PER QVELll CHE DESIDERANO DISTENDERE 1 NERVI

PER QVELll CHE DESIDERANO DISTENDERE 1 NERVI PER QVELll CHE DESIDERANO DISTENDERE 1 NERVI Venezia c'è anche d'inverno "Ma le;, dunque, non ha Nessun «foresto», anche tivi di animazione e colopiù di 2 milioni di «pern Venezia, dicembre. Tutti sono prontamente disposti a dire che Venezia d'inverno ha un fascino particolare. La frase è tanto usata, che sembra uno di quei luoghi comuni dei discorsi fatti per nascondere la pigrizia della conversazione. Mi pare di sentirla ripetere persino con aria provocante: < Ma lei, dunque, non ha mai visto il Canal Grande con la nebbia t E piazza 8an Marco con l'acqua aitai ». Ma sono soltanto discorsi. In realtà nessuno pensa mai di andare a Venezia d'inverno. Basterebbe inventare un richiamo, metterlo in circolazione, scoprire ai pigri il rovescio della medaglia per avere nuovi visitatori, gente che cerca la calma, il riserbo, che desidera distendere i nervi, che vuole magari un'ombra di noia per meglio provvedere a faccen- iHiiMiiniitlliiiiiiiiiiiiiFiiiiitiiiiiiiniiiiiiiiii? mai visto il Canal Grande con la nebbia?,, - A quattr'occhi col cameriere, in un celebre caffè di" Piazza San Marco i piccioni sono scomparsi • A questa stagione i veneziani «invernano»; e ciò vuol dire che dopo sei mesi sbalordire e vita, ne trascorrono altri sei di,calmissima attesa - L'esercito estivo dei turisti s'era accampato in Venezia con ottamenti»; ora è difficile vedere gente che non sia del luogo - Umori, caratteri, in un ritmo morbido e delizioso. o de personali. Sono pensieri che vengono in mente stando seduti in un celebre caffè di piazza San Marco, tutto solo, a quattr'occhi col cameriere. I divanetti rossi girano intorno alla piccola stanza, sulle pareti vetri dipinti e bene incorniciati mostrano calme forme femminili ormai fatte caste perché i nostri occhi si sono abituati ad altro. I tavolini col piano di marmo, sorretti da una colonnina, sembrano inutili e, per questo, un poco ironici. Nessuno entra, nes. ;no esce. Se si allunga lo sguardo, di là dei vetri appannati, la piazza appare deserta, niente tavolini policromi, di questo e di rjXtri caffè, nessun < foresto », anche 1 piccioni, i fotografi ambulanti, i venditori di gondoline-ricordo sono scomparsi. Contro il campanile hanno ammonticchiato i cavalietti e le tavole che servono a preparare il palco per la banda musicale quando suona la sera. E piove. E, in fondo, la facciata della Basilica si intravvede dietro un velo di nebbia, come una scogliera in riva all'acqua. Domando, al cameriere che cosa fanno i veneziani e lui, che è veneziano, risponde tranquillo: € Inverniamo ». E' un bel modo di dire. Le foglie ingialliscono, i veneziani invernano. E difatti nessuna città italiana tra le celebri, non Firenze, non Roma, non Napoli, è sottoposta ad un ritmo di vita cosi 'diverso tra una metà e l'altra dell'anno: da aprile a settembre per Venezia sono sei mesi sbalorditivi, da ottobre a marzo sono sei mesi di attesa. Stanno già tirando le somme dei sei mesi di « lavoro » appena trascorsi e chi manipola cifre e statistiche adopera una terminologia, che bisogna accettare. Mi si dice dunque che Venezia ha avuto, da aprile a settembre, ottocentomila «presenze», di cui duecentomila italiane; e chi non c'è stato nemmeno una notte, chi invece una o di più, per un totale insomma di due milioni IBS mila € pernottamenti ». Tra gli stranieri i più numerosi furono gli americani (21 per cento), poi i francesi (17 per cento), poi i tedeschi (16 per cento), poi gli inglesi (10 per cento), poi gli austriaci è gli svizzeri (6 e S per cento). Chi mi informa aggiunge che,' nei confronti dell'anno precedente, c'è stata una diminuzione di «presenze» dello 0,96 per cento, ma sono aumcìtiati i « pernottamenti » e questo significa che il turista tende a € fermarsi» sempre più a lungo. L'esercito estivo, che viene da aprile a settembre in calzoncini corti e macchina fotografica penzolante sul petto, vuole vedere l'arte di Venezia, pittura ed architettura o magari soltanto le gondole, i cavali, i piccioni e tutte queste cose le vede senza però conoscere i veneziani. Mi sono sentito dire da un amico avvocato: « Ma i veneziani non ci sono più. Chi vuol fare qualche cosa va a Milano, a Roma, insomma fuori di qua>. E da un altro amico, questa volta pittore, mi sono sentirò dire: « Il veneziano, sai, è come stregato dalla sua città. Non vuole andar via. Al di là di piazzale Roma, sia che parta per Treviso o per Napoli, lui dice che va in campagna. E qua la gente non va nemmeno volentieri a e n e oo è o n e a a oiiiiiiitiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii iiiiiiiiiiiiMiiini i limimi iiiimiiimiiimiiimii imi a Marghera per lavorare perché si tratta d'andar fuori di Venezia ». Avranno ragione tutti e due dal momento che parlano di strati sociali diversi, e le due affermazioni contrastanti a me servono soltanto per capire che il carattere veneziano resterà sempre palese, vivo e presente. Si allontana dalla città la gente che ha già preso modi di vita} un poco anonimi, comuni a gran parte degli italiani e resta quella che ama mantenersi legata ad un certo ritmo di umori e di usanze. Chiacchierando con i veneziani, che di questi tempi ili- emano in attesa dell'esplosione estiva, ho sentito sempre pareri diversi. Dice uno: < Siamo ridotti a mal partito. Di' sera non si sa che cosa fare, dove andare. D'estate troppa roba, d'inverno paralisi totale. Stagione lirica scarsa, teatro di prosa inesistente. Se vuoi vedere gente al di fuori dei soliti quattro musi devi andare di sera nelle trattorie intorno alla stazione. Altrimenti a casa. Avrai notato che alle nove gran parte della città è deserta, semibuia, come se ci trovassimo col coprifuoco ». Mi dice un altro: < Ma Venezia verrà presa come modello. Bai visto che a Parigi stanno studiando di vietare la circolazione automobilistica in certe zone centrali. E a Nuova York lo stesso: Vogliono dunque creare quartieri con strado silenziose, tranquille, non pericolose e costringere ad andare a piedi. Insomma, tutti vogliono qualche cosa come noi abbiamo da secoli». Tra il bronzolante e l'entusiasta io sto con questo ultimo. D'estate Venezia splende nel sole, conosce la ressa, si piega sotto la retorica ed i veneziani alle prese con uomini e donne di tutti i Paesi lusingano, manipolano, seguono, accontentano tanta varietà di gusti. Li ho conosciuti in quell'epoca svelti e furbi, più per calcolo che per istinto, alterati quasi per necessità di vita e direi allontanati dalla loro vera natura, che è molto vicino alla saggezza, ai semplici piaceri e ad una effusione spontanea di simpatìa. Li ritrovo cosi adesso, mentre « invernano », deliziosi e fantastici, coi nervi distesi, contenti del passo che risuona solitario nella calle, rapiti dalla voce che si alza misteriosa dietro il muro d'un giardino, soddisfatti d'essere intorno ad un tavolo di trattoria immersi in un'atmosfera casalinga. Sono tutti piaceri ai quali anche il « foresto » può partecipare e risultano inusitati ai giorni nostri. Ma per attirare visitatori, in una stagione come questa, non sono argomenti che i veneziani possono adoperare: la modestia od il buon gusto lo proibisce. La città, anche se in più d'un punto rassomiglia ad un locale chiuso per restauri, dopo il fracasso dell'estate, dopo l'invasione dei turisti sprovveduti, degli sposini, dei congressisti, dei bagnanti, dagli esteti raffinati si ripresenta con un fascino più sottile, morbido, quasi ambiguo. Nella tregua invernale è più godibile quel che essa ha di insolito nella sua struttura topografica ed è più avvertibile quel che di eccezionale essa ha nel carattere dei suoi abitanti. Ricordo il mio arrivo dell'altra notte: il motoscafo pro¬ cedeva adagio nella nebbia del Canal Grande, ogni attracco a Rial1 ill'Accademia, a San Samuele pareva misterioso e giù a San Marco non c'era anima viva. Sembrava d'entrare in una città incantata, felicemente silenziosa, discreta; d'essere capitati in un'altra parte dell'universo dove è possibile riposare e crearsi giornate in cui la fantasia ha lo stesso peso della realtà. Ma nessuno immagina queste cose. Non partecipano a nessuna tradizione, i giovani oggi vogliono il chiasso* e le luci, i maturi non sanno cercare piaceri che siano un poco contro corrente. E cosi, il mattino dopo, nel celebre caffè di piazza San Marco sono solitario, unico, di fronte al cameriere che mi risponde: « Inverniamo ». Dico ad un veneziano il mio entusiasmo per la sua città come la vedo adesso, ma anche gli dico la meraviglia nell'accorgermi che i turisti la dimenticano con puntiglio dall'ottobre al marzo. Mi risponde: < Non hanno torto. La colpa è nostra perchè in quesl' ".issi sembra che la città venga inghiottita dall'oblio e non abbiamo nessuna genialità nell'inventare una stagione a rovescio, magari per i timidi, per gli innamorati, per chi vuole visitare in pace i nostri musei». Ma un altro mi risponde: <Hai ragione nella tua meraviglia. Qua vengono soltanto d'estate, intruppati e arrostiti dal sole, stanchi, sudati, brutti. Vengono e se ne vanno, ma nessuno di costoro saprà mai che cosa vuol dire la passeggiata in una gondola col felze ». Questo amico vorrebbe subito procurarmi una gondola coperta, quando col felze diventa (lui dice) come un salottino discreto, dalle pa- reti trapunte, poetico, intimo, favoloso, degno di innamorati veri e non indegno nemmeno per quelli che recitano la commedia. Ci guardiamo in faccia e, sorridendo, non se ne fa nulla. Ma una gondola col felze potrebbe divtr.tare il simbolo d'una Venezia da imporre e da scoprire. Se ottocentomila persone desiderano vederla nel sole e nel frastuono estivo ce ne devono pur essere altre a cui mostrarla nel silenzio invernale. Ma per mostrarla bisogna non chiuderla come un locale dove si fanno lavori di restauro. (A meno che io non sia un visionario perché mi viene il sospetto che in parte tutto quel che succede aia voluto; come se i veneziani pensassero che, dopo i sei mesi d'invasione, sei mesi d'invernamento sono necessari). Enrico Ema O.Welles rinuncia allperché non può porta Parigi, 28 di Orson Welles, che doveva venire a Parigi con la moglie, la figlia di 2 anni e la cagnette, Columbina, ha rinunciato al viaggio in Francia pochi minuti prima che il piroscafo Liberté partisse da New York e si è imbarcato subito dopo per l'Italia. Il celebre attore era già a bordo quando venne inforcato che un recente provvedimento francese, adottato a causa della epidemia di rabbia manifestatasi nella regione mediterranea, non permette lo sbarco di cani in nessun porto della Francia. Immediatamente Orson Welles faceva àcarioare le valige, ordinando che venissero trasportate sul piroscafo americano Exochorda, che salpava poco dopo alla volta di Genova. Welles si reca a Roma. NEL SALONE DE nuelli a Francia re il cane cembre. EMENTI, 98

Persone citate: Orson Welles, Welles