Il bidello si mise a vendere cocaina e subito divenne amico di principi

Il bidello si mise a vendere cocaina e subito divenne amico di principi Storia di uno degli imputati al processo degli stupefacenti Il bidello si mise a vendere cocaina e subito divenne amico di principi Ufficialmente egli e il suo compagno guadagnavano ciascuno 50-60 mila lire al mese Ma avevano automobili, una bella casa e trascorrevano le notti nei più lussuosi locali (Dal nostro inviato speciale) Roma, 31 ottobre. Nel processo degli stupefacenti, la curiosità è sempre centrata sui personaggi di primo piano. Gli illustri blasoni di cui si fregiano conferiscono un particolare sapore di scandalo alle notturne baldorie che essi insaporivano con la droga; si vorrebbe identificare in loro il decadimento morale di tutta una classe sociale. Sui personaggi minori, invece si stende un velo di distratta indifferenza, quasi che le loro scialbe figure non abbiano rilievo degno di cronaca. Eppure, anche costoro, rappresentano non-meno dei primi gli aspetti più lamentevoli dei costumi che caratterizzano alcuni settari della gioventù. Se i primi cercano nella cocaina la staffilata per la loro esausta immaginazione tesa alla crapula, i secondi violano la legge del solo desiderio di trasformarsi a loro volta in riveriti clienti.. Davanti al tribunale sono passati oggi due giovanotti rovinati daila bruma di guadagno e dal desiderio di vita elegante e sfaticata. Mario Ferrari era bidello in una scuola romana, aveva stipendio modesto ma sicuro, poteva essere pago della sua esistenza. I bar di via Veneto, i locali notturni, la folla cosmopolita che vi sita Roma in ogni stagione lo affascinavano. Lasciò il suo impiego e si mise in società con Roberto Pietrangeli. suo ex-compaino di scuola. Si incaricavano di procurare finanziamenti a chi aveva bi- sogno di denaro, ma in tantimesi di attività non combina-rono un so/o affare. Eppure ilgiovane bidello trovò modo dicomperarsi un'automobile, e nemmeno un'utilitaria, incominciò a vestii»! con la v stasa eleganza dei bulli suburbani, prese a frequentare i bar ed i night clubs ìji compagnia di g'.Gv.^.i principi-e m...n si. Dove trovasse tanto denaro è facilmente intuibile, ma egli non vuole ammetterlo. Anche oggi ha negato di aver mai smerciato cocaina, anche se fnquentava Max Mugnani, Pepilo Plgnatelli, Augusto Torlonia egli afferma di non aver mai sentito parlare di stupefacenti. Andò una volta sola, per incarico del suo socio Petrangeli. a ritirare un pacco dall'amico Amedeo Masselli, ma ignorava che cosa contenesse. Affidò il pacco a < Foffo>, cioè a Francesco Giordano e solo tipo l'arresto seppe che si trattava di cocaina. Il denaro per condurre la vita dispendiosa lo avrebbe guadagnato vendendo cappotti, giacche, dadi per il brodo Il presidente gli ha fatto notare che alla polizia, subito dopo l'arresto, egli aveva confessato ben altri traffici, ma l'imputato non si è scomposto c fi commissario — egli ha detto — mi ha afferrato per i capelli e tirandomi su di pe so ha minacciato di ridurmi ad un canestro di ossa se non Ifirmavo il verbale in cui com-\parivano le dichiarazioni di Francesco Giordano ». j Le dichiarazioni di Mario Ferrari acquistano un particolare rilievo se confrontate con quelle di Amedeo Masselli che, invece, ha confessato di aver venduto 170 grammi di cocaina. Masselli era commesso in un negozio di oggetti ricordo all'aeroporto di Ciampino, era amico di Romolo Piecarelli e parente di Elvio Dematteis. La sua confessione aveva però uno scopo nebbiogeno, mirava cioè a limitare la sua attività come trafficante di droghe e quei 170 grammi che prese in consegna da Mario Ferrari, sarebbero finiti tutti nella casa di Max Mugnani. La realtà, a quanto risulta dagli interrogatori subiti do questo" imputato dopo l'arresto, è ben diversa. Già allora, per quanto tentasse di minimizzare la sua colpa, egli aveva confessato di aver venduto ad altri trafficanti 700 grammi di stupefacente. E' quindi probabile che la quantità di cocaina sbarcata a Ciampino dagli acrei della < Sai » che facevano la rotta per l'Estremo Oriente, sia ancora supcriore. Durante i tre anni dal 1953 al 1956, il giovanissimo interprete Romolo Piccarelli avrebbe ricevuto dai piloti danesi una rilevantissima quantità di cocaina che attraverso l'amico Amedeo Masselli faceva j giunger z fino at consumatori ) Max Mugnani in testa. Quanì ta droga egli abbia manipoUcto e quanti milioni abbiano \guadagnato luì ed \ suoi amici è impossibile stabilire, nemmeno con approssimazione. Certo il numero deve essere rilevante ed in questo modo si spiega come Mario Ferrari, senza aver mai realizzato un diverso affare, potesse girare in automobile e frequentare i ritrovi eleganti, e come Amadeo Masselli abbia potuto rifiutare l'cspitalità della casa materna e trasferirsi in un alloggio nuovo che egli aveva ammob.liato interamente, cosa che non avrebbe potuto fare con il suo stipendio di commesso a 55 mila lire il mese. Per tentare di stabilire con approssimazione la quantità di cocaina giunta a Roma per via aerea, alcuni difensori ed il Pubblico Ministero hanno chiesto che siano accertati quanti volt sono stati effettuati dagli apparecchi della < Sas » con i tre piloti danesi imputati fra Roma, Tokio e Bangkok dal 195S al giugno 1956. E' forse un modo di stabilire la media di droga che giungeva in Italia con ogni apparecchio. Durante l'interrogatorio, t due imputati hanno tentato di scaricare la maggior parte di responso bilità sull'amico tatitante Roberto Petrangeli, ch« non ha mantenuto la promea- Isa di costituirsi. Al termine \della uiHenza Max Mugnani j avrebbe voluto fare alcune precisazioni per le accuse rivoltegli ieri dal suo amico Francesco Giordano, ma il suo difensore lo ha indotto ancora una volta a tacere. Se parlasse in preda al risentimento, egli sarebbe capace di chissà quali stravaganze, S' è lasciato convincere a parlare martedì della settimana ventura, quando il processo sarà ripre- so dopo quattro giorni di ua-Francesco Rosso

Luoghi citati: Bangkok, Ciampino, Estremo Oriente, Italia, Roma, Tokio