Bisanzio e l'Occidente di Luigi Salvatorelli

Bisanzio e l'Occidente Bisanzio e l'Occidente L'insigne orientalista francese Charles Dichl (morto nel 1944) dettò nel 1940, ottantenne e cieco, un profilo di storia bizantina in tredici agili capitoletti, intitolato « I grandi problemi della storia bizantina ». Questo profilo adesso è uscito in traduzione italiana preisn il Laterza, col sussidio di un'ampia introduzione di Armando Saitta, combinante una rassegna generale dell'opera del Diehl con uno schizzo critico-bibliografico della storiografia bizantina dal Settecento ad oggi. Del termine «problema» si fa oggi uso grsnrll«imo, e diciamo pure abuso. Diciamo, all'ingrosso, che si è finito per confondere « problema » con « tema », <t soggetto », « materia di studio ». Il termine, invece, dovrebbe riserbarsi, in sede storica, alle questioni controverse, di fatto o d'interpretazione, che formano come dei nodi, degli intoppi — potremmo dir.", nel senso etimologico della parola, dejHì t scandali » — nel corso storico di un'epoca, di un popolo, di una istituzione. Neanche il Dichl, in questo suo prezioso libretto condensante la sua esperienza storiografica più che cinquantennale, è rimasto immune dall'abuso, o almeno dall'uso equivoco, del termine. I capitoli del suo profilo rappresentano la trattazione, non di altrettanti « problemi », ma piuttosto di una serie di « temi » (ciascuno dei quali può includere uno o più problemi). Basta a mostrarlo la citazione di qualche titolo: «La fondazione dell'impero bizantino »; «I grandi periodi della storia bizantina »; né fanno obbiezione altri e più numerosi titoli: «Il problema delle nazionalità, il problema politico, il problema religioso », etc. Alla prima lettura, anch'essi ci si scoprono come esposizione di fatti piuttosto che come impostazione di questioni; anche se di una impostazione 'simile contengono gli elementi. Ciò vale perfino per i due capitoli «Il posto di Bisanzio nella storia del Medioevo », e « 1 grandi periodi della storia bizantina », che più da vicino riguardano la « problematica » (usiamo, una volta tanto, l'infelice vocabolo) della storia bizantina. Nel secondo dei due, piuttostoche discutere sul « periodizzamcnto » (altra parola di moda) della detta storia — per esempio: quando comincia l'impero bizantino? Con Costantino, con Teodosio, o addirittura dopo Giustiniano? —, il Diehl delinca le diverse fasi di uno svolgimento unico. Nel primo, invece, espone analiticamente l'importanza, la grandezza, l'opera positiva dell'impero bizantino, terminando con l'affermare « il grande ruolo che per secoli Bisanzio ha avuto nella storia del Medioevo »; ma non caratterizza sinteticamente codesto ruolo, e non fa neppur cenno di valutazioni differenti. Bensi, nel capitolo seguente su « i grandi periodi » si lascia sfuggire questa frase : « Non basta dunque parlare di decadenza :. si deve anche parlare di grandezza ». E nella brevissima — una pagina — conclusione, ripetendo che Bisanzio ha avuto nella storia del Medioevo « un ruolo di primo piano », aggiunge che la lettura del suo libro potrà convincere di ciò, « malgrado i pregiudizi che ancora sussistono su questo mondo scomparso ». Così, il lettore non informato (ai lettori italiani ha provveduto il Saitta con la sua Introduzione) ha per lo meno un sentore che accanto ai « problemi » della stona bizantina ci sia « un problema di Bisanzio»: che cosa, cioè, sia stato propriamente l'impero bizantino, e quale valutazione complessiva si debba darne. * * Voltaire e Gibbon — per nominare due sommi — hanno considerato la storia dell'impero bizantino come quella di una lunga decadenza. Citazioni testuali in proposito si possono leggere, o rileggere, nell'Introduzione del Saitta, e, prima di essa, in quella della ormai classica « Storia dell'impero bizantino » dcll'Ostrogorsky (in tedesco). Adesso, il Diehl non solo attribuisce, come s'è visto, a quell'impero « un ruolo di primo piano », ma afferma che quella di Bisanzio è stata « una splendida civiltà, forse la più luminosa che il Aledioevo. abbia conosciuto, la sola certamente che fino all'XI secolo sia esistita nell'Europa cristiana ». Prima di lui, l'inglese Bury — per il quale l'impero bizantino è la pura e semplice continuazione dell'impero romano — aveva creduto di poter additare in Bisanzio uno dei fattori più importanti dello sviluppo della civiltà occidentale. Lo stesso Bury, però, nella Introduzione al quarto volume della « Cambridge Medieval History », dedicato a The Eastern Roman Empire, spiega perché di codesto impero d'Oriente si narri la storia in un volume a parte, isolata cioè da quella dell'Occidente: «L'orbita di Bisanzio », egli dice, « tocca bensì, o traversa, in qualche punto le orbite degli stati europei occidentali; ma lo sviluppo di questi nell'insieme non fu influenzato profondamente, o sensibilmente perturbato, da ciò che succedeva a oriente dell'Italia o a sud del Danubio ». Ecco un bel rompicapo storiografico. Dunque, l'impero bizantino è, al tempo stesso, un fattore capitale dello sviluppo della civiltà occidentale, e un elemento periferico, occasionale, trascurabile per la storia degli stati occidentali. Si pretenderà risolvere l'indovinello osservando che altro è storia della civiltà, altro storia politica, storia degli stati? Ma chi mai vorrà sostenere fra le due un distacco quale sarebbe postulato dalle due tesi del Bury, combinare insieme? La verità logica è che le due tesi sono inconciliabili. E la verità storica è che la seconda tesi — quella della nessuna influenza sostanziale bizantina, dall'ottavo secolo in poi, sulla storia politica dell'Occidente — è esatta. Bisognerà concludere che la prima è sbagliata, almeno nella sua formulazione. Che la civiltà bizantina abbia dato un largo e vario contributo a quella occidentale, non è dubbio. Il dodicesimo capitoletto del Diehl, quantunque sia uno dei più scarni, basta a darcene un'idea. E che codesta civiltà abbia avuto la sua base materiale, per un millennio, nell'impero bizantino, è un fatto. Ma' è anche un fatto che, proficua alla vita di altri popoli e stati, codesta civiltà non è riuscita a vivificare lo stato bizantino stesso, e a fare di esso stato un popolo. Essa è rimasta nell'insieme (nonostante, cioè, qualche porzione più viva e originale) qualcosa ' di ereditato senza assimilazione, di cristallizzato, di esteriore. Nella letteratura predominano erudizione e retorica; nell'arte — che è la manifestazione più viva e vitale — gli schemi iconografici e devozionali; nel pensiero, il compendio del passato, la disputa teologizzante, la polemica ecclesiastica. La civiltà occidentale del Medioevo si è sviluppata più tardi, ed è rimasta meno splendida. In compenso, ha avuto carattere organico, stretto nesso con la vita sociale, spirito proprio autonomo. Ereditando e assimilando, dall'antichità e da Bisanzio, ha creato originalmente: e ciò, già prima di quell'undecimo secolo da cui il Diehl vorrebbe datare gli inizi di una civiltà occidentale. L'Europa carolingia, del IX secolo, ha già una civiltà sua, che si svilupperà in una ascensione continua fino all'età delle grandi Univerr sita di Bologna e di Parigi, dei Comuni italiani e dei regni nazionali francese, tedesco, inglese, delle grandi Somme filosofico-teologiche, delle cattedrali rsGnèGghasPCtopgmrdcnsrctadnsttiiiLvlgd romaniche e gotiche, della poesia di Dante, degli affreschi di Giotto, delle sculture di Giovanni Pisano. Come mai il Diehl si è lasciato andare a parlare di Giotto come di un bizantino di genio? e per quale distrazione ha fatto di Marsilio Ficino, nato a Figline, « un bizantino »? Forse uno scambio con Gemisto Plotone, dalle cui conversazioni Cosimo il Vecchio avrebbe tratto la prima i Ica dell'Acr-dcmia platonica? Ripetiamo per questo Sbaglio il « quahdoqùe bonus dormitat Homerus» (li.Saitta, peraltro, avi ebbe potuto provvedere alla sua climinazioi.e). Ala concludiamo sulla questione generale dicendo che, se certe svalutazioni sommarie degli storici settecenteschi rimangono cancellate per sempre, la veduta storica generale che c'era dietro di, esse potrebbe, esaminata a fondo, risultare più giusta di talune esaltazioni « bizantine » degli storici odierni. Luigi Salvatorelli iiiuNimiiNiiiimimumiiiiiimiiiuimiiiMim

Luoghi citati: Bologna, Europa, Italia, Parigi