Ai parigini è piaciuto Shakespeare rivestito di neorealismo italiano di Guido Piovene

Ai parigini è piaciuto Shakespeare rivestito di neorealismo italiano TEATRO FRANCESE, SCARSO DI COMMEDIE E RICCO DI ATTORI Ai parigini è piaciuto Shakespeare rivestito di neorealismo italiano E' statò il caso d'una Bisbetica domata di Audiberti, modernizzata, saltata, gesticolata • Ma, ascoltandola, occorre dimenticare il rispetto reverenziale per il grande elisabettiano - L'interpretazione di Pierre Brasseur e i costumi di Léonor Fini hanno fatto la fortuna della commedia - La riesumazione d'un Pericle sconosciute fuor d'Inghilterra, con 60 attori e non un attimo di noia (Nostro servizio particolare) Parigi, 14 dicembre. Di alcuni spettacoli parigini, usciti da parecchi mesi, la cronaca si è già occupata a suo tempo in modo abbastanza esauriente e non possiamo ritornarvi. Così la commovente ed agghiacciante riduzione teatrale del Diario di Anna Frank, la piccola ebrea olandese incredibilmente precoce che fini uccisa dai tede¬ schi dopo avere lasciata una cronaca scritta della sua vita clandestina. Così La mouche bleue di Marcel Aymée, satira anti-americana. Così anche L'histoire de Vasco, favola pacifista recitata al < Sarah Bcrnhardt » dalla compagnia Barrault, opera di Georges Schehadè, poeta libanese in lingua francese, la cui delicatissima vena lirica, tra il sogno e l'umorismo, sembra pe- rò sperduta in una cornice di idee e "f, wu teatro troppo vasti. La stagione teatrale finora in complesso è mediocre. Tengono ancora il cartellone gli spettacoli che hanno spiccato di più l'anno scorso, il Requiem pour une nonne di Faulkner ridotto da Camus, le commcdiolc comico-acri di Jonesco; nel giro della commedia semiborghesc L'oeuf di Marceau; di quella interamente borghese Patate dir Achard; oltre alla discutibile riduzione teatrale del Bell'Antonio di Brancati. Compiuto il giro dei teatri, et si accorge che il meglio è dato da opere straniere, o da nesumaztoni di opere del passato, o da edizioni stravaganti di opere classiche minori, oppure finalmente da reinvenziom di opere consacrate, come La megère apprivoisée. Che è poi, come tutti sanno, il titolo francese della Bisbetica domata. La re/nvenzione, al teatro dell'Athènée, di Jacques Audibertt, è stata variamente accolta. A me è piaciuta, come piace, fra tante commedie tediosa o di un'allegria melensa, un gioco gaio, spiritoso e vitale. Naturalmente occorre lasciare fuori dalla sala, con il cappotto anche il rispetto reverenziale per l'ombra di William Shakespeare. Audiberti è uno scrittore di origine ,iialianasdi cui, per quanto so, il pubblico italiano ha visto una commedia, Il male corre, data al Teatro del Convegno a Milano. La sua qualità più cospicua è una invenzione verbale, che spesso tende ad impazzire: le parole fermentano, si ibridano, si rincorrono, si chiamano l'una con l'altra per analogie di senso o soltanto per ragioni foniche; finché si è lontanissimi dal punto di partenza. Prendere dall'esterno una situazione già fatta, un telaio robusto, un intreccio ben resistente, capace di ricevere la ebollizione e irei tempo stesso di arginarla, giova, secondo me, ad uno scrittore così estroso. Nel nostro caso poi il telaio è fornito da Shakespeare, da una commedia che si allinea fra i luoghi comuni della cultura, con un principio, uno sviluppo e una fine contro cui i capricci de* posteri non possono piii fare nulla. Ad Audiberti è toccata la fortuna di attori come Pierre Brasseur e Suzanne Flou nelle parti di protagonisti; di stupendi scenari e costumi di Léonor Fini; del regista Georges Vitaly. Insomma, intorno alla commedia, una élite dello spettacolo parigino. L'idea di Audiberti, avallata da Vitaly, che ha provocato la nascita della nuova « megera », in poche righe è la seguente. La Bisbetica domata di Shakespeare e una commedia ancora viva, in quanto porta un nucleo, una situazione vivi. Il «caso*, la battaglia tra il marito e ■la mogli*, per la supremazia, interessa anche noi. Nell'insieme però è una delle commedie shakespeariane piìi deboli.' Quel nucleo vitale, la lotta condotta da Petrucchio per dominare Caterina, moglie bisbetica, si annega in una sarabanda di personaggi secondari, fantocci senza consistenza, noiosi per lo spettatore d'oggi. Bisognava dunque trovare un autore capace di mettersi nella pelle di Shakespeare quando ha ideato la sua commedia, rinnovarne lo scatto, e poi rifarla come. Shakespeare la scriverebbe forse oggi. Anzitutto isolare Caterina e Petrucchio e liberarli dal fron- dale. Fatto questo però ci si accorge che occorre rivestirli di nuovo: la vicenda diventa troppo breve e troppo sommaria; la « brutale facilità » della vittoria di Petrucchio nel domare la moglie diventa troppo semplice per un orecchio esercitato alla psicologia moderna. In un secondo tempo, salvo lo schema, è perciò necessario rifare a modo nostro i personaggi principali. A furia di piccoli cambiamenti, si può trasformare U Duomo di Milano in un tempio indù, ed avviene così per la Bisbetica domata Tutte, quelle che ho riferito sono le spiegazioni e giustificazioni teoriche, di cui gli scrittori francesi vogliono sempre circondare la loro opera, per provocare discussioni e aumentarne la risonanza. Meglio dire in maniera schietta che Audiberti, prendendo uno spunto da Shakespeare, ha scritto una nuova commedia sua. Caterina, modernizzata, è una di quelle vergini, che la mancanza dell'amore ha inasprito, rendendole refrattarie all'amore, violente nella condanna contro chi lo pratica o anche ne parla, e addirittura ostili al genere umano. Ma, vinta da una violenza superiore alla sua, diventa la migliore delle amorose e la più onesta delle mogli. Mentre si capisce che Bianca, la sorella, preferita a lei perché candida, dolce, carezzevole, civettuola, e insomma « signorina di buona famiglia>, sa,rà una sgualdrinella dalla testa vuota appena protetta dal vincolo coniugale. La vicenda, dicevo, è narrata con animazione, con abbondanti e di-, vertenti invenzioni dialojiche, forse un po' meno castigate che in Shakespeare; e vorrei solo aggiungere una osservazione, che non riguarda Audiberti, ma qualche attore di contorno. Il teatro francese, se e scarso oggi di commedie, è ricco di giovani attori, molti dei quali promettenti. Spesso hanno però un difetto, quello di rompere con una delle migliori tradizioni della scena francete, la parola scandita e la dizione chiara. Una tradizione .che resta ancora negli attori anziani, ed in questa, commedia, per esempio, in Brasseur. Sembra invece che gli altri vogliano subordinare ogni altra qualità alla vita-, lità, al movimento e al ritmo. Certo non è estranea a questo l'influenza del neorealismo italiano, e soprattutto deH'Arlecohino servo di due padroni del nostro Piccolo Teatro, spettacolo che a Parigi ha segnato una data: ma ciascuno ha il suo genio. Figuriamoci poi quando, come in questa Bisbetica, l'azione si svolge in Italia. Si vuole allora riprodurre quello che si immagina essere il modo di parlare degli italiani, cioè tutti in una volta, gridando, saltando, gesticolando e portandosi via la paròla di bocca. Anziché una conversazione animata, ne viene fuori un baccano indistinto. La confusione del teatro dev'essere una confusione finta, in cui le parole di tutti arrivino perciò all'orecchio. La migliore interpretazione sulle scene parigine d'oggi è quella di Ouragan sur le Calne dell'americano HcrmanWouk. Scena unica, un Tribunale della Manna; argomento, un processo per ammutinamento su una nave da guerra durante l'ultimo conflitto. Il comandante della naye, in una tempesta, è stato sostituito di prepotenza dal suo comandante in seconda, che lo riteneva pazzo; il Tribunale do- vrà stabilire se era impazzito davvero. La commedia, che è tratta da un romanzo, è di qualità media, ma efficace, incalzante ed adatta a mettere in luce una buona schiera di attori, tutti maschi, tra cui primeggia Jean Mercure. E al genere < processo » si rivela anche adatto il Théàtre en rond di cui ho parlato un'altra volta, in cui gli spettatori siedono intorno a uno spazio centrale destinato alla recitazione. Si ha veramente l'illusione d'esservi dentro. Poi bisogna ritcrnare a Shakespeare. Frugando nell'immensa miniera della sua opera, una compagnia ha riesumato Pericle principe di Tiro, che fu presentata a Londra con enorme successo nel 1608, un anno dopo il Coriclano e tre prima della Tempesta. Non credo che oggi però siano molti ad averla ascoltata, almeno fuori d'Inghilterra. Essendo anch'io tra quelli che non la conoscevano, sono andato al Théàtre de l'Ambigu. Ho avuto la mia ricompensa; un'opera certo minore, ma il divertimento d'un genio, una successione di scene rapida, varia, colorita, una regìa spiritosa e geniale, capace di muovere una sessantina d'attori; e non un attimo di noia. Il Perici* proviene dalla stessa radice delle grandi fiabe di Shakespeare, come la Tempesta, e il Sogno d'una notte di mezza estate. E' un Pericle immaginarlo, in un mondo ellenistico capricciosamente inventato sulle sponde dell'Asia, senza curarsi affatto della verità storica, tant'è vero che qui si è nell'antica Grecia, qui in un Oriate mitico, e qui in un porto turco; e che qualcuno nomina di passaggio persino i gesuiti e la Spagna, Si narrano le lunghissime peripezie d'un principe, buono ma sventurato e sballottato di tempesta in tempesta, costretto a seppellire in mare la sposa che pareva morta nel parto, affidando poi a perfida gente che credeva amica la bambina neonata. Finché tutti si salvano, e Pericle, sprofondato nella disperazione, ritrova la figlia cresciuta e la sposa sotto le vesti di sacerdotessa di Diana. Dopo es¬ sere sfuggita al tradime:itn degli amici e alla lama, d» un sicario, rapita dai pirati, comperata da una vecchia tur^e, la figlia resta prigioniera in una sordida cava di malaffare, ma riesce a mantenersi pura, respingendo e talvolta convertendo con la forza della sua purezza anche i p<<u grossolani avventori. E' la parte migliore della favola. (Anche il Boccaccio narra un caso somigliante, ma conclude in modo più cinico). Ed altrove spunta anche qui il tema shakespeariano della musica guaritrice. Il dottore sapiente, che ritrova la sposa d\ Pericle irrigidita dalla morte apparente, la riporta alla vita prima propinandole un farmaco, e poi chiamando i musicisti. Un'idea non solo poetica, ma forse interessante anche dal lato medico. Sarebbe utile che i medici, andando a visitare i malati, fossero accompagnati da un'orchestrina per rasserenarne lo spirito. JWa non mi sembra che il mondo sì sia messo su questa strada. Guido Piovene

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