Quattro banditi armali di mitra e pisrtolrapinano 17 milioni all'Azienda tranviaria

Quattro banditi armali di mitra e pisrtolrapinano 17 milioni all'Azienda tranviaria Uno dei più clamorosi episodi della delinquenza a Torino Quattro banditi armati di mitra e pistola rapinano 17 milioni all'Azienda tranviaria Nella notte rubano un'Alfa 1900 a Porta Nuova e si appostano di fronte al deposito dell'ATM in corso Tortona - Alle 8,30 del mattino il fulmineo assalto al furgone che porta le paghe dei tranvieri: 30 milioni in tre cassette -1 banditi irrompono nella rimessa spianando le armi - Una raffica di mitra impedisce ogni reazione - La fuga con due cassette: 17.500.825 lire - Vano inseguimento di due auto - L'Alfa abbandonata in via Parma Alle 8 e 25 di ieri un furgone « 615 > della A. T. M. — per la esattezza il n. 19, adibito al trasporto di materiali e, all'occorrenza, di valori — arrivava pian piano in corso Tortona dove, com'è noto, ha sede uno dei più vasti e meglio attrezzati depositi dell'Azienda. Al volante era l'autista Luigi Gavazza di 30 anni, al suo fianco era un « accompagnatore », il tranviere Giuseppe Beccaria di 59 anni. Il camion non trasportava pezzi di ricambio o utensili, ma semplicemente tre cassette di legno, di robusta fattura, senza particolari caratteristiche: tre cassette d'aspetto comunissimo e di notevole importanza, poiché contenevano complessivamente 30 milioni sotto forma di buste-paga da consegnare, la mattina stessa, ai dipendenti del deposito. Il prelievo era stato effettuato mezz'ora prima alla tesoreria municipale. Il « 615 > varcava la soglia del grande capannone e si fermava dopo pochi metri, a sinistra di chi entra, dinanzi all'uscio a vetri dell'ufficio personale. Attorno v'era parecchia gente: tranvieri in attesa della « quindicina », altri tranvieri che stavano per prendere servizio già con' la borsa a tracolla e operai che revisionavano le vetture o i motori dei pulìmann. L'arrivo del «615» era scherzosamente salutato da qualcuno con la frase < Stiamo allegri! Ecco 1 soldi! ». L'autista Gavazza scendeva, l'accompagnatore lo seguiva ed entrambi aprivano la portella posteriore del veicolo, calando sul pavimento, ad una ad una, le > cassette. Intervenivano due i.«jivieri, Giovanni Noledi e Giuseppe Caire, che sollevava- no la prima cassetta (con 12 milioni e mezzo) e la trasferivano nell'ufficio personale. In quello, nel deposito, irrompevano i banditi. Sin dalle 7 e 30 circa qualcuno aveva notato una « 1900 Alfa Romeo » di color nero, targata VR 42.274, ferma in corso Tortona, dalla parte opposta dell'ingresso del deposito, all'angolo di via Montalto. A bordo v'erano quattro giovanotti, con l'impermeabile, che arrovesciati sui sedili o con la testa appoggiata ai cristalli avevano l'aria di dormire profonda mente. « Avranno fatto un lungo viaggio nella notte e saranno stanchi » pensava il signor Tancredi Guali, che passando di lì per recarsi in ufficio, era forse il primo ad osservarli. In realtà gli sconosciuti se ne stavano sdraiati nella vettura, come in preda a torpore: ma alle 8 e 25, al sopraggiungere del « 615 » improvvisamente si destavano. Un attimo dopo l'i Alfa» si muovew e rapidamente attraversava coiao Tortona: sfiorava l'ingresso del deposito e andava ad arrestarsi tre o quattro metri oltre, lungo il muro del vasto edificio, nel controviale di sinistra, per chi guarda verso il ponte sulla Dora. La macchina restava col motore acceso: uno dei giovani, quello al volante, non si muoveva. Gli altri tre scendevano in fretta e spalancavano il ba gagliaio dell'auto lasciandolo aperto. Ciascuno di essi aveva una mascheratura al viso, non si sa se la classica pezzuola nera o una sciarpa: ad ogni modo i loro lineamenti non erano distinguibili. L'impresa si svolgeva con una rapidità fui mirtea. - Due balzavano nell'interno e s'appressavano al «615»: il terzo — uh individuo che i testimoni descrivono, con una certa concordanza, alto e segaligno, in preda a visibilissima agi tazione — si piazzava dietro la colonna di cemento che divide l'entrata: e da sotto l'impermeabile estraeva un'arma che taluni hanno riconosciuto cóme un mitra di fabbricazione ita liana, a canna corta, ed altri come uno « sten » d'antica memoria. L'autista Gavazza s'accingeva a chiudere la portella posteriore del camion allorché con la coda dell'occhio, intravvedeva che una delle cassette, la più piccola, e - subito dopo anche l'altra, di dimensioni sensibilmente maggiori, contenenti buste-paga per un valore complessivo di 17 milioni 500 mila e 825 lire, erano state afferrate da « qualcuno » che le portava verso l'uscita. « Un mo. mento, un momento» esclamava l'autista voltandosi <non da coscchdApe tostoprti(tazmtimrzaNi1ele ,ggp quella parte». Come si voltava, allibiva. Due mascherati fuggivano ciascuno reggendo faticosamente una cassetta: da dietro il pilastro spuntava un terzo ceffo che brandiva un mitra. Istintivamente il Gavazza si gettava contro di loro per ostacolarli: e altrettanto facevano il Beccaria e quasi contemporaneamente il Noledi il Caire e poi Renzo Prono, Alberto Margani, Giovanni Codecco e il bigliettario Robbo. Ma a questo punto entrava in azione l'uomo col mitra; senza dire una parola il bandito alzava l'arma ed esplodeva tre genLD scalfiva il pavimento e il terzoche finiva contro il finestrino d'un pullmann perforandolo. Agli spari tutti giustamente, pensavano alla rispettiva pelle e si gettavano al suolo. Ottenu- to l'effetto il bandito non prò-seguiva nella sparatoria: e certo si deve all'assennato comportamento dei tranvieri se la rapina non ha comportato morti e feriti, ma soltanto un furto (il cui danno, fra l'altro, è totalmente coperto da assicurazione). Mentre, di fronte alla minaccia di un mitra, i presenti desistevano da qualsiasi forma di reazione, i tre malviventi raggiungevano la 1900 e piazzavano convulsamente, alla meglio, le due cassette nel ba-|Rgaglìaio: dopo di che partivano Ie nella confusione dimenticava-:cno il bagagliaio spalancato. I fL'«Alfa» a velocità sostenuta jsma non eccessiva percorreva il-ncontroviale sino al ponte sulla aDora e poi svoltava a sinistra, jin corso Firenze: una delle cas-isene, la più grande, era stata mal sistemata e minacciava di {precipitare da un attimo all'altro. Al momento di salire in macchina — secondo alcuni testimoni —- tutti e tre apparivano armati: l'alto e secco pun tava,il mitra, i compari impu-j gnayano rivoltelle: anche iligiovane che era al volante aveva in mano una pistola. Secondo- altri, invece, l'unica arma •vista sarebbe il mitra o sten. Si organizzava un duplice inseguimento. Quello effctbir.to dagli stessi tranvieri, tx i-ordo di una «1100» di proprietà di un dirigente', non era fortunato: sviati da un'errata informazione essi finivano sulla strada di Settimo e tornavano dopo mezz'ora di infruttuose ricerche. Più avventuroso e concreto l'inseguimento di due autisti di un camioncino. Gli autisti, Cesarino Rossi di 27 anni, domiciliato in corso Casale 122 ed Ermenegildo Caon di 34, via Mattatoio 33, Chieri, si erano appena fermati con il loro .« Leoncino » nei pressi delTA.T.M. a scaricare damigiane. Vedevano la scena dell'assalto udivano i colpi, scorgevano la «Alfa » darsi alla fuga. Un signore, Pietro Re, che si trovava dinanzi alla porta del suo stabilimento, al n. 52 dì corso Tortona, gridava: — Sono rapinatori! Sono rapinatori! Inseguiteli! Hanno rubato all'Azienda tranviaria. Il Rossi e il Caon non se lo facevano ripetere due volte. ';?? »' massimo il camion, L « A*fa » intanto aveva ìmboc- cato, da corso Firenze, la pri ma traversa a destra, via Buscalioni. Strano a dirsi, con ! trariamente a quanto avviene 1 sempre in casi del genere, la a o a i a macchina dei banditi, esaurito lo scatto iniziale, procedeva ad andatura alquanto modesta. Al l'angolo di via Buscalioni con via Catania s'arrestavano e due di essi — uno era sui 20 o 25 anni, col ciuffo biondo e unaprofonda cicatrice in faccia — scendevano e richiudevano il bagagliaio: dopo di che riparti» vano. In quello, da corso Cata-nia, giungeva il «Leoncino» col Rossi e il Caon. «Era molto djfncile» ha dich'ar?to più tardi, con franchezza, il Rossi «ma forse avrei potuto sbarrare la strada all'Alfa. Però loro era-lano armati e sicuramente decisi a tutto pur di non lasciarsi prendere... Cosa sarebbe succeiso? Meglio che le cose sia no andate così... Si fa presto, troppo presto a buscarsi una pallottola... ». Intanto dal deposito si prov- j credendo di essere egualmente jniesauriente, si limitava a dire gcorsue vedeva a telefonare alla que-1 cstura. Ma ehi telefonava, forse'"sconvolto dall'emozione, forse -qQve vtufic«Accorrete qui in corso Tortona, all'A.T.M.! C'è stato un furto! ». Un furto non è un fatto gravissimo: perciò la questura avvertiva il commissariato di zona e precisamente il commissariato di P. S. Vanchiglia. Sul posto, a piedi, si recava il brigadiere Rolfo con gli agenti Palazzo e Aquilante. Come sapeva la verità, il brigadiere aveva un sussulto: si precipitava al telefono e sì metteva In comunicazione col suo superiore diretto, il dott. Vitolo. « Dottore, non è un furto, è una rapina a mano armata! Banditi con la maschera! Sparatoria! Diciotto milioni rubati! ». Nel giro di pochi minuti la polizia era in allarme. Oltre al dott. Vitolo giungevano in drsc1aV agenti nianze, che l'« Alfa » nera era giunta sino in largo Brescia elcorso Tortona 11 dott. Maugerì della Squadra Mobile con il suo collaboratore dott. Valerio e un nugolo di sottufficiali ed nonché quattro o ein chine veloci, partecipava alle " sarché e ai controlli. Si ro -èva sapere, da alcune testimo que equipaggi della Celere. Il J Questore dott. Ortona, assumeva il comando dell'operazione, e la città, praticamente, veniva chiusa in una morsa di pattuglie volanti e sbarramenti fissi. Anche la Polizia Stradale, con agenti motociclisti e mac- di qui era stata vista imboccare via Ancona. Doveva essere un postino, il signor Duilio Maino a rintracci r.rrla. Il signor Maino, già alle 10, passando per via Parma, aveva notato l'«Alfa» targata Verona ferma, con uno spor- MP a tavà intestata al dott. Luigi elAngiardi farmacista di Vero- tello non chiuso ma appena accostato. Nel pomeriggio, verso le 17, comprava « Stampa Sera » e leggeva l'ampio resoconto della rapina. « Sta a ve- e J dere » diceva tra sé il signor Maino « che l'auto è quella di via Parma... ». Pian piano an dava a vedere. Si, era proprio quelia. Entrava nel primo bar e telefonava alla polizia. «Desiderano la macchina dei banditi? La vengano pure a ritirare in via Parma... ». La Mobile piombava nel luogo indicato. C'erano i documenti: risul¬ l e , a - na. Un esame delle schedine degli alberghi e si accertava che il dott. Angiardi, ospite da qualche giorno nella nostra città, era alloggiato In un albergo di via Rattazzi. L'auto lasciata in sosta nella stessa via Rattazzi, quasi all'angolo di corso Vittorio, gli era stata rubata nella riotte. • Mentre la polizìa si scatenava alla ricerca del banditi, nel deposito dell'A.T.M. si procedeva, in un'atmosfera di vivo turbamento, alla consegna delle buste superstiti. Nel pomeriggio il solito «615» andava a prelevare i mancanti 18 milioni alla Tesoreria e alle 15 e 30 avveniva la seconda distribuzione: questa volta sotto lo sguardo di decine di agenti. JSE FASI DELLA RAPINA — Linea nera: l'arrivo del furgone dell'A.T.ìU. che entra nel deposito - Linea bianca tratteggiata: l'automobile dei banditi, in agguato dalla parte opposta, attraversa il corso - Asterisco: qui è stato caricato il denaro - Linea bianca continua: la fuga dopo il colpo. 'Alfa è stata abbandonata in via Parma col baule aperto la prima cassetta (con 12 colpi: uno decisamente in alto cnd Nel deposito dell'ATM: 11 furgone davanti all'ufficio nel punto in cui avvenne l'assalto iiìminimiimii illumini iiiiiiiiiiimiiiiiiiniiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiuiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiniiii ii

Luoghi citati: Chieri, Torino, Tortona, Verona