nel 1799, Tippu Sahib; altri dicono che è un proverbio arabo, mi pare di ricordarmi d'averlo trovato nelle « Mille e una notte ». E dirò che ogni volta che la sento mi viene voglia di capovolgerla, e dire che è meglio vivere cent'anni da pecora che un giorno da leone. E' antica osservazione che molti detti e proverbi sono più veri quando sono capovolti; gli esempi s'affollano alla memoria, acqua passata macina ancora - non cercate e troverete fai agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te (impresa di molti affaristi del tempo nostro) - meglio una gallina oggi che un uovo domani - chi va piano non va sano (specie se traversa una via cittadina) - chi non si loda, s'imbroda (che se uno non provvede a lodarsi da sé i colleghi invidiosi profittano della sua modestia e si astengono, nonché dal lodarlo, anche dal solo parlarne) - ogni simile odia il suo simile - chi si contenta stenta. Il motto dipinto sul muro della casa rovinata di Fagarè è molto pericoloso, chi lo prenda sul serio e se ne faccia norma di vita. Immaginiamo che cosa succede ad uno che si ficchi in testa di vivere da leone. Il leone, anche questo è vecchio detto, va in giro quaerens quem devoret, cercando chi divorare; ecco il nostro leone guardarsi intorno chi possa azzannare, a chi possa far guerra o concorrenza spietata, nella più mite delle intenzioni traversargli la strada, fargli la vita difficile. Il nostro leone va in automobile? Corre da pazzo, con temeraria incoscienza, pure accettando il rischio di rimetterci la pelle mette prima di tutto a repentaglio 'la pelle di innumerevoli pedoni « guidatori prudenti. E' un uomo d'affari? Si getta in imprese avventurose, fa giochi rischiosi con capitali ed impianti; non si dà premura del benessere di chi lavori per lui, se trionfa diventa padrone e arbitro della città, della provincia, dello Stato stesso, se fallisce mette sul lastrico migliaia di persone. E' un uomo politico? Aspira alla potenza assoluta, alla dittatura, con quei bei risultati che abbiamo veduto e vediamo tuttora, in casa nostra e fuori. Dio ci liberi dai leoni, visto che non ci può ^garantire che muoiano davvero dopo un giorno. Molto meglio essere pecora; un mansueto, educato, tranquillo, disciplinato cittadino, ubbidiente alle leggi, alieno dalle avventure e dalle imprese rischiose, contento di vivere in pace con sé e con gli altri. Paolo Monelli frullini lliiiiiiiliHiiiililiiiillllltlltllflilillMiltil

Persone citate: Duce, Enzo Rapalli, Predieri, Rapalli, Sahib, Scirè, Visconti

Luoghi citati: Albania, Etiopia, Fiume Piave, Gibuti, Maser, Novello, Trento, Trieste, Tunisia