Nelle ville famose che crollano visse serena una fastosa società di Marziano Bernardi

Nelle ville famose che crollano visse serena una fastosa società -ss VENEZIA I jRJC TERRAFERMA ==- Nelle ville famose che crollano visse serena una fastosa società Sono scomparsi nei secoli quei costumi, i personaggi e le immagini; a noi tocca ora di salvare il salvabile, l'ultima traccia dei luminosi ricordi, delle mirabili architetture Nessun costume, neppure il più squisito, 11 più incantevole, rinasce nella storia degli uomini; nessuna civiltà, nemmeno la più alta e fulgida, può rifiorire nelle forme ammirate dai posteri. Il cammino del tempo corre su uno sterminato cimitero, dal quale si levano fantasmi a mormorare parole irripetibili. Là è l'estasi contemplativa di Raffaello, qua il furore attivistico di Picasso.' La cavalcatura, pronta alla porta del castello, per il lungo viaggio dell'anziano Signor di Montaigne ancora ci commuove; però sul giornale il nostro occhio cerca la notizia del razzo che andrà nella Luna. Nostalgie, rimpianti, soavi e malinconici riposi del sentimento; ma al lucido esame della ragione il passato, qualunque passato, del singolo o della collettività, è un museo di "durabili immagini perdute, no _i cose incidenti sul presente; tolto, s'intende, lo stimolo del patrimonio intellettuale, l'ammonimento morale dei grandi esempi. Unico ri¬ scatto di tanto naufragio il disinteressato amore, la filiale pietà per la vita defunta dei padri,' degli avi. Sotto simile luce, fredda, spietata, va Vi3to arche il complesso problema del ricupero e della conservazione delle ville venete, cui Giuseppe Mazzotti ha ora dedicato, con questo titolo, uno stupendo volume che l'editore Carlo Bestetti ha coraggiosamente stampato con quasi 600 illustrazioni. Problema che, come si sa, fu agitato con fede e passione fra il '52 ed il '53 da alcuni benemeriti studiosi, il Mazzotti stesso, il Cevese, il Brunelli, il Muraro, il Silvestri ed altri, promuovendo in Italia e all'estero mostre di documenti fotografici della dolorosa decadenza di codesto nostro secolare tesoro, e pubblicando un perfetto * Catalogo > di tutte le ville — circa 1140, se abbiamo contato giusto — di maggiore e minore interesse storico e artistico esistenti nelle province di Venezia, Padova, Vicenza, Verona, Rovigo, Treviso, Bellu- no. Seguirono più tardi, sempre ad opera del Mazzotti, due altri bellissimi libri d'argomento afi'ne: Il paesaggio asolano e le immagini della. Marca trevigiana. Quel sincero « grido di dolore > impressionò profondamente l'opinione pubblica in^rnazionale, proocò articoli, inchieste, sopraluoghi, convegni di cultori d'arte (ricordiamo gli interventi dell'Associazione «Italia Nostra>), interpellanze in Parlamento, disegni di leggi, promesse di decisioni eroiche. Poi pian piano l'improvviso scalpore s'affievolì sotto il pauroso cumulo delle statali < pratiche » più urgenti (c'è sempre qualcosa di più « urgente > della salvezza del patrimonio artistico nazionale, che pur procura all'erario centinaia di miliardi all'anno), sì che l'ingente somma che s'era riconosci" t a indispensabile per arres* f.re la rovina di quei monumenti, sì ridusse a 245 milioni: cifra irrisoria paragonata alla gigantesca impresa e del resto, salvo errore, tuttora sulla carta. La giustificazione è la solita: manca il denaro. Tuttavìa quand'anche il denaro ci fosse, e senz'altro soprintendenti alle Belle Arti, architetti, restauratori, maestranze si ponessero al lavoro alacremente, riavremmo fra cinque o dieci o vent'anni le ville venete descritte da Goethe e dal De Brosses, celebrate da Alvise Cornare e dal Trissino amico del Palladio, dal Bembo e da Veronica Franco, dal Gozzi e dal Monti, dal Pindemonte e dal Foscolo ospiti nel « verde asilo > d'Isabella Teotochl Albrizzi, < la Staèl di Venezia >, al Preganziol? Quelle amabili serene accoglienti ville che, sparse a cento e a cento dalla Brenta (i veneziani adesso scrivono di solito il Brenta) al'Terraglio, dagli Euganei alle pendici asolane, dal Garda ai monti di Tiziano, erano il sospiro atavico della Serenissima all'originaria «terraferma» e insieme la gioia e il cruccio delle dame e delle borghesi del papà della Commedia moderna italiana. Intendiamoci: se domani si gridasse che, questione di settimane o di mesi, il Campanile di Pisa sta davvero per crollare, o 11 San Marco di Venezia per sprofondar nella Laguna, o la cupola di San Pietro per precipitare sul baldacchino del Bernini, tutto il mondo salterebbe in piedi e quei due miliardi e mezzo che pare occorrano per il salvataggio delle ville venete, a prevenire tali disastri si troverebbero, magari in America, immediatamente. Ma si tratterebbe di conservare monumenti vivi malgrado la loro vetustà, vivi perché concreti e visibili e sfruttabili per il nostro esistere culturale ed estetico, simboli sommi, emblemi meravigliosi di civiltà iniiiiiiiiiiininiiHiiiiiiniiniiiiiiiiiiiiiiiiiiniiiii che se, purtroppo, non nutrono più la nostra, ne sono tuttavia l'ornamento splendido, i quarti araldici di nobiltà. Non cuzì, viceversa, le più di mille ville venete, disseminate su tutta una regione, per i due terzi ridotte a case coloniche, magazzini agricoli, stalle, fienili, pollai, ricoveri di senzatetto, scuole rurali, squallidamente crollanti nelle loro linee deliziose tratto dai prototipi del Palladio, del Falconetto, del Sansovino, del Sanmicheli, dello Scamozzi, del Pizzocaro, del Longhena, del Muttonl, del Massari, del Frigimelica, del Preti, del Miazzi, del Pompei, del Cristofoli, del Calderari, del Selva, del Jappelli, dei tanti altri costruttori che il Mazzotti enumera presentando ed illustrando « la vita in villa > dal Petrarca al Byron sulla terra di San Marco, quella che Renzo salutava con sollievo al traghettp dell'Adda (e pensate alla pausa morale, carica di miserie e frodi, di tolleranza e rassegnazione, di quel « Il pescatore non disse nulla >). E dal muri scialbati, dagli Intonachi cadenti, dai soffitti sbrecciati, ancora ammiccano figure di gentiluomini e gentildonne, dipinte a banchetto sotto liete pergole in faccia a pacati luminosi paesi, fantesche e servi che s'affacciano curiosi a finte porte come, per mano del Veronese, a Villa Barbaro di Maser, gruppi di musicanti a concerto come quelli del Pozzoserrato a Treviso, mitologie o scene galanti, buffe, pagliaccesche sul tipo di quelle affrescate dai Tiepolo a Villa Pisani ed alla Valmarana, dal Fasolo, dallo Zelotti, dal Celesti, dal Bellucci, dall'Angeli, dal Crosato, dal Lorenzi, dal Guaranà, dal Visentin!, dal Novelli su cento altre pareti. Mentre le superstiti statue, ch'erano popolo nei parchi ridotti a campi, piangono la scomparsa dei secolari alberi amici al Trissino e al Pindemonte. Ahimè, le ville venete — tolti i casi fortunati che il citato Catalogo segnala « in buono stato >, < in condizioni ot-. tlme > — sono hen morte, perché è morto il costume vene-, ziano della dimora economicamente attiva, o dello svago e del riposo «In terraferma». Nostro inderogabile dovere è salvarne il salvabile, restaurarne il restaurabile; ma con una stretta al cuore abbiam letto sulla rivista Ulisse la proposta di adibirle a seminari, collegi, centri ricreativi,' ospizi, alberghi. Addio «Delieie del fiume Brenta » di Gian Francesco Costa. Il rombo delle auto In Piazzale Roma disperde la tenera apostrofe del Petrarca: t Cara villetta mia », spegne l'arguzia del savio Goldoni sulla bocca della capricciosa Giacinta delle «Smanie per la villeggiatura». Marziano Bernardi iiiiiiiiiiiniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiniMiiiiiitiiuiiiiiiii