Diagnosi di una rivoluzione di Luigi Salvatorelli

Diagnosi di una rivoluzione Diagnosi di una rivoluzione « La rivoluzione del Quarantotto fu essenzialmente un movimento di opinione pubblica: il più grandioso movimento di opinione pubblica che si sia mai visto nella storia. L'opinione pubblica disarmata, fece piegare la forza, ringuainarc le sciabole, chiudere i soldati in caserma, . anzi armare i ribelli, da parte di tutti i governi ». Questo è scritto nel mio Bilancio del Quarantotto, cioè ncl-j la relazione finale del Convegno Volta organizzato dpl!'Ac^„demia dei Lincei per il centenario della « rivoluzione europea ». Scrivendo quelle parole, io non sapevo di essere stato preceduto in tale diagnosi da uno dei membri esteri più eminenti intervenuti al convegno, .Lewis Namicr, dell'Università di Londra, del quale mi erano noti già allora altri studi, mentre ignoravo il volume The Revolution of the IntfHectuals di due anni innanzi. Questo libro, di mele morìes'a, ma di contenuto assai interessante, è ora pubblicato in traduzione italiana dall'editore Einaudi; come parte prima e principale (169 pagine su 282) del volume La rivoluzione degli intellettuali e -Uri saggi sull'Ottocento europeo (L. 2500). Dice il Namicr all'inizio (p. 18): «Il 1848 fu, anzitutto, la rivoluzione degli intellettuali, la revolution des clercs ». Tutto considerato, non so se, conoscendo codesta formula, io l'avrei adottata tale e quale. Nella sostanza il Namier concorda completamente con me (o io. con lui), perché, là dove io parlo del più grandioso movimento di opinione pubblica, egli constata che il denominatore comune della rivoluzione quarantottesca fu « ideologico, e persino letterario, e vi era nel mondo intellettuale del continente europeo un'unità e coesione fondamentale ». E cita, con approvazione, Lamartine, che definiva il Quarantotto « il prodotto di un'idea morale, della ragione, della logica, del sentimento e del desiderio di un ordine migliore nel governo e nella società ». Ala è quel termine specifico di « intellettuale » che, applicato ai promotori prossimi e lontani della rivoluzione quarantottesca, non mi persuade del tutto. Forse, è questione di sfumatura, fra P« Intcllectual » inglese e l'« Intellettuale » italiano; ma, insomma, quel termine mi sembra accentuare troppo l'elemento letterario e ideologico puro in uomini come Thiers, Odilon Barrot, Lamartine, Ledru-Rollin, Blanc in Francia, Mazzini, Ferrari, Cattaneo, Gioberti, Balbo in Italia (e tralasciamo, per brevità, gli altri paesi). Tutti costoro erano evidentemente uomini di penna, uomini di pensiero: più d'uno, scrittori e studiosi di mestiere. Ma sta il fatto che la loro attività intellettuale fu diretta, nel Quarantotto e negli anni precedenti, prevalentemente all'azione: erano, cioè, prevalentemente dei politici, e perfino agitatóri, cospiratori, organizzatori di rivoluzioni. Possiamo accettare la formula di <t rivoluzione degli intellettuali », completandola: rivoluzione d'intellettuali che si trasformano deliberatamente in politici, uomini di azione, condottieri di popoli. E un tale completamento ci aiuterà ad evitare l'errore di giudicare — e condannare — la rivoluzione del Quarantotto come frutto di astrazioni, di idealismi ignari della realtà e incompatibili con questa. Giudizio e condanna verso cui mi par di riscontrare qualche propensione nello stesso Namicr, quando egli contrappone la rivoluzione francese di febbraio, frutto di esasperazione del popolo e priva di r ipi definiti, al nuovo credo politico delle classi medie, che era sempliccmente costituzionale-libcra le. Contrapposizione in cui c'è qualcosa di contraddittorio con la tesi della <c rivoluzione degli intellettuali », giacché è proprio dal 24 febbraio parigino che partì la scintilla dell'incendio europeo, anche se le cataste di legna per l'incendio avevano avuto lunga e larga accumulazione. Il 24 febbraio parigino, come il 13-14 marzo viennese, come le Cinque giornate di Milano, avvennero (con le conse guenze che sappiamo) come sbocco di tutta l'agitazione pre cedente. Il Namicr sembra giudicare questa « contaminazione » — il termine è mio — di costituzio nalismo liberale e di insurrezionismo popolare come una deficienza fondamentale del Qua rantotto. Sembra, ho detto; perché tale giudizio non è mai espresso (se ho ben visto) formalmente. Esso non sarebbe accettabile: quella combinazione invece, è proprio lei a dare alla rivoluzione del Quarantotto il suo più vero carattere, la sua specifica importanza storica. Sono i popoli (non più soltanto uno di essi, come nella rivolu¬ j| |1 j zione francese) a prendere in mano il loro destino: gli «Intellettuali » hanno interpretato le loro più profonde esigenze. E se por allora il tentativo falli, ciò jnon sig-'ifif-' che esso sia stato | invano. (J icl che vcnr.c dopo fu as^ai divoiso da quel che c'era ai.itu prima. Le splendide realiz|/.,izio'-i della società europea fra 111 1860 e il 1914 prendono la loro mossa dalla rivoluzione del 1848. * * Certamente, non fu cosa trascurabile che il Quarantotto fallisse nel suo programma massimo, conscio in taluni corifei (soprattutto nel Mazzini), inconscio nelle moltitudini: la costituzione di un'Europa delle nazioni libere, associate e paritarie. La causa prima del fallimento si ritrova nello scatenamento dei nazionalismi contrapposti: fenomeno a cui il Namicr ha dedicato la maggiore e più importante parte della sua trattazione. Egli si ferma (ji^'alentcmente sul nazionalismo dei patrioti e intellettuali tedeschi; e lo illustra soprattutto nei loro conflitti con i Polacchi per la Posnania, e anche con i Cèchi per la Boemia (che avrebbe dovuto essere inclusa insieme con l'Austria nell'impero germanico). Di qui il giudizio severissimo del Namicr su quei patrioti tedeschi, battezzati senz'altro come predecessori di Hitler. Codesta qualifica ci sembra eccessiva. Nel nazionalismo tedesco del 1848, per quanto oltranzista, manca il nucleo centrale della aberrazione tlcriana: il razzismo, genitore delle atrocità naziste. Basterebbero, a mostrare la differenza, due fatti. Quei super-patrioti, riconoscendo necessaria una divisione della Posnania secondo i due clementi etnici, riconoscevano che la linea divisoria da loro tracciata non era equa per i Polacchi, anche se arzigogolavano per farla tollerare; e la ricostituzione di una Polonia unitaria era da loro considerata come un debito di onoie. Risulta, del resto, dalla stessa esposizione del Namicr come al nazionalismo te desco ne rispondesse uno polacco, ungherese, cèco. II trapasso dalla nazionalità al nazionalismo fu istantaneo. Del nazionalismo tedesco d'allora nei riguardi dell'Italia — ancor meno ragionevole di quello verso la Polonia — il Namicr, se ho ben visto, non parla affat¬ Hiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii to (ne fa un cenno, invece, nel breve saggio Nazionalità e libeità che segue a quello principac). In generale, questo suo studio sulla rivoluzione del Quarantotto trascura l'Italia quasi completamente. Quando parla dei piani di dissoluzione e ricostituzione dell'impero absburgico, egli tuttavia accenna al fatto che quei piani includevano la possibilità della liberaz' 'ne del Lombardo-Veneto. Si poteva notare esplicitamente a questo punto che il problema della « successione dell'impero absburgico» si pose allora (per la prima volta) per opera congiunta — ma non coordinata, nonostante qualche generoso sforzo italiano — dell'assemblea di Francoforte, e della prima guerra d'indipcndenza italiana contro l'Austria. Luigi Salvatorelli