Cinema senza di Mario Gromo

Cinema senza DIETRO Iv O SOHERMO Cinema senza Contro ogni conformismo di produzione esistono registi che, in piccoli laboratori, e con" laboriose ricerche, ottengono risultati sorprendenti - Dai pionieri alla «pittura» di Bartosch e ai film astratti di Fischinger - Rispondenze tra segni grafici e suoni - Una tavolozza di spilli Il solito duetto, più o meno contrastato, ma poi concluso dal non meno solito abbraccio Anale; i soliti gangsters, 0 il solito western; un po' di rivista, o un po' di commedia, come si dice, musicale: novantanove centesimi del cinema sono tutti lì. Il mezzo tecnicoespressivo, che ai suoi inizi lasciò intravvedere le possibilità più vaste, quasi impensabili, si è ridotto a quasi sempre ricalcare alcune formulette spettacolari, è costretto e si costringe à sfornare film su film, preso com'è da un c giro > di produzione implacabile. E' il cinema che, un po', divora se stesso. Chi non segue quelle vie fin troppo battute, e si ostina, in qualsiasi modo, ad andare contro corrente, sa di non avere una vita facile, sul suo cammino gli ostacoli si moltipllcano, dai produttori alla censura. Il cinema sta diventando un conglomerato di conformismi; e i più duri sono forse quelli industriali. Ma sono sempre esistiti, e ancore esistono, degli uomini che hanno saputo imporsi non piccole rinunce pur di dire una loro parola. Hanno rinunciato ad attrici e attori, a studi tecnicamente complessi, a molte ingerenze, a grossi guadagni, a non difficili successi. Si sono rifugiati, rintanati nei loro piccoli laboratori, e, credendovi cecamente, si sono dedicati al cosiddetto cinema < d'animazione ». E' uno dei tanti orrendi termini che il gergo cinematografico si è frettolosamente imposto e pesantemente ci impone. Il cinema < d'animazione » è quello che si esprime « animando » elementi di per sé inerti: disegni, silhouettes, fantocci, oggetti. Ha fra 1 suoi antenati i teatrini di ombre cinesi; e quando, ai primi del 'novecento, giunge in Europa un filmetto americano, L'albergo maledetto, dovuto a un certo Stuart Blackton, un ex-disegnatore diventato direttore della < Vitagraph >, 10 stupore si allea allo studio accanito. Erano tempi di pionieri, e ogni nuova trovata, ogni nuovo espediente tecnico, avevano subito indagatori e imitatori. Si scoprì quindi anche il segreto del Blackton: < one turn one picture ». Vale a dire: un giro di manovella, una immagine. Si doveva impressionare un solo fotogramma per volta, variando di volta in volta, di poco, le posizioni del singoli oggetti. (Così, ne L'albergo maledetto, i più diversi arredi potevano intrecciare le loro ingenue sarabande). E' 11 principio che ancora si usa per 11 disegno animato. E garantiva, e garantisce, al regista la massima libertà di espressione, oltre a naturalmente esigerne una pazienza da certosino. Il successo di Disney è noto a tutti, fu clamoroso. E fu anche genuino fino a quando il papà di Topolino non si trasformò in un industriale molto accorto, che cominciò a sfornare i suoi film in serie, privi orrriai della grazia e del mordente che ne avevano fatto la prima fortuna. Ma per un Disney che dovunque riesce a imporsi, altri, più disinteressati di lui, se ne stettero e se ne stanno in una relativa penombra, quando non si tratti addirittura di un'ombra, e sacrificata. Anche ricordando soltanto di sfuggita i < primitivi >, che possono riassumersi in Cohl, i cui pupazzetti metafisici vivevano in sogni di un dinamismo avvincente, e tanto più avvincente quando il loro autore si decise a proiettarli in negativo (non più pochi segni neri sull'intero schermo bianco, ma pochi segni bianchi imperversanti sul buio di una notte fonda); anche trascurando parecchi disegni animati americani, da Pat Sullivan a Max Fleischer (nati per lo liù dalle sequenze di storielle dei cartoons per periodici illustrati, con personaggi giunti anche su nostri giornali, Petronilla, Mio Mao, ecc.); basterà dire che la tendenza più evidente è quella di alleare il disegno animato alle risorse della < comica finale >, con l'aiuto di fogli trasparenti (1914), che fanno finalmente risparmiare la ripetizione di troppi elementi dello stesso disegno, mentre opportuni spostamenti dell'obiettivo permettono carrellate e panoramiche. Una più ristretta ed esigente aristocrazia del cinema « d'animazione » si nutre invece di ricerche, di tentativi. Non mira a un vasto successo, che forse non avrebbe mai; ma persiste, indaga, esplora, tentando le più diverse esperienze, rasentando talvolta una vera e propria alchimia cinematografica Se Lotte Reiniger, prima da sola, poi con la collaborazione di un ar chitetto, Bertold Bartosch, compone le sue piccole sinfonie di silhouettes Ul principe Achmed ne è il saggio più riuscito, quasi indiscutibile), lo stesso Bartosch, proseguendo, giunge a voler esprimere, con l'obiettivo, della pittura più o meno espressionista. E la esprime sovrapponendo a una fonte 1- linosa vetri perlacei, sagome di trasparenze diverse, lastre colorate, in modo da fondere ogni elemento nell'Inquadratura. (A chi, recentemente, gli parlava dal Cine¬ mascope, il Bartosch ebbe a chiedere: <E che cosa è?»). E Fischinger ci dà i primi film « astratti », tenta interpretazioni cromatico-musicali, giunge a c costruire » una musica disegnandone direttamente ì segni sulla colonna sonora, con effetti che vanno al di là delle « rese » degli strumenti tradizionali, e con rispondenze grafiche almeno singolari (una serie di piccoli rombi orizzontali dà un suono di clacksqn, cerchi concentrici danno un suono di campanello, a seconda dell'intensità dei cerchi si ha un suono di svegliarino oppure di soneria telefonica). Alexieff rinuncia addirittura al segno grafico, alle sagome, alle trasparenze; il suo quadro costante è una tavola sulla quale è infissa una miriade di.spilli; a seconda che gli spilli sono più o meno infissi, sul loro rilievo gioca una luce radente, che denuncia la nuova immagine così composta. Anche Alexieff, come Bartosch, lo si potrebbe definire un pittore dello schermo, così come .Fischinger ò stato detto un musicista dell'immagine in movimento. Diversamente pittore è Paul Grimault (Le petit soldat, La bergère et le ramoneur): il suo segno non Ignora un classicismo grafico, lo costringe in una sapientissima illustrazione che il ritmo dei fotogrammi animerà. E passando dal segno alla plastica, il cecoslovacco Jiri Trnka è il più noto, e giustamente, fra gli autori di film a pupazzi animati; il Trnka vi ha sovente portato un rigore di volumi, e di cadenze, e di scorci, da scultore. (Anche il russo Ptouchko ottenne risultati talvolta eccellenti in un suo Gulliver). E in Cina, e in Giappone, altre ricerche si susseguono, ora plastiche, ora grafiche. C'è un risveglio in Germania, in Inghilter-» ra; e l'America sforna puntualmente i nuovi saggi di Walter Lantz (Oswald), di Ub Iwerks (Flip), di Fred Quimby, Joe Barbera e Bill Hanna (Tom e Jerry), e infine di Tex Avery, ili più audace degli americani, di lui è stato detto essere un Disney che ha letto Kafka. E cosi, con una puntata nel Canada (Mac Laren), finisce la diligentissima rassegna che Walter Alberti ha delineato in un suo interessante volume, Cinema d'animazione 1SSS-1956, ed. RAI. E gli italiani? Si sono avuti dei tentativi, i più maturi dei quali furono certo Le avventure di Pinocchio (1940) e La rosa di Bagdad (1949); ma per lo più il disegno animato vive da noi entro contini pratico-pubblicitari, anche se dalle nostre fin troppo decantate virtù artigianali potrebbe avere un suo to¬ no e un suo rilievo. Piuttosto, tutti i saggi che si sono rapidamente ricordati, sono da noi apparsi in minima parte. Altrove hanno avuto le loro accoglienze; da noi sono press'a poco ignorati. E il loro interesse è innegabile. La solita produzione si appiattisce sempre di più, ovunque; e quasi in ogni Paese esistono uomini che da anni seguono una loro strada, con risultati spesso sorprendenti. Ma i nostri noleggiatori li ignorano, fanno i loro affarucci con gli pseudo-documentari di casa. Mario Gromo

Luoghi citati: America, Bagdad, Canada, Cina, Europa, Germania, Giappone