Si inizia stamane il processo in Corte d'Assise Giuseppe Faletto

Si inizia stamane il processo in Corte d'Assise Giuseppe Faletto Sotto l'imputazione di aver ucciso nel 1952 l'ingegner Coderà I Si inizia stamane il processo in Corte d'Assise Giuseppe Faletto Ripetute volte si era vantato con gli amici del delitto di via Villa della Regina • Le confidenze registrate su un magnetofono - Davanti ai carabinieri e ai magistrati ha affermato la sua innocenza - Deve anche rispondere di dieci omicidi compiuti nel '44-'45 - La sentenza di rinvio a giudizio lo qualifica tra i delinquenti più sanguinari - Si prevede che le udienze si protrarranno un mese - Tredici avvocati II processo contro Giuseppe Faletto incomincia questa mattina in Corte di Assise e la sentenza è prevista tra un mese. Sette gli imputati, tredici gli avvocati, un centinaio e più i testimoni. Il dibattimento si presenta difficile perché si dovranno esaminare episodi accaduti parecchi anni addietro e chiunque sa quanto il tempo rende incerta la memoria. Il processo si può dividere in due parti: la prima riguarda il delitto Codecà ed unico imputato è il Faletto, la seconda si riferisce a dieci omicidi, a rapine estorsioni commessi durante il periodo bellico 1944-1945 dal Faletto e da altri cinque complici, Sergio Mazzuccato, Esterino DI Telia, Valentino Chiarbonello (sono in stato di arresto), Mario Rinaldi, Ubaldo Serra.' Un settimo imputato, Giovanni Di Mauro, deve rispondere di calunnia per aver indicato alla magistratura come colpevole dell'omicidio Codecà una persona che sapeva innnocente. La prima parte è preminente nello svolgimento del processo. L'assassinio dell'ing. Eleuterio Codecà, aveva suscitato la più viva impressione in tutta Italia e si può-dire anche un forte turbamento dopo che la sera stessa del delitto, il 16 aprile 1952, il Questore di Torino ebbe a dire che di sicuro un movente politico aveva armato la mano dell'omicida. Tutta la polizia si gettò nelle incasini. Ma per tre anni non si approdò a nulla: non soltanto non si trovava 11 colpevole, ma non si riusciva a dare una plausi bile spiegazione al delitto. Si brancolava nel buio quando nell'estate del '55 giunse inattesa la confessione del Faletto. Precisiamo: egli si di chiaro l'assassino dell'ing. Codeca parlando con due amici — Michele Vinardi ed Angelo Camia - nel corso di tre cene a Drueut, il 28 ed il 30 giugno, ed il 1° luglio 1955, ma davanti al giudice negò la sua responsabilità affermando che quanto aveva detto a Druent erano vanterie, come un cacciatore cerca gloria nel raccontare le sue mirabolanti avventure che gli avrebbero riempito il carniere, così il Faletto godeva al ripetere, in quelle cene, le sue bravate del tempo della guerra di liberazione (ohe gli valsero la condanna a morte dei tribunali partigiani) aggiungendo l'ultima Impresa, in ordine di tempo, l'uccisione del Codecà. Già è sufficiente questo particolare per illustrare la figura dell'imputato. Egli è nato a Busano Canavese nel 1919. Scar. sa la sua istruzione. Fece il militare a Torino nel Genio; dopo l'8 settembre 1943 lavorò per l tedeschi a Pinerolo, poi formò una banda armata nel Canavese col nome di « Briga >. Fuggì da quella zona e sce se verso Rivoli-Pianezza-Alte3sano perché il comandante Burlando aveva dato ordine di fucilarlo. Dopo la guerra subì due processi e fu condannato per rapina. Uscì di carcere nel 1950 e l'anno dopo si sposò andando a vivere con 1 suoceri. Poca la voglia di lavorare: faceva il pescivendolo ma, cosi ebbe a dire, la licenza gli serviva per girare i paesi alla ricerca del suoi amici e combinare qualche colpo banditesco. (Se non si fa finta di avere un lavoro — sono press'a poco le sue parole — la polizia non ci lascia in pace). La sentenza della Sezione istruttoria lo ha posto « tra i peggiori delinquen. ti contro la persona, il patrimonio e la libertà sessuale >. Una delle maggiori difficoltà incontrate dai magistrati fu di far parlare 1 testimoni delle sue ribalderie al tempo di guerra perché, pur a distanza di anni, essi conservavano il terrore delle sue brutalità. Era conosciuto come il boia « ed uccideva quasi sempre in stato di ebrietà ». Ripetiamo le parole della sentenza di rinvio a giudizio: « Soleva attingere al vino ed ai liquori il coraggio delle proprie azioni, agendo in ogni occasione con crudeltà verso le vittime che, secondo le testimonianze, furono più delle diciotto da lui stesso attribuitesi davanti ai carabinieri, e sempre spogliando gli uccisi di quanto avevano sulla persona, dal denaro agli orologi alle scarpe », uno solo dei tanti crimini può servire ad indicare l'animo suo. Catturati due giovani studenti nel pressi del torrente Caaternone a San Gillio egli impose loro di battersi all'ultimo sangue promettendo salva la vita al vincitore. I due si lanciarono l'ur. contro l'altro con la forza della disperazione. Uno cadde morto ed il Faletto si divertì ad uccidere anche l'altro. Vietò ai paesani di rimuovere i cadaveri e su di essi più volte si recò a compiere atti che la decenza ci vieta di meglio descrivere. Il giorno dopo il delitto Codecà il Faletto si trovò con il Vinardi, suo vecchio conoscente, in una osteria di corso Principe Oddone. Sul tavolo c'era spiegato un giornale che riportava in prima pagina la notizia. Il Faletto aperse una borsa di cuoio, fece vedere una rivoltella calibro 9, disse, accennando con I) - apo al giornale: < La vedi? E' ancora calda >. Il Faletto fu fermalo, pare per lettera anonima, insieme con un centinaio di altro persone, brevemente interrogato, lasciato in libertà. Come a';ibì disse che la sera del 16 aprile era rimasto in casa con la moglie. Un brigadiere condusse qualche frettolosa indagine a Pianezza e mdFedmdapndmHaugfesrdfaacubdd<ecUtisdvcccNcicgqadptsSdferi che nella zona parlavano di lui come di uno scioperato, un poco di buono, ma nemico del sangue, incapace di violenze. Trascorsero tre anni e i due amici del Falebto, Vinari e Ca¬ mia, riferirono al capitano Noto dei carabinieri i loro sospetti. Furono organizzate le tre cene e le conversazioni avrebbero dovuto essere riprese con un magnetofono, ma la imperizia di chi l'usava rese imperfetta la audizione. Però furono seguite parola per parola dai carabinieri, appostati in una stanza della casa e collegati con un microfono alla sala delle cene. H Faletto ed i due commensali avrebbero dovuto preparare la uccisione di un dirigente di grande industria. La proposta fatta dal Vinardi al Faletto era stata accettata con entusiasmo. Egli si disse pronto ad agire come aveva fatto con Codecà: «L'ho verniciato... l'ho fatto in pieno... ero appostato a pochi metri ». Ed aggiunse che se lo avessero fermato ad uccisione compiuta, egli avrebbe ripetuto l'alibi che lo tolse da ogni sospetto durante le indagini per il delitto Codecà. <I miei verbali sono così: io ero all'osteria a vendere pesci, che cosa volete che sappia io? Una volta vendo pesci, un'al-J tra mi ubriaco. E poi non mi interesso di quelle cose... Sto sempre sulla negativa». Gli fu chiesto se il delitto Codecà era stato-facile e se aveva avuto dei complici. Rispose che era stato facile e bello e che lo avevano aiutato due complici rimasti però in auto. Non volle fare i loro nomi perché «i tranvai (ossia i delitti: il Faletto usava il piemontese con terminologia presa dal gergo della malavita) si pagano quando si è in troppi ». E si affrettò ad ammonire: «Ricordatevi che qui siamo in tre ed il primo che parla... quello che si tira indietro in un fatto così bisogna sparargli». Non fu possibile combinare una quarta cena perché il Faletto era impaziente di agire e minacciava compiere subito il delitto proposto. A questo punto i carabinieri lo arrestarono. Le indagini non hanno permesso di" identificare i due complici perché egli si limitò a dire che uno era un operaio della Lancia e che l'altro sapeva centrare con una rivoltella ia capocchia di un chiodo a cento passi di distanza. L'episodio del 16 aprile 1952 potrebbe essere così ricostruito: i due complici erano con l'auto a soiiiiiiitiiiifii|iiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiitii piazza Motta, il Faletto nascosto dietro la siepe che in quell'epoca correva lungo i marciapiedi di via Villa della Regina. L'ing. Codecà verso le 21 uscì gbtd■iiiiiiimmimimiiiiiiiiiiniiiniiiiiiiiiiMinmi dalla sua abitazione al numero 24 per fare due passi con il cane. Stava avviandosi verso l'auto che aveva ferma dalla parte opposta della strada, allorché il Faletto gli si avvicinò ad un metro e gli sparò. Nascose l'arma dentro una borsa, risalì verso piazza Motta e l'auto lo riportò in città. Subito dopo lo sparo tre persone scorsero una figura, che potrebbe rassomigliare a quella del Faletto, risalire frettolosa verso il piazzale. L'ing. Codecà decedette quasi subito: il proiettile gli aveva perforato il fegato, il cuore, era uscito dal fianco, si era conficcato nella parte interna del braccio seguendo una traiettoria dal basso all'alti, dall'indtetro all'avariti Li ing. Eleuterio Codecà aveva 51 anni. Nel 1926 si era laureato in ingegneria a Grenoble. Assunto dalla Fiat era stato mandato alla filiale di Bucarest in Romania, dove già si trovava suo fratello, vice-direttore della Banca Commerciale Italiana e Romena. Colà sposò nel 1932 una giovane donna oriunda polacca, Elena Piasescki. Nel '35 passò alla Deutsche Fiat di Berlino e rimase nella capitale tedesca sino al 1943, quando rientrò a Torino. Nel difficile periodo dal '43 al '45 fu alla Fiat Miraflori. Dice la sentenza di rinvio a giudizio: «E' provato che a Liberazione non subì accertamenti di natura politica e contro di lui né partiti né organizza zitaall'ipespusenvenbripetitemcusiEvrefedsafetateddpsocaseindismiiiiiiMiMiiiiHimm zionl sindacali o privati presentarono denunce o doglianze di alcun genere ». Minuziosa fu l'inchiesta della magistratura perché attraverso la sua vita sperava di trovar un indizio, una pista qualsiasi che portasse alla soluzione del delitto. Dal '46 al '50 egli appartenne al reparto esperienza autoveicoli, e nel '50 venne destinato alla direzione dello stabilimento Spa. Nella nuova carica dovette fronteggiare scioperi agitazioni a sfondo politico. Erano momenti delicati. I testimoni hanno permesso al magistrato inquirente di poter concludere che la vittima «era un tecnico competente, appassionato del suo lavoro, onesto». Era di abitudini appartato. Viveva con la famiglia. « Neppure la sua vita privata ha offerto elementi ai fini delle in dagint ». Se Giuseppe Faletto è l'assassino, quale il movente? Afferma la sentenza che l'imputato « è un delinquente per tendenza, che non ha bisogno di spinte, all'indole malvagia del quale qualsiasi occasione è pretesto per sfogare la sete di sangue ». « Bisogna togliere ogni tanto qualcuno dalla circolazione — aveva dichiarato a Druent — sono degli assas sinl, del criminali ». Assassini e criminali perché dirigenti di industria. Aveva il bisogno di dare una veste ideale ai suoi istinti sanguinari. Giovanni Trovati Giuseppe Faletto In una foto poco tempo prima dell'arresto mia riferirono al capitano Noto piazza Motta il Faletto nascodleF