Alla radice del male

Alla radice del male Alla radice del male (Nostro servizio particolare) Roma, 3 dicembre. Dopo trattative durate più di un mese tra- i mafiosi da una parte e il cavalier Vito Pianeta dall'altra, è stato raggiunto un compromesso: i banditi hanno rilasciato il figlio giovinetto del Pianeta previo versamento di trenta milioni. La cifra non è esorbitante se si ricorda che al momento in cui avvenne il sequestro del I giovane Pianeta, il prezzo del riscatto era stato fissato a cinquanta milioni. Tuttavìa, da jn punto di vista generale, il lungo periodo delle trattative e l'accordo finalmente raggiunto contano molto poco. Ha un peso ben maggiore la morale che si ricava dall'episodio: ancora una volta in Sicilia l'organizzazione della mafia si è dimostrata più efficiente di quella della polizia. E anche: fra le leggi dell'omertà e quelle dello Stato italiano, ancora una volta hanno prevalso le prime. E' una situazione molto amara per i cittadini che pagano le tasse e chiedono alle Forze dell'ordine di essere protetti nella loro persona e nei loro averi. Né vale osservale che i siciliani ormai vivono rassegnati di fronte a questo stato di cose, e che lo scandalo è tutto e solo nostro, di noi continentali. Non è vero' l'amore per la giustizia è sentito in modo acuto specialmente nei luoghi dove gli ingiusti riescono sovente a imporre le loro spietate, dure leggi Ma anche se fosse come dicono gli scettici, e cioè che la rassegnazione ha ormai spento ne1' siciliani ogni risentimento contro quella delinquenza organizzata che si chiama mafia, non per questo diventa minore il dovere deiIlo Stato di trovare i mezzi per estirpare le radici del male. Non è certo una faccenda che possa sbrigarsi in .poco tempo e con scarsi mezzi; si tratta infatti di un'organizzazione centenaria e che ha le sue ramificazioni dappertutto, persino in luoghi circondati dal comune rispetto o molto temuti. Tuttavia, per quanto ardue e lontane siano le prospettive, è gran tempo di im postare e di risolvere una buo na volta il problema della mafia siciliana. Per parlare con tutta franchezza, non può dirsi che negli ultimi anni lo Stato abbia fatto tutto il necessario per stabilire anche in Sicilia condizioni soddisfacenti di ordine pubblico. Intendiamo, per la chiarezza, riferirci al periodo intercorso dall'uccisione del bandito Giuliano a oggi. Non vogliamo con ciò insinuare che dopo la morte di Giuliano le forze di polizia si siano abbandonate agli ozi di Capua; ma solo che da allora è andato scemando quel forte impegno che lo Stato italiano aveva messo nell'imporre il rispetto delle sue leggi tra gli italiani di Sicilia E' stato un errore di valutazione, e di questo i primi a lamentarsi sono gli stessi siciliani: Giuliano era importante in quanto da sette anni rappresentava una sfida allo Stato e perché con pochi uomini teneva testa a intere divisioni di carabinieri e di agenti di polizia Tuttavia, nella vita, nella società siciliana non rappresentava niente: era un fenomeno sporadico, un bandito eccezionale se volete, ma privo di legami profondi, duraturi con l'ambiente sociale da dove era venuto fuori. Tant'è vero che a un certo momento, spinto dalla crescente megalomania, | commise l'errore che per l'in | nanzi aveva sempre cauta | mente evitato: si mise contro o n i i a i i i a e o l i a i o e i , e i a e o , la mafia, cominciò a uccidere mafiosi in vista. Da allora il suo destino fu segnato. La morte di Giuliano segnò da una parte la smobilitazione morale dei dirigenti dell'ordine pubblico e dall'altra il ritorno della malia alla antica potenza. Oggi il problema della mafia sta ancora là, tutt'intero: nelle città e nelle campagne. Ogni tanto un episodio più clamoroso degli altri richiama l'attenzione pubblica su questa" amara realtà, ma all'indignazione civica non sempre seguono i fatti; molti delitti restano impuniti o perché la polizia non riesce s sfondare il muro dell'omertà o perché gli imputati sono as solti per insufficienza di prò ve. Tutte le volte che ciò avviene, è una nuova vittoria per la mafia, sempre più temuti e prontamente eseguiti sono i suoi decreti. E come sempre accade in queste situazioni, il numero dei delitti non denunciati dalle vittime cresce a ogni spuntar di sole: un po' per il timore delle rappresaglie, ma molto anche per la sfiducia negli organi dello Stato. Ricordiamoci che la mafia è come la gramigna: o si estirpa tutte, oppure quel che resta, per quanto poco, è destinato a riprodursi e presto torna a invadere l'intero campo. In altre parole, o si vince tutta, affrontando con sistemi radicali il problema, o ci si condanna ad esserne sommersi. Una via di mezzo non esiste, i successi limitati in estensione o nel tempo non contano. Un palo di anni fa Guido Lo Schiavo, procuratore generale presso la Corte di Cassazione, un magistrato che ha trascorso buona parte della sua professione di magistrato nei tribunali siciliani, così scriveva: «La mafia è uno Stato nello Stato; soltanto la debolezza del governo può favorirne l'incremento, l'audacia, la potenza. Ciò la mafia sente. Lo sanno soprattutto i dirigenti, i quali hanno una saggezza, una prudenza e una esperienza degne di considerazione, e curano i propri interessi, mostrando di appoggiare e di favorire il governo allorché hanno la certezza di trovarsi in condizioni d'inferiorità o di temere la severità delle leggi, pronti però a manifestare la propria indipendenza, autorità e potenza, in caso di allentamento della forza degli organi statali ». Nicola Adeifi

Persone citate: Capua, Guido Lo Schiavo, Pianeta, Vito Pianeta

Luoghi citati: Roma, Sicilia