La fiaccola sotto il moggio dì G. d'Annunzio al Carignano

La fiaccola sotto il moggio dì G. d'Annunzio al Carignano La fiaccola sotto il moggio dì G. d'Annunzio al Carignano La Compagnia De Lullo-FalkGuarnieri-Valli ha dato iersera al Carignano una bella rappresentazione della Fiaccola sotto il moggio di Gabriele d'Annunzio. La Fiaccola, derivata dalla tragedia greca, è in realtà opera commista, variegata, con un che di barocco e di decadente; sul colore paesano, di un falso realismo preziosistico, spiccano caratteri e vicende atroci. Gioito De Lullo, regista, e gli ottimi attori hanno semplificato la tragedia con felice ispirazione e bravura, l'hanno portata ad una chiarezza e perspicuità, ad un essenziale e puro nitore, che ha sorpreso e commosso tutti quanti. Su di uno scenario simbolico e nudo, in un'aura particolarmente ansiosa, vibrante di suoni vaganti, le figure spiccarono nette, statuarie, con una sobrietà di gesto, di atteggiamento che di per sé sola sottolineava il raffinato impegno dello spettacolo. Piano, lieve il discorso; mai forzature di linguaggio, di accento; più che il ritmo delle meravigliose sonorità, de''o stile esterno, e verbale, proprio del D'Annunzio, gli attori seguirono un ritmo interiore di elegia e di dramma. Furono perciò subito palesi il disegno e la musica di questa poesia, di quello che v'è di poetico ancora nella incerta tragedia dannunziana; in quella sostenuta affabilità, nella lucentezza chiarificatrice della dizione sorgevano le immagini, respirava un'arcana tene rezza, il particolare ingioiel |lato, affettuoso o decorativo, prendeva .un terso e più limpido rilievo. E la tela delle malinconie segrete, dell'ansisela diurna e notturna, del disfacimento della grande razza antica dei Sangro, era trssuta su note agili e ferme; sostenute e lunghe, con colcissima eoo. Una rappresentazione dunque che senza puntare sullp. rettorica del « verbo », della parola magica, dell'estetismo, anzi, giocando di sfumature 'e di « ingenuità », rivelò l'intima grazia di un'opera che pur segna cosi pesantemente una data nella nostra letteratura. Vada dunque a questi giovani, volonterosissimi, intelligenti artisti una lode schietta. Con queste prove essi non solo testimoniano una raggiunta maturità, un'eccellenza rara, ma un amore dell'arte che ci consola. Rossella Falk fu Gigliola: personaggio nell'imitar zione dall'antico e nel preziosismo del primo Novecento quanto mai difficile. La Falk ha dato a Gigliola un fiato ampio e sereno, delicato e fremente, tragico e puro, di così genuina adesione e freschezza, da prendersi immediatamente il cuore degli spettatori. La sua persona alta, il pallore, i capelli biondi e sparsi, la nera veste, furono l'immagine piena di candore e dolore, di quello che Gigliola porta con sé. E Romolo Valli era il padre Tibaldo; e ammirevole fu la sua caratterizzazione, di viltà, di vergogna, di umiliazione e patimento. Ottimo Umberto Orsini nello struggimento, nell'aspetto patetico, emaciato, sfatto di Simonetto. E bella di odio e perversità, di furore e prepotenza Elsa Albani ch'era Anglzia Fura. Eccellente dicitrice ci è parsa Italia Marchesini che con il Marchesini e il Nardi e gli altri tutti collaborò efficacemente al successo. Che fu schietto e vibrante; alla fine dello spettacolo attori e regista furono evocati alla ribalta nove o dieci volte fra scroscianti applausi. f. b.