L'impressione a Parigi di Loris Mannucci

L'impressione a ParigiL'impressione a Parigi o (Nostro servizio particolare) Parigi, 24 ottobre. Sono state versate molte lacrime oggi nell'elegante palazzina dell'Avenue Montaigne, dove Christian Dior organizzò suoi <.ateliers> nel 1946. Chine sulle stoffe, le sartine, che egli chiamava «le mie ragazze » o «le mie figliole », hanno lavorato come di consueto, poiché le ordinazioni devono essere consegnate in tempo, nonostante la morte del < patron*, ma ogni tanto una giovane posava l'ago e si prendeva il viso tra le mani non riuscendo a trattenere il pianto. Lo sgomento regnava ugualmente nei lussuosi salotti; dove nessuna collezione è stata presentata oggi: le Indossatrici avevano tutte gli occhi rossi e non se la sentivano di sfilare dinanzi alle clienti, di sorridere, di essere graziose. La signora Simone Amiard, che da dieci anni era la collaboratrice di Christian Dior, girava come un automa fra le sale silenziose e guardava con scoramento il monte di telegrammi che cresceva da un'ora all'altra. Ad un amico ella ha confidato: «Avevo come un presentimento, ed ogni giorno diceva al principale di riposarsi. Si vedeva che era stanco». Da un po' di tempo, infatti, la salute di Christian Dior preoccupava i suoi amici ed i suoi collaboratori. Già due anni fa egli fu colpito da un infarto al miocardio e poche settimane or sono, mentre si vestiva per andare a cena, ebbe una piccola crisi cardiaca. Era un avvertimento, di cui il noto sarto non tenne conto, come non tenne conto dei consigli dei medici, i quali gli volevano imporre un severo regime alimentare. Questo dittatore della moda, che, come scrisse un giornalista, «fece allungare quaranta milioni di gonne con un colpo di lapis », era ghiotto e non sapeva resistere alla tentazione quando si trovava dinanzi ad un buon piatto. Sebbene fosse normanno,. preferiva la cucina meridionale, così come preferiva il sole meridionale alla nebbia natia, tanto che nel '53 comperò -una villa sul fianco dell'Esterel, 'con la speranza di potervisi ritirare più tardi per coltivare il bel giardino. I fiori, dai quali si ispirava spesso per disegnare 1 suol modelli, erano la sua passione. Dire che la scomparsa di Dior ha provocato a Parigi emozione e tristezza è dir poco. Le parole che più delle altre vengono pronunciate sono quelle di « perdita irreparabile per la moda francese ». In tal modo, ad esempio, si sono espressi i sarti Castillo e Givenchy, mentre il presidente della Camera sindacale della «Haute Couture», signor Barbas, ha dichiarato: «E' un lutto spaventóso nella grande famiglia della sartoria. Ma l'opera di Dior non sparisce con lui, perché egli ha creato una scuola ». Analoghe espressioni di cordoglio e di ammirazione i l a i r o , i i o n o e a n a i e giungono dall'estero. Viene sottolineata a Parigi l'opinione del sarto britannico Norman Hartnell, secondo cui la scomparsa di Christian Dior costituisce < una grande disgrazia », e negli ambienti governativi, specie al Ministero delle Finanze, si pensa ai miliardi di franchi in valuta estera che Dior procurava al Paese grazie alle sue esportazioni. I giornali dedicano al triste avvenimento pagine intere, ricordando la straordinaria carriera di quest'uomo che 1 genitori destinavano alla diplomazia, inviandolo quindi alla scuola di scienze politiche, dove egli acquisiva una vastissima cultura; egli si dedicò invece all'arte perché sentiva che quella era la sua Btrada. La moda, per Christian Dicr, era infatti una delle tante espressioni dell'arte. E' ugualmente con evidente ammirazione' che viene sottolineato il cammino da lui percorso da quel giorno del 1936 in cui — abbandonata la direzione di una galleria di pittura che gli permise, fra l'altro, di lanciare vari artisti tra cui Max Jacob — egli vendette il primo disegno di moda per la somma di venti franchi. Salito improvvisamente nel firmamento della sartoria mondiale il 12 febbraio 1947 scagliando la bomba del « new look ». Dior diventava un arbitro della moda femtninile e ogni anno imponeva una linea nuova a decine di milioni di donne. Ma, nonostante il suo successo, egli rimaneva modesto: « Non s'inventa mal nulla — diceva — perché si parte sempre da qualche cosa». E la ricchezza non gli faceva dimenticare che altri hanno bisogno di lavorare: «Ad ogni collezione — egli diceva ancora — rischio il salarlo di mille persone ». Alcuni mesi fa, quando festeggiò i dieci anni di esistenza della sua Casa, Christian Dior poteva considerare con orgoglio il proprio cammino: egli era alla testa di dieci società e di diciotto aziende associate, che realizzavano una cifra d'affari annua di circa dodici miliardi di lire; la sua attività si era estesa dalla sartoria alla pelliccia, ai cappelli, alle calze, alle cravatte, al profumi, al guanti, al rossetto per le labbra, alle calzature, ai ninnoli... In dieci anni egli aveva disegnato sedicimila modelli di vestiti, utilizzato quindicimila chilometri di stoffa e venduto duecentocinquantamila litri di profumo; in ottantasette paesi, e specialmente a NewYork, a Londra, in America del Sud e nel Canada, come nel Giappone, la società Christian Dior aveva una succursale. E come un re disse in altri tempi delle proprie terre, egli diceva ridendo che sui suoi abiti il sole non tramontava mal. Cosa diventerà questa azienda dalla molteplice attività che impegnava una somma notevole dì miliardi? La sua scomparsa sembra impossibile : l'industriale Marcel Boussac, il noto miliardario re del cotone, proprietario di una scuderia famosa e principale proprietario anche della società Christian Dior, non lo permetterà; ma la fama di Dior potrà sopravvivere se Dior non c'è più? Presso un notaio parigino egli ha lasciato un testamento che sarà aperto fra qualche giorno, dopo le esequie: queste si svolgerebbero, pare, nel paesetto di Montauroux (Varo) perché, quando parlava ridendo della propria morte, Dior esprimeva il desiderio di essere sepolto laggiù. Fcrse il testamento dirà anche chi egli designa o consiglia quale successore. Loris Mannucci

Luoghi citati: America Del Sud, Canada, Giappone, Londra, Parigi