Operazione salvataggio

Operazione salvataggio Operazione salvataggio L'uso delle inchieste improvvisate, delle intervisi1: inattese, si è così diffuso che, si può dire, non passa giorno senza che ci vengano poste le più strane domande, talvolta serie al punto da costringere a degli involontari esami di coscienza, e talaltra futili, o bizzarre, o indiscrete, o fantasiose. E l'arte degli investigatori, la loro astuzia pertinace, è tale clic non sempre si riesce a evitare di rispondere. L'altro giorno, è venuto da me un inviato dalla radio svizzera, con una assistente tecnica e uno splendido apparecchio di registrazione. Mi pregava di rispondere a un quesito, che sarebbe stato posto r mtemporaneamentc, per fame una unica emissione di fine d'anno, a una ventina di persone di vari Paesi: tra cui, in Inghilterra a Bertrand Russell, in America a Erskinc Caldwell e a Eiscnhowcr, in Francia a Joliot Curie, a Francis Pcrrin, a Jean Rostand, a Jean Wahl, a Camus, in Russia a Kruscev, e in Italia a Bovet e a me. « Abbiamo supposto — egli disse — clic, per una guerra o una catastrofe atomi ca, l'umanità venga completamente distrutta: ma che si riesca, all'ultimo momento, a far partire un razzo, nel quale coloro che noi interroghiamo siano rinchiusi. Questo razzo percorrerebbe la sua 'orbita nello spazio per tutto il tempo necessario alla scomparsa dei miasmi e dei raggi mortali delle esplosioni : e allora ritornerebbe sulla terra deserta. In questa operation survìe, che cosa porterebbe ciascuno di vqi con sé dei beni e delle conquiste del mondo, perche la civiltà potesse ricominciare? ». Questa, all'incirca, era la questione a cui avrei dovuto rispondere: indotto a farlo, più che altro, dalla curiosità di sapere che cosa avrebbero risposto gli altri, i membri di quel singolare, sapiente ed eteroclito equipaggio con i quali mi sarci trovato, Dio sa perche, a fare quello straordinario volo. L'ipotesi sarebbe certamente sembrata, fino a poco tempo fa, nulla più che un gioco di società, a cui non si sarebbe potuto rispondere altro che per gioco. Un cataclisma di questo genere, la fine della vita sulla terra, è già avvenuto, almeno una volta, e si è chiamato, allora, il diluvio universale: la «operazione di salvataggio », l'Arca di Noè. Ma fino ad ora eravamo ben certi che non si sarebbe mai ripetuto un fatto simile: l'arcobaleno messo dal Signore, secondo il racconto biblico, nella nuvola, ce ne garantiva, con solenne promessa, per tutta l'eternità. Le cose sono andate, ahimè, in modo che forse qualcuno potrebbe essersi stancato e pentito della sua promessa: sicché quello che non era che un gioco ozioso di fantasia è diventato una possibilità, tanto reale che vi si può rispondere seriamente. « Che cosa porteremo nella nuova arca? » dissi al mio intervistatore, mentre il nastro girava. « E come potremo ricominciare, dopo il nuovo diluvio? E anzitutto, chi saremo noi, che dovremo accingerci a questo compito? Secondo la vostra ipotesi, non sarà questa volta un re-pastore, con la sua famiglia, la sua tribù e i suoi servi: ma un piccolo gruppo di scienziati, di letterati, di politici, di uomini di cultura moderna, chiusi in un razzo. Immagino che ciascuno di loro vorrà portare con sé le cose che gli sono care e che egli ritiene necessarie sopra tutte: i documenti della scienza, della tecnica, della cultura, dell'arre, del pensiero moderno: in modo che, per quanto possibile, nulla si perda di ciò che si usa chiamare le conquiste della ragione. E taluno forse potrebbe pensare che, ricchi di questo carico di biblioteche, musei, laboratori, strumenti,, calcoli, formule, piani e macchine, dove nulla di importante sarebbe dimenticato, una volta tornati sulla terra desolata, si potrebbe, a poco a poco, ricominciare all'incirca di là dove si era terminato. Sarebbe un'assurda e astratta visione. « I sapienti del missile non sarebbero più gli stessi uomini che erano partiti (sarebbero diversi, anche senza accorgersene, nella nuova solitudine): e il carico di pensiero e di tecnica con cui avrebbero stipato e appesantito il loro razzo, non potrebbe servire come materiale di costruzione, ma sarebbe, tutt'al più, un utilissimo documento, leggibile dopo qualche centinaio o migliaio di anni, e prezioso a quegli uomini futuri non per costruire il presente, ma per ricostruire il passato (cosa assolutamente necessaria perché essi possano avere una dimensione reale). Poiché tutte quelle conoscenze, della tecnica, della politica, della religione, e perfino le opere dell'arte e della poesia, non possono essere pensate e. realizzate fuori della storia; e le meraviglie del nostro secolo perderebbero ogni senso, anche per i sopravvissuti, quando il secolo fosse d'un tratto distrutto. Tutta la nostra civiltà sarebbe irrealizzabile senza le sue molteplicità e le sue moltitudini, senza le sue lotte politiche e sociali e nazionali, senza le sue contraddizioni, i suoi dolori, i suoi errori. Portiamo dunque con noi tutto quello che ci è possibile della sapienza e della poesia del nostro tempo, soltanto come un documento, un mezzo perché non si interrompa del tutto il filo dell'umanità. .Ma per ricominciare, chiunque siano coloro a cui questo compito sia affidato, ci vogliono cose più semplici, elementari ed eterne. « Porteremo dunque anzitutto (anche a rischio di non essere molto originali),. come l'altra volta, tutte le piante e tutti gli animali, secondo le loro innumerevoli specie. (Lascerei volentieri mosche, zanzare, ragni, serpenti: ma temo che forse, alla fine, potrebbe essere un errore). « Porteremo le donne, non soltanto per assicurare le generazioni future, ma per assicurare il passato e la storia, per salvare le passioni, i sensi, l'amore, la possibilità dei rapporti umani, dell'esperienza, della poesia e della libertà. « Porteremo poi i contadini, con le loro sementi, il bestiame, i semplici attrezzi, la loro arte antica e la loro capacità mitologica. E porteremo gli artigiani, gli operai abili a costruire le cose necessarie. « Questo, mi pare, basterebbe per ricominciare. Saremmo già a un punto, per raggiungere il quale l'umanità precedente ha faticato migliaia e migliaia di anni. In quei mestieri che avremmo con noi è già conden sata una storia e una cultura millenaria: c'è il linguaggio, la poesia, l'arte, la mitologia, i gesti, la passione, il lavoro, la persona, la libertà. E ci sono anche tutte le scoperte fondamentali. 11 resto, toccherebbe a noi e agli uomini futuri: alla fiducia e al coraggio. « Non rifaremmo, anche se lo volessimo (e perché mai dovremmo volerlo?), il mondo di prima. Sarebbe, del resto, impossibile, perduti i rapporti e ì dati di uno sviluppo storico non ripetibile. Ma certi clementi fondamentali ed eterni, li porteremmo in noi, con l'unità dell'uomo. Se dovremo ricominciare, dovremo pur sempre ricominciare da noi stessi: riscoprire insieme noi stessi e il mondo; e in questa continua scoperta raggiungere l'esistenza reale e la storia. E forse, le cose più semplici e vere che avre¬ mdsrsetsOlllllllllillllllllllillllllllllllllllllllllllllllllllllll mo portato in noi ci salveranno dagli antichissimi pericoli, dalla servitù e dalla idolatria. « E' quello che cerchiamo di fare anche ora, nella nostra vita di ogni giorno, senza scendere dalle nuvole e dai razzi, perché il mondo non venga distrutto ». Quando ebbi finito di parlare, e il nastro si fermò, il mio intervistatore, salutandomi, mi disse che, per quanto egli sapeva, le altre persone interrogate avevano risposto come io immaginavo. Gli scienziati si erano preoccupati della divezza dei dati scientifici più moderni e essenziali; gli scrittori, dell'", tutela delle opere somme delle lettere e delle arti. Gli uomini di stato, Kruscev e Eiscnhowcr, avevano dato risposte ugualmente brevi, ugualmente piene di buona volontà: avrebbero portato la pace. Carlo Levi <iiiii!miinmiiiHi!iiiiiimiiimimiimiiiiiiiiiM

Luoghi citati: America, Francia, Inghilterra, Italia, Russia